Ottimo debutto assoluto per La donna leopardo al Piccolo Teatro Grassi di Milano, dove lo spettacolo sarà in scena fino a domenica 3 novembre. Esordio alla regia perfettamente riuscito per Michela Cescon che si misura con un testo molto particolare, nel trentesimo anniversario della morte di Alberto Moravia.

Lorenzo, giornalista di successo, interpretato da un eccellente Daniele Natali che ne sa sottolineare la personalità nevrotica e costantemente insicura, deve andare in Gabon per un viaggio di lavoro con il suo editore, Flavio Colli, che non ha mai nascosto una certa ammirazione per Nora, la moglie di Lorenzo. Quanto quell’attrazione sia fisica o mentale non lo sa nemmeno Lorenzo, che in un primo momento vuole giocare con se stesso ed è persino eccitato dall’idea di un viaggio nel quale fare esplodere le gelosie di coppia. Quello che non aveva preso in considerazione il giornalista, però, è che Ada, la moglie di Colli che ha il volto di una ironica e stupenda Valentina Banci, è disposta lei stessa a partecipare a questa ossessionante perversione che vede coinvolte le coppie. Una volta giunti in Gabon, luogo dove tutto diventa vero e si può esprimere per quello che è come ha fatto la natura creando un meraviglioso paesaggio condensato di libertà, Colli e Nora si apparteranno molto spesso, parlando e sussurrandosi segreti che rimarranno tali fino alla fine, lasciando spazio alle fantasie di Lorenzo, Ada e ovviamente del pubblico. A volte, ce lo insegnano i platonici, le verità dell’anima sono quelle destinate a non essere mai accessibili, e restano il motore della vita che le fa leggere solo a chi voglia cogliere sfumature senza cercare oltre.

Convinzioni dettate da una gelosia che sfiora apici di cattiveria; giochi di ruolo dai quali non ci si può più sottrarre nel momento in cui cominciano e cessano di appartenere unicamente all’immaginazione. Due coppie in difficoltà che per ritrovare il loro sentimento originario si mettono alla prova cercando di recuperare quella voglia di esclusività nel rapporto. Quando però tutto è dato per scontato, compresa la vita sessuale, diventa difficile persino ai protagonisti comprendere se a legarli sia un amore tra anime che non hanno bisogno di dirsi tutto per capirsi a memoria, o se non sia piuttosto un’abitudine mascherata da quella voglia di puro possesso. Che ormai non li fa apparire innamorati credibili nemmeno agli occhi del collega. La donna leopardo ci riporta con straordinaria eleganza, come nello stile del Piccolo, a un testo di Moravia che si interroga sul rapporto tra amore e ossessione. Impossibile presumere con certezza cosa possa pensare l’altro, inutile cercare risposte in mille ragionamenti in cui inevitabilmente ci si perde. Ci sono ragioni del cuore che la ragione non conosce, diceva Pascal: ne La donna leopardo c’è tutto questo.

La produzione del Teatro Dioniso e Teatro Stabile del Veneto è poetica e leggera su un teatro di altissimo livello. Pause che lasciano spazio alla riflessione e alla rielaborazione per il pubblico dopo ogni dialogo, musiche di Andrea Farri che sottolineano perfettamente un romanzo che sembra scritto apposta per il teatro. Ci vuole ovviamente l’immaginazione del pubblico che si lascia trascinare dalla finzione teatrale per vedere un ristorante, un aereo, un paesaggio africano e persino una doccia nello stesso ambiente, che non muta mai di scena. Al centro del palco, su cui vi sono i quattro unici personaggi a piedi scalzi, un cubo rotante che funge da luogo delle emozioni in cui i protagonisti vogliono perdersi per ritrovare se stessi. Paolo Sassanelli è il cinico Fulvio Colli, talmente sicuro di sé da apparire quasi indisponente a tratti: eppure la caratterizzazione personale che ne dà fa risultare il Colli il personaggio più empatico, o perlomeno a cui chiunque vorrebbe potere somigliare. Ironico con l’accento toscano del suo personaggio, emozionante nel mistero che lo avvolge e di cui rende partecipe solo Nora, una giovane e bravissima Olivia Magnani capace di parlare sul palcoscenico con la poesia del movimento del corpo oltre che con la voce. Le battute rapide e i segreti che lasciano spazio a tante interpretazioni rendono lo spettacolo avvincente e snello. Esperimento riuscito per il miglior modo di celebrare i 30 anni della morte del grande scrittore.

Massimiliano Beneggi