«A Palermo, tutti possediamo una costellazione del lutto in cui le stelle sono persone ammazzate da Cosa Nostra». Partendo dalla cronaca degli anni Ottanta e dalle bombe del ‘92, intorno alla quale costruisce una coinvolgente intelaiatura biografica, Davide Enia, artista associato, torna al Teatro Grassi di Milano (via Rovello) – dal 25 marzo al 17 aprile con Autoritratto, per tracciare «un autoritratto intimo e collettivo» di una comunità costretta a convivere con la continua epifania del male.

«Affrontare per davvero Cosa Nostra – racconta Davide Enia – significa iniziare un processo di autoanalisi. Non volere quindi capire in assoluto la mafia in sé, quanto cercare di comprendere la mafia in me.» 

Foto Andrea Veroni

Intrecciando cunto e parole, corpo e dialetto, «gli strumenti che il vocabolario teatrale ha costruito nella mia Palermo», Enia esplora quella che definisce la nevrosi dei suoi concittadini nei confronti della criminalità organizzata: «Per diverse ragioni, da noi la mafia è stata minimizzata, sottostimata, banalizzata, rimossa o, al contrario, mitizzata. Ovvero: non è mai stata affrontata per quello che è.»

 Lo spettacolo racconta i continui incontri con Cosa Nostra: i cadaveri incontrati per strada, le persone conosciute uccise dalla mafia, le bombe in città, l’apparizione del male, «il sacro nella sua declinazione di tenebra», alla quale l’artista risponde con «un lavoro che è una tragedia, un’orazione civile, una interrogazione linguistica, un processo di autoanalisi personale e condiviso. Un autoritratto al contempo intimo e collettivo.»

Parla così Claudio Longhi, direttore artistico del Piccolo:

Nel suo romanzo d’esordio, Così in terra (2012), Davide Enia scriveva: «Se c’è una cosa che la Mafia non ha, ed è quello che prima o poi la fotterà, è la capacità di capire la bellezza». Ed è proprio la bellezza – intesa non come vuoto estetismo, sfoggio esteriore di artifici, ma come capacità di fare a meno del “superfluo” per andare dritto al cuore della realtà – a contraddistinguere da sempre il percorso artistico dello stesso Enia, animato da una palpitante e urgente passione etico-civile e sorretto da una vivida architettura epico-corale.

Ne è ulteriore prova quest’ultimo lavoro, Autoritratto: distillato purissimo di una tradizione monologante che si radica nel cunto e risplende in una partitura di suoni e ritmi, dove le parole si sposano con i gesti e i silenzi, perché – secondo un adagio palermitano spesso ricordato da Enia – «’a megghiu parola è chìdda ca ’un si rìce» («la miglior parola è quella non detta»). Il lavoro di Enia vive, riluce, si innerva del patrimonio espressivo del dialetto siciliano, atto d’amore per la propria terra e la propria lingua: e, in quanto tale, manifesto di denuncia che, con lucido rigore e umana pietas, scava tra le devastazioni di Cosa Nostra, presenza pervasiva e insieme fantasmatica.

Con la sua testimonianza, Enia racconta una storia che è di tutti noi: ci aiuta, così, a cambiare il nostro respiro e a liberarci dagli effetti anestetizzanti dell’epoca del «trauma senza trauma» (Daniele Giglioli). C’è in lui una maestria antica – e, dunque, profondamente contemporanea – che lo porta a incarnare quanto lo studioso di teatro Claudio Meldolesi affermava a proposito dell’attore in scena: «non è fino in fondo un uomo dell’attualità; […] egli avvicina il pubblico con sapienza lontana. L’attore ci offre una dimensione primitiva del presente».

VUOI LA TUA PUBBLICITA’ SU TEATROEMUSICANEWS?

Scrivici a teatroemusicanews@gmail.com e specifica nell’oggetto PUBBLICITA’ TMN