Bergamasco doc. Poeta che con le sette note da sempre sa raccontare la nostra vita nei suoi sentimenti più intimi. Voce che emoziona vibrando, dotato di una sincera umanità con cui sembra di dialogare a ogni ascolto. Roby Facchinetti, questa volta, si è davvero superato. La sua Rinascerò, rinascerai rappresenta uno dei punti più alti della musica italiana negli ultimi anni. E il pubblico sta dimostrando di apprezzare, spingendo la canzone ai vertici delle classifiche.

Di sicuro Roby non avrebbe voluto che uno dei capolavori più assoluti della sua carriera potesse nascere così: ma la musica, si sa, è in grado di realizzare magie inimmaginabili. Così anche questa volta, in un momento difficilissimo che ha colpito fortemente la sua Bergamo, Facchinetti riesce a trasformare il dolore in una emozionante canzone che parla di rinascita e dà un bellissimo messaggio di speranza. Gli interi ricavi del brano saranno devoluti in beneficienza all’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo (clicca su questo link per leggere le modalità).

Nel videoclip, realizzato come ci racconta lui stesso in brevissimo tempo grazie alla collaborazione di tante persone vicine che hanno saputo dimostrare una volta di più la discrezione, l’impegno e l’unità di una città mai arrendevole, si vedono le montagne orobiche avvolgere nel loro sincero abbraccio il popolo bergamasco. Da Bergamo partì la spedizione per l’unità d’Italia: anche questa volta da lì rinasce quindi la voglia di sentirci protetti da un unico sentimento di amore e di tenacia. In fondo, lo ripetiamo costantemente, siamo noi il Paese del Rinascimento: con l’arte e la cultura torneremo a vedere le stelle. L’ultimo lavoro di Facchinetti era stato Insieme, con Riccardo Fogli: più che mai ora quella parola Insieme sembra essere il grande punto di ripartenza.

Roby in questa canzone c’è il carattere orgoglioso di un bergamasco puro che esce dal suo silenzio per gridare la voglia di rinascere, insieme agli altri.

Il carattere del vero bergamasco è forte: è qualcuno che non si ferma nemmeno se gli spari. In questo momento in chiunque incontri a Bergamo c’è un grande atteggiamento di rinascita, di apprezzamento gratitudine nei confronti della vita. I bergamaschi in tutto quello che fanno sono senza filtri e infrastrutture: sono esattamente come li senti parlare nel loro dialetto, che è una vera e propria lingua. Anche questa volta c’è tanta voglia, vera, di fare e di tirarsi su le maniche.

In quanto tempo è nata questa canzone? Avevi già nel cassetto questa melodia?

Assolutamente no. Per chi guarda dalla tv non è possibile rendersi conto fino in fondo, ma vivendo qui la paura è forte: la preoccupazione per i miei nipoti, i miei figli, i parenti e gli amici è enorme. Viviamo su un campo minato: io ho perso due parenti, un amico, un sacco di conoscenti. Perché Bergamo è un paesone e si conoscono quasi tutti. Ho visto tutte quelle bare portate via dai camion e sono rimasto letteralmente sconvolto. Il pianto, il dolore e un insieme di sensazioni inspiegabili che ho provato li ho tradotti quindi in musica, che per me è sempre stata la migliore medicina. Non so quindi come sia nata la canzone: è davvero la magia della musica. Mi sono ritrovato improvvisamente a sentire dentro di me questa melodia e questo giro armonico di cui evidentemente avevo profondamente bisogno per sfogarmi, per fuggire con la fantasia della musica. Ho capito subito fosse una cosa speciale: non mi è mai capitato di ritrovarmi a suonare in quelle condizioni e con certe sensazioni. E’ come se avessi fatto una canzone sott’acqua, per usare un paradosso: una cosa mai fatta in vita mia. Ho chiamato subito Stefano D’Orazio, che ha vissuto per 35 anni a Bergamo, gli ho chiesto di scrivere delle parole per confortare la mia città con questo brano che mi era nato, e lui in poche ore ha trovato queste parole che sono una vera poesia.

E’ straordinario perché le parole si vestono perfettamente sulla melodia che appena parte lascia immaginare Bergamo, le sue montagne e la libertà.

E’ vero, il testo si compone in una sola anima con la musica. Penso sia molto più di quello che di solito si chiama matrimonio. Una volta fatto il brano non riuscivo a cantarlo per l’emozione. Dovevamo quindi inciderlo naturalmente ognuno a casa propria: via skype ho suonato il pianoforte e ho inviato all’arrangiatore, Danilo Ballo, la linea del canto. La tecnologia ci è venuta incontro. Marco Barusso ha mixato il lavoro restando in contatto con noi per ore e ore tutti i giorni. Daniele Vavassori, un bravissimo musicista che canta anche nel coro finale, ha collaborato nella realizzazione del video con Antonio Iorio. Diego Arrigoni, il chitarrista dei Modà, ha suonato nella parte finale del brano. Insomma abbiamo iniziato la sera di venerdì 20 marzo, e abbiamo finito, lavorando giorno e notte, giovedì 26 pomeriggio. C’era quindi l’esigenza di creare in fretta un bel video: è venuta in soccorso mia moglie che è volontaria nell’Abio (associazione per il bambino in ospedale) e conosce tante persone del Giovanni XXIII di Bergamo. Allora ho chiamato medici e infermieri che carinamente hanno fatto fotografie commoventi da inserire nel video, rubando due minuti a quello che stanno facendo da eroi e eroine vere: li chiamo così senza alcuna retorica perché molti di loro si sono ammalati e qualcuno se n’è anche andato. Bergamo purtroppo ha anche questo record di medici morti. Tanti amici bergamaschi quindi si sono prestati per il video che riporta immagini della città: da Pasotti ai giocatori dell’Atalanta, che speriamo possano riprendere prestissimo a portare avanti quel sogno in cui sta credendo la città. Abbiamo fatto tutto in breve tempo, facendo dei miracoli forse non pensando nemmeno di potere riuscire davvero a farlo. Ho avuto la conferma invece che quando le cose sono vere, sentite, belle, profonde, ecco che la vita ti dà una mano: sarebbe stato impossibile in un altro momento riuscire a fare tutto questo ottenendo un risultato del genere. Abbiamo avuto sicuramente un aiuto da qualcuno dall’alto.

Forse questa volta quel Dio delle città e delle immensità ha dimostrato che è vero che c’è…

Probabilmente l’ho urlato e l’ho cantato talmente tante volte che in questo momento non poteva tirarsi indietro!

Stiamo vivendo una guerra o una battaglia?

Questa è peggio di una guerra, perché almeno in quella si conosce il nemico. Noi invece non sappiamo chi sia il nostro nemico mostruoso e subdolo. Sono tante guerre insieme.

Secondo Machiavelli nelle guerre i soldati si devono difendere ciascuno con avidità, falsità e crudeltà per ottenere quello che vogliono. Questa volta la guerra è anomala, perché anziché essere l’uno contro l’altro tutto il mondo si ritrova unito in un unico sentimento.

Siamo tutti uguali: in questa guerra non c’è una divisione né razziale né sociale. Siamo tutti sullo stesso barcone, e tutti quanti viviamo allo stesso modo il momento, stando in casa con la medesima preoccupazione. Questo ci sta migliorando. Abbiamo ritrovato alcuni spazi, momenti necessari di silenzio: abbiamo scoperto il valore del tempo. Stiamo recuperando un equilibrio che prima non avevamo: ci mancano tante cose e ci rendiamo conto di quanto siano importanti. Lo erano anche prima ma non sapevamo vederlo e non riuscivamo a dare il giusto valore: un abbraccio prima era quasi scontato, adesso ci accorgiamo che questi momenti diventano quasi vitali. E’ fortissimo Il bisogno di sentire l’affetto, di sentirlo addosso. Ci accorgiamo che i pranzi insieme a chi ci vuole bene, coi bambini intorno che fanno casino, sono beni preziosissimi. Tutto è estremamente importante, mentre prima di questo periodo la maggior parte di queste cose sembravano piccole, ci si abbandonava alla fretta nel farle. Sotto questo aspetto il periodo che stiamo vivendo ci sta insegnando tanto e usciremo davvero più forti.

Di cosa hai più paura, quando tutto questo sarà finito?

Ho un po’ paura della tensione dell’essere umano a dimenticare. Abbiamo vissuto le due torri americane: un evento mostruoso che ha cambiato il mondo. Quella visione spaventosa è rimasta nei nostri occhi e nel nostro cuore per qualche tempo andando però via via a essere elaborata quasi come fosse normale. Questa volta ogni giorno ci sono due torri che cadono suscitando la stessa rabbia e la stessa angoscia. Alcune famiglie a Bergamo hanno due o tre persone contagiate: questa bestia colpisce tutti senza guardare in faccia nessuno. Nelle guerre in città scattava la sirena e tutti andavano a ripararsi nei rifugi: questa volta è addirittura peggio perché colpisce tutti a qualunque età senza possibilità di scappare. C’è un effetto domino che fa disastri peggio di una guerra: e lo ripetiamo continuamente, bisogna stare a casa, è l’unica cosa da fare. A costo di chiudersi dentro e buttare la chiave se viene la tentazione di uscire!

Nel 2007 con Francesco cantasti Vivere normale raccontando la normalità nel rapporto tra padre e figlio. Come torneremo e quando a vivere la normalità con i nostri familiari?

Stiamo vivendo qualcosa che ci farà uscire dal tunnel come uomini migliori. Dovremmo quindi tutti usare il buon senso, a cominciare da chi ci governa, tirando fuori tutte le nostre energie e la nostra fantasia. Sfruttandole per fare qualcosa di straordinario. Chissà quanto tempo durerà ancora tutto questo: è difficile dirlo, il terrore comunque non se ne andrà subito. Bisognerà aspettare un po’ di tempo per rielaborare questa situazione. C’è una voglia di rinascere mettendo in campo tutte le nostre capacità e la nostra arte: ne abbiamo da vendere. Saremo in grado di recuperare il tempo che stiamo perdendo perché siamo fortissimi.

Sicuramente, anche perché dobbiamo prendere l’esempio di quella generazione che purtroppo sta scomparendo ora, e che ci ha raccontato la guerra.

Purtroppo sì, anche a Bergamo tanti imprenditori, industriali e uomini di cultura che sono stati punti di riferimento ora non ci sono più, e anche per questo c’è preoccupazione. Sono sicuro ce la faremo anche per la loro memoria.

Massimiliano Beneggi