Lo abbiamo festeggiato due settimane fa per il suo settantatreesimo compleanno, chiedendoci per quale strano meccanismo un autore come lui, Re Mida della musica italiana che ha fatto diventare oro ogni cosa che toccasse, non si sentisse più. Lui, il grande Popi Minellono, con la sua penna continua a scrivere poesie, che altro non sono se non canzoni senza musica: con la sua ironia pungente e l’occhio sempre attento a quello che succede nel nostro Paese, Minellono ha sempre dipinto l’Italia con meravigliose pennellate poetiche. Concedendosi il vezzo di sapere giocare con le parole, ha quindi potuto trasformare fotografie della società in brani d’amore che in pochi hanno completamente compreso per quello che significavano, e lui a quanto pare si è sempre divertito tantissimo a osservare le reazioni di fronte a questi suoi giochi linguistici. Ieri sera, a Non è la D’Urso si citava la canzone di Dalida, Laissez moi dancer: nessuno ha però ricordato fosse una canzone (Voglio l’anima) scritta da Minellono e Cutugno: Ma figurati se lo dicono…ci dice Popi, con l’aria di chi, rassegnato a un certo modo modo di fare, non è poi più di tanto scottato da certe omissioni. Se lo si potesse paragonare a un filosofo Popi sarebbe uno stoicista: sornione osserva un mondo che non sempre gli piace, e che lui affronta come meglio crede: a costo di perdere occasioni, non rinuncia al suo credo, perché è un artista e i sentimenti li racconta, non li commercia. Vada come vada il mondo, se non si può cambiare, Minellono sa di avere fatto il massimo per farlo esprimere artisticamente sotto la luce migliore. Abbiamo chiesto a lui, quindi, come sia la situazione discografica italiana dal punto di vista di uno che ha letteralmente scritto la storia della musica italiana con parole ancora oggi indimenticabili, e una cosa è certa: lealtà e cultura sono parole che raramente si possono affiancare al successo, per fortuna Cristiano Minellono ci ha dimostrato che raramente non significa mai. I valori esistono ancora, e non soltanto per il passato: oggi, semplicemente, i produttori impongono altre cose, e chi vuole mantenere la propria personalità rimane fuori dai giochi. Con Popi, però, si parla inevitabilmente anche della musica passata, e si scopre quanto sia più bella l’arte quando può essere trattata come tale, senza regole assurde imposte dall’alto, che non garantiscono nemmeno più vendite, ma solo più like. Effimeri compiacimenti telematici. Ed ecco che si racconta, senza filtri, su tutto e tutti.

Cristiano, perchè non leggiamo più il tuo nome tra gli autori delle canzoni sanremesi e della discografia che conta?

Il motivo é molto semplice: c’è stato un cambiamento totale della gestione dell’arte italiana. Una volta un programma televisivo, un film o una canzone, avevano dei veri autori. Erano loro i reali padroni del progetto, qualunque esso fosse. Loro davano le direttive al regista per rendere al massimo il prodotto. Il produttore ottimizzava le risorse di tutti per mettere i soldi: oggi è il produttore a volere comandare e a decidere come bisogna comportarsi. Una volta era l’autore a decidere il cast insieme al regista. Ora l’autore va bene solo se accetta tutto quello che gli chiedono di modificare dalla produzione. Ecco perché uno come me, che si impunta per avere il prodotto come l’ho pensato, non va più bene. Se uno mi dice che il mio testo non gli piace io rispondo: Questo testo è forte, sono Minellono, ho qualche centinaia di milioni di dischi venduti dalla mia parte, quindi si fa cosi altrimenti niente, non mi interessa che a te non piaccia.

Insomma sembra che tutto debba essere virale. La qualità svanisce e nessuno osa dire niente.

La radio bisogna pagarla: il padrone della radio generalmente è editore di tante delle canzoni che trasmette. La televisione viene prodotta fuori, o da Ballandi o da Tao Due, a seconda del canale: ci sono una serie di interessi per cui il produttore impone gli autori e il regista che vuole, ed è tutta gente che è sicuro gli obbedisca, e nel cast mette l’amante, il parente, l’amico di famiglia…e’ tutta una farsa, per cui la qualità e finita.

Trentacinque anni fa vincevi a Sanremo con Ci sarà, ora vince Mahmood con Soldi. Cosa è andato storto anche dal punto di vista della qualità musicale? Sono cambiati così tanto i generi musicali?

Tutto sta andando storto: negli anni ‘40, ‘50, ‘60, l’editore individuava giovani autori, spesso squattrinati, li metteva a scrivere canzoni, da proporre poi ai discografici, che negli anni hanno modificato il loro ruolo. Il discografico ha iniziato a diventare un editore, e nel frattempo sono emerse le multinazionali: quindi hanno fatto chiudere etichette italiane storiche come Ariston, Ricordi, Carosello, Rca, Durium… Le multinazionali sono diventate padrone assolute: non c’e più l’editore che paga l’autore per scrivere dei bei testi. Non esiste più la fucina, la matrice di tutto questo. Adesso i ragazzi creano i pezzi, li mixano, li arrangiano da soli, con dei rifft fatti da internet: una volta tutto questo lavoro lo facevano un grande arrangiatore, un grande paroliere, un grande musicista e un grande produttore. Essendo spariti questi, non esiste più la qualità: è tutto morto.

Il web aiuta i giovani ad avere contatti per fare i musicisti o sta infangando il mondo della musica?

Internet aiuta a fare tanta musica ma danneggia la possibilità di fare della buona musica. Il paroliere non ci guadagna molto e anche per questo è una figura sparita.

Qualcosa di buono si trova, a fatica. Tu hai lavorato molto con Cutugno. Ultimo, anche per carattere e romanticismo, un po’ lo ricorda. Cosa ne pensi.

Io lo voglio promuovere, per me non e’ ultimo ma penultimo. Oggi c’e solo un grande artista che é Mengoni, il quale fa delle bellissime canzoni, per il resto non esiste nulla.

I talent non sono efficaci per trovare nuovi artisti?

I talent servono solo a trovare bravi cantanti. Il problema è che i talent sono gestiti uno dalla Universal e l’altro dalla Sony: quindi i ragazzi interpretano le canzoni che vogliono queste case discografiche. Una volta c’erano varie forze che spingevano un prodotto, ora se l’unica forza é diventata la multinazionale non può emergere la qualità.

Oggi si dice spesso che si produca troppa musica in breve tempo e questo andrebbe a discapito della qualità. Eppure la storia di Un po’ artista un po’ no, album che scrivesti con Cutugno per Celentano in pochi giorni dimostrerebbe il contrario…

Non so quanto Toto avesse impiegato a fare le musiche: probabilmente tre, quattro settimane, al massimo due mesi. Io i testi li ho fatti tutti in un pomeriggio.

Come mai andò così?

Adriano aveva proposto a me e Toto di fare il suo album, che producevo io. Toto mi consegnó la prima canzone, poi la seconda, poi la terza. Io sono pigro, e scrivo molto meglio sotto pressione: quindi quando andammo in sala di incisione alla Curci la domenica, io non avevo fatto neanche un testo perché avevo continuato a rimandare. Era domenica e il lunedì saremmo andati a Galbiate da Adriano. Dissi: Toto non ti preoccupare, ci metto dieci minuti e ti scrivo un testo. Gli diedi il primo e gli dissi: tu vai in sala col primo pezzo io scrivo il secondo, poi col terzo e così via e facemmo dieci canzoni.

E fu un successo clamoroso.

È stato un successo che ha resuscitato Adriano che da qualche anno era un po’ in crisi.

Lo senti ancora Adriano?

No, perchè c’è sua moglie che fa il filtro a tutto. Non ho niente contro Claudia, ma se io voglio sentire Adriano voglio parlare con lui.

Ti aspettavi il risultato negativo degli ascolti di Adrian?

Sì perché Adriano é un bambino: non bisogna mai fargli fare tutto da solo. Se prova a cucinare da solo si scotta, se prova a riempire la vasca da solo annega. Lui essendo un bambino gioca, e ha di fianco una schiera di signor sí. Ora oltretutto ha intorno un gruppo di pseudo intellettuali della intellighenzia dei salotti di sinistra ed è preso da questa enfasi. Quando facemmo Geppo il folle gli dissi di stare attento perche si stava reclamizzando come nuovo profeta, ma la mia voce da sola non serviva a niente.

E lui cosa rispose?

Un po’ mi diede retta, ma poco dopo io non c’ero più, e fece Joan Lui che fu terrificante. Un flop mai visto. Del resto un cantante deve fare il cantante, come un attore deve fare l’attore: se pensi che il più grande artista italiano, Alberto Sordi, fece dei film meravigliosi, ma appena iniziò a dirigersi da solo ha fatto brutti film ti sei dato una risposta. Quando un cantante vuole interpretare, comporre, prodursi, dirigersi, non avrà mai grandi successi: non esiste nessuno che sappia fare perfettamente tutto.

Hai mai scritto canzoni che anziché avere la tua firma avessero poi quella di un prestanome?

Il discografico a volte voleva la coedizione del testo: a volte dovevo far firmare il testo al produttore dell’artista senno’ non lo voleva.

E la tua firma non compariva in quei casi?

La mia firma compariva, tranne una volta che io e Balsamo facemmo Tu nella mia vita per Weiss e Dori Ghezzi: ci dissero che non avremmo potuto firmarlo perché avevamo già altri due brani in gara (Amore mio cantata dallo stesso Balsamo e Dolce frutto interpretata dai Ricchi e Poveri, ndr). Passato Sanremo avremmo messo noi la firma, ma sapevamo che non sarebbe stato così. La firmarono un artista e un produttore italiano con uno pseudonimo (Lubiak, alias Piccarreda, e Monti Arduini, ndr) che si prendono ancora oggi la metà dei nostri diritti.

Non deve essere facile rinunciare alla paternità di un grande successo. Quel brano arrivò ai vertici delle vendite.

Quando hai un grande artista che vuole incidere una tua canzone non capita tutti i giorni: se ti dicono che però devi farlo firmare a qualcun altro, come fai a dire di no?

Cosa pensi della proposta politica di un paio di mesi fa di avere musica italiana per un terzo nelle radio?

Io guardo ai dati di fatto: in Francia questo meccanismo esiste dal 1994, dove le radio devono trasmettere il 70% di musica francese. Questo funziona alla grande perché si tutela il patrimonio nazionale, e si aiutano i giovani, che invece ora se vogliono andare in radio devono pagare. Il vero problema é che alla politica italiana non interessa niente della musica: non esiste nessun album col contributo del ministero dei Beni Culturali, per farti un esempio, come accade con i film. Bocelli, Cutugno, Ricchi e Poveri, Pausini, Albano, Ramazzotti, sono una grande esportazione dell’Italia all’estero, dove facciamo il 2% di Pil. Nessun autore in Italia ha una pensione, perché la professione di autore non esiste in Italia: la politica se ne frega.

Cutugno un paio di anni fa mi disse che non fa concerti in Italia perché il suo compenso è troppo alto. Non siamo proprio in grado di preservare nemmeno chi continua a fare bella l’Italia all’estero…

I nostri artisti nei Paesi dell’Est fanno concerti che variano dai 50 ai 70 Mila euro. Va detto però che Albano fa tantissimi concerti anche in Italia, perchè è molto amato, Cutugno vende tantissimo all’estero ma in Italia non è molto amato. Tutto sommato L’italiano da noi ha venduto poco.

Secondo te perché? Colpa del suo carattere fumantino?

Sta antipatico perché dicono sia megalomane, tronfio.

Tu che lo conosci bene puoi dircelo. È vero?

Sicuramente è un po’ egocentrico, ma tutti abbiamo un difetto che prevale. Quando eravamo in Spagna e lui era un cantante nuovo che io producevo con Voglio l’anima ci prepararono interviste con radio private. Andammo alla Tse, televisione spagnola nazionale, e incontrai per caso il direttore generale, Manolo Díaz, nonché componente degli Agua Viva, che erano stati prodotti da me a Sanremo: gli presentai Toto e la sera stessa Cutugno fu ospite della conduttrice spagnola di punta che lo fece cantare per quaranta minuti. Sul volo di ritorno Toto mi disse che non avrei potuto più essere il suo produttore perche non era normale che il produttore fosse più famoso dell’artista.

E lì si interruppe il rapporto?

Si interruppe come produzione, continuammo a scrivere insieme ancora tante canzoni, anche se piano piano ha sempre più cercato di fare le cose da solo. Essendomi stato vicino per tanti anni probabilmente ha imparato anche un po’ a scrivere in un certo modo.

Ora la trap funziona molto con testi che fingono di dire cose diverse da quelle che intendono raccontare nella realtà. A volte anche con messaggi piuttosto pericolosi. A te é mai successo di scrivere brani che celassero un senso differente da quello poi noto popolarmente?

Sì certo, l’ho sempre fatto nella maniera più innocente, genuina e visibile possibile e la gente non si è accorta. Pensa a Ci sarà: è una canzone di protesta, si parla di un mondo marcio, pieno di cemento. Si canta la speranza che ci sarà un mondo migliore, un cielo più immenso e un azzurro più intenso.

Hai in qualche modo anticipato il Chiamami ancora amore di Vecchioni, trent’anni prima…

È una canzone di speranza, come Noi ragazzi di oggi: siamo noi la forza perche adesso il mondo sta andando male e siamo noi a dovere salvarlo. L’italiano stesso non e una esaltazione della Italia. L’autoradio nella mano destra indica un Paese di ladri; la bandiera in tintoria simboleggia un Paese di opportunisti; Troppe donne e sempre meno suore vogliono dire un Paese che ha perso la vocazione, con troppa America sui manifesti indica un Paese che ha perso la personalità. Non si é accorto nessuno, e tutti l’hanno interpretata come sole, pizza, amore…ma manco per l’anima…é una critica anche cattivella!

Questo ti inorgogliosce o ti indispettisce, da autore?

Sono notevolmente orgoglioso: ho fatto una fotografia reale dell’italia. Rubare é la prima prerogativa di un italiano: dal mercatino sotto casa al Parlalmento. Purtroppo corruzione, truffa, furto, evasione fiscale sono predominanti nel nostro paese.

La cosa drammatica è pensare che Noi ragazzi di oggi sua una canzone dell’85 e non è cambiato nulla. Anzi, il mondo è peggiorato. Quello che è bello è che la felicità sia ancora un bicchiere di vino con un panino. Tu sei un grande cuoco…

Ci sono due cose, a parte natura e animali, che sono al primo posto, che sono belle nella vita: l’amore e il cibo, perchè coinvolgono tutti i sensi che abbiamo.

E sono una buona ispirazione per esprimersi in poesia…

Sono una buona maniera per vivere più a lungo ed essere almeno per un attimo più felici.

Massimiliano Beneggi