Anno 2025, pendiamo ancora dalle labbra di Roberto Benigni. Nella serata del 19 marzo, giorno in cui il Parlamento italiano si divide su posizioni europeiste, ecco andare in onda in prima serata su Raiuno, Il sogno. Anzi, l’incubo. Più che un programma televisivo, un programma politico e un manifesto di quanto sia bello essere europei secondo Roberto Benigni. Ancora una volta, l’Italia si divide ma si ritrova a sorbirsi il comico toscano (in questo caso si potrebbe anche usare il termine ex comico senza paura di risultare offensivi, perché è chiaro che l’intento di Benigni sia quello di catechizzare più che di fare ridere). Parla, senza un linguaggio che gli appartenga, proprio di Ventotene, citata da Giorgia Meloni in giornata e dimenticata da tutti fino al 18 marzo; attacca il nazionalismo di destra mettendosi in cattedra; si arruffiana con la generazione dei giovani di oggi, dichiarandoli come i più istruiti di ogni epoca. Sarà, ma sono anche quelli del calippo tour e degli influencer più disparati.

Ormai Benigni è una tassa da pagare col canone Rai: qualcuno ha deciso di farlo passare per “poeta santone” e nessuno ha mai avuto il coraggio di opporsi. Il rispetto per l’età impone che la speranza che questo succeda sia sempre più limitata, quindi anche ieri sera ennesimo comizio travestito da “lectio magistralis”.

Sono passati quasi trent’anni dal successo de La vita è bella, con cui il regista e attore toscano commuoveva il mondo intero, riscattando definitivamente epoche trash di Televacca, pseudogag e insulti al Papa. Ne sono trascorsi 23 da quando si presentò sul palcoscenico del Festival di Sanremo cantando Quando t’ho amato e recitando Dante, per trovare il nuovo filone che lo avrebbe accompagnato nei tempi a seguire, insieme all’immancabile satira contro Berlusconi. Ora che non c’è più il Cavaliere, a Benigni è rimasto solo il ruolo di intellettuale: non sforna più film ormai da quel flop clamoroso che fu La tigre e la neve, si cimenta solo in esegesi piuttosto retoriche. Una volta sull’inno di Mameli, un’altra sull’unità nazionale, ora sull’unità europea. Argomento che, peraltro, non lo vede particolarmente vincente: se c’è una cosa che non siamo ancora stati capaci, a torto o a ragione, di capire è proprio la nostra cittadinanza europea. Ci sentiamo anzitutto italiani, senza se e senza ma: il primo a farlo è proprio Benigni, che nel suo comizio su Raiuno precisa con orgoglio come sia proprio il nostro Paese ad avere fondato l’Europa, uscendo dal fascismo. Saremo anche europei, ma all’orgoglio nazionale non si rinuncia.

Si contraddice, parla di argomenti che non conosce (come quando dice che gli inglesi si pentono della Brexit: ne è certo?), difende l’euro (“perché ai giovani non interessa tornare alla lira che non hanno nemmeno mai conosciuto”), diventa ora vaticanista sostenendo il Papa, si improvvisa moralista: ormai Benigni è tutto il contrario di quello che è stato fino a quando non vinse il Premio Oscar.

Ma esattamente, quando e chi ha deciso di affidare a Benigni la patente di poeta a cui dobbiamo ogni nostro sapere? Non si potrebbe fare a punti anche quella patente, che forse oggi non ha la stessa credibilità di 25 anni fa? È giusto pagare col canone Rai un personaggio che prova a dogmatizzare senza alcuna reale cultura? Insomma, chi ha deciso che Benigni sia una tassa da pagare di tanto in tanto?

Massimiliano Beneggi

VUOI LA TUA PUBBLICITA’ SU TEATROEMUSICANEWS?

Scrivici a teatroemusicanews@gmail.com e specifica nell’oggetto PUBBLICITA’ TMN