“Credo che sia una delle più smaglianti e grintose artiste che io abbia mai incontrato. Al primo provino che le avevo fatto durante la preproduzione della fortunatissima trasmissione Ci vediamo in tv andai molto distratto e pieno di problemi come sempre quando si sta per partire per una nuova avventura televisiva. Ma dopo dieci secondo ero attanagliato, conquistato e assolutamente felice di quel camaleontico animale da palcoscenico di cui non avevo previsto la vagonata di talento che mi avrebbe rovesciato addosso. Vi sembra troppo? E’ poco invece: Stefania è incondizionatamente una numero uno. Ha simpatia, dramma, ironia, provocazione e senso della storia datemi una prima serata con lei in tv e vi farò vedere cosa vuol dire la parola showgirl”.

Le parole sono di Paolo Limiti, il più grande paroliere di Mina, nonché amatissimo autore televisivo che si inventò quel programma della memoria musicale che sfornava, senza eccessiva nostalgia, nuovi talenti meravigliosi, in un modo di fare intrattenimento che alla televisione urlata di oggi manca più che mai. La showgirl di cui parlava è uno di quei talenti che lanciò lui stesso: Stefania Cento, la straordinaria cantante che debuttò nel 1996 in Rai proprio con Paolo per rimanere nella sua trasmissione fino all’ultima edizione.

Voce graffiante, seducente e appassionata anche nelle sue interpretazioni, Stefania fu scelta da Limiti proprio per la sua vicinanza a Mina. E se lo diceva lui, che Mina la conosceva meglio di chiunque altro, c’è da crederci. Nelle trasmissioni pomeridiane di Raiuno, quindi, molto spesso toccava proprio a lei omaggiare le canzoni della Tigre di Cremona, che ripropone ancora oggi con la grinta che conquistò ormai ventiquattro anni fa il suo pigmalione. Abbiamo voluto chiedere a Stefania, quindi, un ricordo dello straordinario incontro tra Limiti e Mina e del curioso rapporto che li legava. Lei, con la consueta delicatezza e il rispetto per l’amicizia con Paolo, ci ha raccontato alcuni aneddoti conservando quelli più privati. E noi ci ritroviamo alla fine senza nessuna retorica, che non serve per i prodotti di qualità, ma con un dannato tarlo: perché mai non ci sono più trasmissioni televisive che potessero raccontare la musica con professionisti veri come faceva Limiti?

Stefania, tu ricordi molto Mina nella vocalità e nello stile, però dai sempre una tua inconfondibile impronta nelle interpretazioni. Qual è il tuo rapporto con le canzoni della Tigra di Cremona?

Ho sempre amato molto Mina, e quando conobbi Paolo ero giovanissima, quindi fui subito vicina alle sue canzoni. Ho sempre cambiato molte insegnanti perché la politica delle insegnanti di canto è di guardare agli altri come modelli: “Fai come quella, avvicinati a quell’altra”. Sbagliatissimo, perché bisogna sempre dare una personalizzazione diversa a ogni brano. Arrivare a essere come Mina è ovviamente impossibile, ma comunque bisogna dare una propria personalità in qualunque canzone si reinterpreti. Questo credo fu il mio successo di tanti anni in Rai con Paolo. Inizai questo mestiere a 17 anni cimentandomi in brani italiani e stranieri, e Paolo apprezzò molto il modo di interpretare le canzoni rendendole mie. Per una cantante è molto più semplice prendere canzoni maschili e renderle sue. Cantare le canzoni di Mina e renderle personali è sempre un po’ più complicato perché sono proprio scritte su di lei.

Qual è la canzone che più ami di Mina?

Paolo le scrisse un brano straordinario che era La voce del silenzio, ma la bellezza di Bugiardo e incosciente, che il pubblico mi chiede spesso, per me è ineguagliabile. Amo cantarla, sperando sempre che nessuno si faccia condizionare dall’ascolto dell’originale di Mina. Non si tratta di un brano italiano, bensì è una canzone catalana di Joan Serrat, La tieta (che letteralmente significa zietta) con un testo riscritto da Paolo, che era bravissimo a riprendere brani stranieri e adattarli con parole in italiano. Si tratta di una sorta di ballata molto uguale a se stessa e molto lunga (sei minuti). La canzone originale raccontava di una donna che si sentiva sola. Mina la ascoltò, le piacque e disse a Paolo: “So che non venderò niente da noi, ma mi piace troppo, scrivimi un testo in italiano”. Così Limiti la trasformò in una storia di una donna che vorrebbe lasciare il suo uomo, ma non vuole interromperlo proprio mentre dorme nella sua bellezza e innocenza talmente forti da farla attendere almeno fino al mattino successivo. Alla fine lui si sveglia e lei è talmente innamorata per cui non lo lascia. E’ una bellissima poesia tutta da ascoltare.

Limiti scrisse molte canzoni anche goliardiche, e ogni tanto ci fu qualche scontro tra lui e Mina…

Tutte le vere amicizie non sono fatte solo di complicità e divertimento. Erano sempre molto in scontro tra loro. Mina tutto sommato si divertiva a fare le canzoni scanzonate, mentre su quelle impegnative voleva mettere voce e dire la sua. Quando scriveva una canzone per Mina, Paolo sapeva che lei l’avrebbe cantata prima o poi: era una specie di gioco per cui lo lasciava sulle spine ma prima o poi l’avrebbe incisa. Mina è perfetta a cantare le canzoni di Paolo, che era bravissimo a scrivere per le donne, intuendo la sensibilità dell’interprete. Chiunque fosse: non occorreva che gli venisse raccontato né chiesto qualcosa in particolare: lui conosceva la persona per cui scriveva.

Mina non compare in televisione da anni eppure, anche oggi che presenziare sembra sia sempre la prerogativa di ogni artista, rimane un’icona indistruttibile e superiore a chiunque altro. Perché?

Accade anche perché si chiama Mina, e quindi può permetterselo. Se una bravissima cantante di oggi sparisse dalla scena pubblica, dopo un po’ ne perderemmo le tracce. Sono anche cambiati i tempi. La sua straordinaria capacità è però di visualizzare e lasciare immaginare quello che canta: tu chiudi gli occhi e vedi quello che sta cantando. Ha uno stile con cui disegna il brano. Cantanti così non ne nascono più anche perchè non le vogliono più nemmeno i discografici. Alcune realtà canore, pur senza essere Mina, si avvicinano a quello stile ma sono considerate fuori tempo. Mina, come la Vanoni e altre cantanti nate in quell’epoca, ormai rimangono incancellabili perché hanno cominciato in un periodo in cui andava bene così ai discografici. Ai cantanti di oggi non viene permesso, benché il modo di cantare sia quello.

Nel 2000 e nel 2010 faceste uno speciale, Minissima, per i 60 e i 70 anni di Mina che ottennero un successo incredibile anche in termini di auditel. Come fu quell’esperienza?

Paolo non aveva i contatti con Mina ma con Massimiliano Pani. Le sigle dei programmi di Paolo spesso erano sue canzoni (compreso Estate con noi in tv del 2012, la sigla era Dai dai domani), e ovviamente anche quella di Minissima. Paolo non ci aveva chiesto niente in particolare, non lo faceva mai. A me nel 2000 arrivò la notizia che dovevamo fare mentre ero in Sri Lanka. Tornai di corsa. Cantammo insieme dei brani in modo corale, una vera festa. C’era molta preparazione, nulla di improvvisato. Fu molto bello, e non capisco perché non venga rimandato in onda anche in questi giorni. Si dovrebbero riproporre tutti i programmi di Paolo: sono cultura, che non moriranno ma. Se c’è uno che può raccontare qualcosa di Mina è Paolo, e quella trasmissione avrebbe un successo straordinario anche oggi.

Mi sto immaginando Paolo che nel frattempo ci guarda sorridendo. Cosa manca di lui oggi alla televisione e alla musica?

Paolo sorrideva sempre moltissimo, e sicuramente lo sta facendo anche ora. Manca la sua delicatezza, la signorilità, il buon gusto. Era un signore, col buon senso, pur avendo i suoi momenti di collera, giustificati avendo tanta responsabilità in un programma così importante che veniva fatto a Milano, mentre la dirigenza della Rai è a Roma. Per me era un terzo fratello: abbiamo avuto modo di discutere tra le righe credo solo una volta, in uno di quei momenti di ira in cui era meglio non capitargli a tiro. Il successo era dovuto al suo modo di entrare nelle case chiedendo permesso, non aggredendo mai e non creando caos da presenzialista. Non aveva la mania della lucina rossa della telecamera: del resto era un autore importantissimo (Rischiatutto, Dove vanno i Pirenei…) e si trovò per caso a condurre quel programma che aveva inventato lui, che inizialmente si intitolava E l’Italia racconta. Non c’era nessun altro che avrebbe potuto presentare la trasmissione secondo quei canoni che aveva pensato. E così capitò lui a condurre. Nessuno avrà mai quella stessa sensibilità e correttezza nel raccontare le canzoni e la loro storia, dando il giusto merito ai brani senza ridicolizzare il personaggio.

In effetti facevate molti omaggi, talvolta divertenti, senza però mai scadere nella caricatura.

Verissimo. Io spesso facevo Carmen Miranda, ma senza ridicolizzarla. Lui riusciva a rendere tutto estremamente professionale. Spero che un giorno si possa tornare a fare un programma del genere, seguendo i suoi insegnamenti che noi che abbiamo lavorato con lui portiamo ancora dentro…Quando finì la trasmissione dopo sette edizioni fu un lutto per tutti. Con il cast fisso rimase sempre un grande affetto e ci sentimmo tutti fino alla fine anche telefonicamente con Paolo.

Perché non gli fecero mai fare Sanremo?

Qualche dirigente Rai, per motivi anche politici, lo fece molto soffrire, e non lo meritava assolutamente. Lo vollero gratuitamente fare soffrire. Era amico dell’arte, meno delle poltrone, che proprio non sopportava. Diceva infatti: “Voglio solo talenti veri, non mi interessano conoscenze, amicizie di gente importante. E’ bravo? Allora lo voglio, altrimenti no”. A qualcuno quindi diede fastidio sentirsi dire un no da Paolo Limiti. Lo vidi piangere: nessuno merita minimamente un trattamento del genere, ma lui in particolare meritava Sanremo e molto di più.

Paolo ti raccontò mai di come nacque il suo sodalizio con Mina?

Lui era un grafico pubblicitario nel 1967, lavorava con la Carosello. Mina era già una diva affermata, partecipava a programmi come Musichiere, Studio Uno. Paolo gestiva la parte pubblicitaria per la Barilla. Si incontrò a Roma con Mina e si innamorò delle sue lunghe mani affusolate. Si inventò uno spot molto creativo, come nel suo stile, in cui Mina doveva accarezzare i rigatoni. Lui voleva che Mina camminasse un tapiroulant e alzasse un braccio come se portasse un piatto di spaghetti a tavola. Mina non voleva: “Ma perché mai dovrei fare questo! Sa cosa le dico Limiti? Preferivo il tuo predecessore, lui sì che era un vero signore”. Paolo, che se si incavolava non era comodo, replicò: “Sì, era un vero signore ma con le vere signore”. Paolo raccontava che si rivelò subito una donna con grande temperamento ma anche molto sexy. Fu Antonello Falqui a intervenire e smorzare la lite. Dopo qualche giorno Mina chiamò Paolo e lo invitò a casa sua, a Milano. Lui si presentò con una rosa rossa e così da una lite nacque la loro amicizia.

E a cui regalò delle canzoni d’amore stupende…

Ma chissà, magari un po’ di cuore Limiti per Mina…(ride)

Mi sto immaginando Paolo che nel frattempo ci guarda sorridendo. Cosa manca di lui oggi alla televisione e alla musica?

Paolo sorrideva sempre moltissimo, e sicuramente lo sta facendo anche ora. Manca la sua delicatezza, la signorilità, il buon gusto. Era un signore, col buon senso, pur avendo i suoi momenti di collera, giustificati avendo tanta responsabilità in un programma così importante che veniva fatto a Milano, mentre la dirigenza della Rai è a Roma. Per me era un terzo fratello: abbiamo avuto modo di discutere tra le righe credo solo una volta, in uno di quei momenti di ira in cui era meglio non capitargli a tiro. Il successo era dovuto al suo modo di entrare nelle case chiedendo permesso, non aggredendo mai e non creando caos da presenzialista. Non aveva la mania della lucina rossa della telecamera: del resto era un autore importantissimo (Rischiatutto, Dove vanno i Pirenei…) e si trovò per caso a condurre quel programma che aveva inventato lui, che inizialmente si intitolava E l’Italia racconta. Non c’era nessun altro che avrebbe potuto presentare la trasmissione secondo quei canoni che aveva pensato. E così capitò lui a condurre. Nessuno avrà mai quella stessa sensibilità e correttezza nel raccontare le canzoni e la loro storia, dando il giusto merito ai brani senza ridicolizzare il personaggio.

In effetti facevate molti omaggi, talvolta divertenti, senza però mai scadere nella caricatura.

Verissimo. Io spesso facevo Carmen Miranda, ma senza ridicolizzarla. Lui riusciva a rendere tutto estremamente professionale. Spero che un giorno si possa tornare a fare un programma del genere, seguendo i suoi insegnamenti che noi che abbiamo lavorato con lui portiamo ancora dentro…Quando finì la trasmissione dopo sette edizioni fu un lutto per tutti. Con il cast fisso rimase sempre un grande affetto e ci sentimmo tutti fino alla fine anche telefonicamente con Paolo.

Perché non gli fecero mai fare Sanremo?

Qualche dirigente Rai, per motivi anche politici, lo fece molto soffrire, e non lo meritava assolutamente. Lo vollero gratuitamente fare soffrire. Era amico dell’arte, meno delle poltrone, che proprio non sopportava. Diceva infatti: “Voglio solo talenti veri, non mi interessano conoscenze, amicizie di gente importante. E’ bravo? Allora lo voglio, altrimenti no”. A qualcuno quindi diede fastidio sentirsi dire un no da Paolo Limiti. Lo vidi piangere: nessuno merita minimamente un trattamento del genere, ma lui in particolare meritava Sanremo e molto di più.

Tu continui a portare in giro quel modo di interpretare lo spettacolo e negli ultimi anni hai cominciato anche una grande collaborazione con Gianni Drudi.

Conobbi una decina d’anni fa Gianni, in una trasmissione televisiva. E’ una persona meravigliosa come tutti i romagnoli, che hanno una marcia in più, devo dirlo da emiliana. E’ camaleontico, divertente (indimenticabile la sua Fiki Fiki, ndr) ma scrive anche bellissimi brani intensi e mi conosce molto bene. Ho nel cassetto delle canzoni che mi ha regalato e che voglio fare uscire al momento opportuno perché sono veramente molto belle e meritano un certo tipo di platea.

Come cambierà il mondo della musica dopo questo periodo di quarantena?

Da questo dramma sanitario speriamo si esca presto e si riparta bene anche con lo spettacolo. Si uscirà molto cambiati anche a livello psicologico, ma bisognerà aspettare un po’ di tempo perché tutto torni alla normalità. Ci sono comunque buoni presupposti per ridare lustro alla professionalità, non solo nella musica. Per fortuna il governo sta occupandosi anche degli artisti, quelli veri che pagano regolarmente le tasse e non quelli che hanno un altro lavoro e alla sera vanno a cantare nei locali. Basta coi karaoke, non se ne può più: il palcoscenico deve essere degli artisti.

Massimiliano Beneggi