Le Erisu sono una rock band al femminile nata nel 2020. Proprio la femminilità è al centro del loro racconto musicale. Il nome del gruppo, infatti, deriva da Eris, la dea della discordia che la mitologia greca narra nella sua vendetta per il mancato invito a un banchetto nuziale: gettò sul tavolo una mela d’oro incidendovi sopra la frase “Alla più bella”, scatenando la rivalità tra Era e Afrodite. Un’immagine che, però, le quattro ragazze (che si fanno chiamare con nomi di dee sumere, quali Nenlu, Nantu, Ninlim e Nunrim) hanno voluto rivedere in un’accezione di rivalsa femminile positiva: “Eris è una figura che si ritrova più volte in diverse religioni e parti della Terra”, dicono all’unisono. A loro infatti non piace il termine “vendetta”, preferiscono parlare di “rivincita” e “ricerca di libertà”, che è quella che emerge un po’ in tutti i loro brani che spesso ritrovano proprio l’idioma sumero. La rivoluzione musicale è qui e arriva con messaggi precisi. Di loro quindi parliamo oggi, come giovani talenti di rilievo sulla scena musicale.

Voci contrastanti (due contralti e due soprani) per un metal rock dalle ambizioni internazionali, che quest’anno ha risuonato con successo anche al Teatro Ariston per il Sanremo Rock. Il loro ultimo album, Heavy Goddesses, vanta collaborazioni importanti anche maschili (“Perché concentrare l’attenzione sulla donna non deve significare mettere l’uomo in un angolo”) come il chitarrista Andy Panigada e il leader dei Death SS, Steve Sylvester. Basta ascoltarle per capire che le loro sperimentazioni armoniche e la passione per il bel canto vanno oltre la più tradizionale immagine che si ha del metal: qui c’è musica vera. E loro infatti, oltre che cantanti, sono anche musiciste. Le abbiamo incontrate a Milano qualche giorno fa.

Perché proprio Eris?

Ci siamo chieste, come mai la sua figura è sempre marginale e mai centrale? All’inizio nella mitologia greca compariva spesso, poi è sempre più sporadica in ogni narrazione. Ci ha incuriosite.

Parlare di dee femminili sembra già di evocare il passato, eppure voi siete più che mai moderne.

È così: la storia insegna sempre a vivere anche il presente e il futuro. Ora siamo in un’epoca di religioni rivelate che vanno verso una divinità unica maschile, quindi ci domandiamo che fine ha fatto il femminino sacro? Si può recuperare? La dea Eris sta cercando di palesarsi e noi non la vediamo o non si palesa più? 

E vi siete date una risposta?

Erisu è la manifestazione contemporanea della dea Eris.

Nascete come band nel 2020, in piena pandemia.

Volevamo fare tanti concerti, avevamo l’idea di esibirci e ne parlavamo tra noi. Il lockdown ci tagliò le gambe sotto questo punto di vista, ma ci ha dato la possibilità di lavorare ancora di più sul concept, sui brani. Abbiamo potuto riflettere e lavorare insomma.

Tante riflessioni e buoni propositi del 2020 si sono dispersi: quella dell’attenzione al femminile invece prende sempre più forza.

Abbiamo tutti bisogno di evasione nel quotidiano. Erisu si presta molto bene all’evasione. Oggi il tema ha possibilità di fiorire davvero, perché se viene accolto significa che chi lo cerca lo vuole davvero, non perché sia imposto o comunque proposto dalle buone intenzioni dello stare a casa in lockdown.

Come si esprime la vostra evasione nel quotidiano?

Lèggiamo fantasy, guardiamo film horror. E sogniamo molto, a occhi aperti e anche di notte. Poi ci riuniamo e ci raccontiamo le nostre idee: così nascono le canzoni.

Il vostro look anni fa sarebbe stato trasgressivo, oggi è più trasgressivo fare i bravi ragazzi.

Noi non vogliamo essere trasgressive, siamo coerenti col concept: se poi questo coincide con l’andare in giro con cappuccio nero, i veli in testa ecc..questo è un aspetto visivo che va a nostro favore ma il nostro obiettivo è presentare ciò che siamo: Erisu.

Qual è quindi il vostro messaggio principale?

Vogliamo sottolineare il concetto di ancestrale: troviamo la bellezza nell’ ancestrale. La Dea Madre era era lei: sebbene l’umanità abbia trovato le sue vie, veniamo tutti da una cosa sola, senza distinzioni ed etichette.

Massimiliano Beneggi

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