Gaffe di Paolo Ruffini e Paolo Bonolis nel corso della trasmissione radiofonica Up&Down. Al centro del dibattito, l’invenzione della serata cover al Festival di Sanremo.
“La serata delle cover (a Sanremo) l’hai introdotta te?”, chiede Ruffini al conduttore di Avanti un altro. Bonolis, tronfio, sottolinea: “Sì, nel 2005 parlai con i cantanti in gara e dissi loro Perché non vi divertite, voi che conoscete la musica, a giocare con la vostra musica? Cantate la vostra canzone cambiandola completamente nel genere e nel ritmo. Un pezzo fatto classico diventava fatto rock, chiamate chi vi pare! Questa cosa la facemmo nel 2005 e nel 2009, poi da lì divenne la serata delle cover”. E rivolgendosi a Ruffini: “L’hai riconosciuto solo te, grazie di averlo fatto: il 2005 è un anno dimenticato”.

Parzialmente quello che afferma Bonolis è vero. In realtà il racconto ha delle inesattezze. Già nel 1996, infatti, Pippo Baudo aveva introdotto in qualche modo la serata cover. Era il secondo anno in cui il Festival durava cinque serate: anziché dedicare il venerdì completamente ai Giovani, Baudo decise di alzare l’interesse del pubblico presentando anche i 20 Big. Nella serata del venerdì, quindi, i Campioni cantavano il loro brano in gara in un solo minuto, che potevano gestire come meglio credevano, scegliendo come interpretarlo e da che punto cominciare. La possibilità di cambiare il pezzo c’era insomma, anche se in effetti tutti abbastanza canonici, tranne Elio e le Storie Tese. Questi presentarono una versione originale de La terra dei cachi, interpretandola a velocità triplicata per cantare completamente il testo in gara, usando meno di un minuto.
Un’esibizione storica, forse l’unica vera cover sanremese di quegli anni. L’esperienza fu poi ripetuta da Baudo anche nel 2002 e nel 2003, sebbene tutti si limitassero a cantare la seconda strofa e il ritornello. In un certo senso è vero, la serata cover a tutto tondo arriva con Bonolis nel 2005 e nel 2009. Difficile onestamente, però, parlare di una formula riutilizzata negli anni a venire, per cui si debba ringraziare Bonolis (artefice comunque di due grandi Festival innovativi anche per altri fenomeni, come la reintroduzione delle eliminazioni): la serata cover venne ripetuta infatti solo nel 2010, nel 2018 e nel 2019. L’ultima volta che ci fu quel tipo di serata cover in senso stretto (brano in gara, eseguito in forma diversa anche con eventuali ospiti) vinse grazie alla Giuria d’onore Motta che cantava la sua Dov’è l’Italia insieme a Nada.
La verità è che quando Ruffini parla con Bonolis su Radio 24, sta facendo riferimento probabilmente al meccanismo della serata duetti, quella sì diventata una tradizione e reintrodotta dal 2022 dopo pochi anni in cui era stata cancellata. La serata duetti è quella in cui i cantanti si esibiscono insieme ad altri ospiti con brani già parte della storia musicale. Altra cosa rispetto a una cover, il cui obiettivo è valorizzare una canzone nuova, non celebrare qualcosa di già divenuto storico: onestamente, ha senz’altro più senso l’idea di Bonolis, mutuata da Baudo, se si parla di un Festival di canzoni inedite.
A voler essere ancora più sinceri, bisognerebbe ammettere che forse anche l’idea della serata duetti, reintrodotta da Morandi nel 2011, venne mutuata da quella inventata da Tony Renis nel 2004.
In qualità di direttore artistico del Festival di Sanremo (quello boicottato dalle major discografiche e dove lo stesso Renis bocciò a quel punto i pochi veri Big che si erano presentati, per accogliere un cast di quasi soli giovani) Renis ideò una serata revival, in cui oltre ai cantanti in gara, ci fossero anche ospiti che si esibivano (per conto loro) in vecchi successi sanremesi.
Insomma, mettiamola come vogliamo ma nessuno ha davvero inventato nulla, se non Pippo Baudo nel 1996 e Tony Renis nel 2004. Nessuno si è dimenticato del 2005 come sostiene Bonolis (tutti anzi ricordano la canzone vincitrice, Angelo di Renga), ma lui si è dimenticato di Baudo e della differenza tra cover e duetti.
Massimiliano Beneggi