È cominciata ieri una nuova trasmissione su Raitre: si intitola Il caso e lo conduce Stefano Nazzi il mercoledì in prima serata. Casi di cronaca nera, diventati mediatici per l’interesse del loro argomento o, al contrario, diventati interessanti per la loro risonanza mediatica.

C’è comunque sempre un motivo se certi casi di cronaca nera coinvolgono l’opinione pubblica più di altri. Dipende dal ruolo giocato dalla vittima o dall’assassino, nonché dal contesto sociale, quindi dalla serie di bugie che fanno scoprire il lato più oscuro di insospettabili omicidi. Difficilmente c’è un accanimento mediatico per cui scelga una storia tanto per averne una di cui parlare, come invece siamo soliti immaginare. È una convinzione che facciamo nostra perché, dopo qualche settimana dall’inizio dei casi, ci sentiamo eccessivamente tempestati da certi dibattiti che si trasformano in processi nauseanti e impertinenti. Finiamo così per fare confusione tra ciò che è argomento di giornalismo e quanto diventa esasperazione in nome degli ascolti.

Il caso aiuta proprio a recuperare il racconto giornalistico. Senza sensazionalismi o processi in tv, Nazzi si limita (magari facessero tutti così!) a ripercorrere con dovizia di particolari crimini diventati tristemente famosi. Nessuno, nemmeno tra gli ospiti, esprime un’opinione: si raccontano i fatti come se si stesse leggendo con attenzione l’archivio di un commissariato. I fatti, nudi e crudi. In questo modo, senza essere distratti da idee esterne, si capisce che le conclusioni degli inquirenti non potevano che essere quelle. Ci si confronta nuovamente con dettagli che il tempo ha fatto dimenticare. Nazzi non muove un muscolo facciale per indicare da che parte stia: i casi che affronta sono quelli che sembrerebbero ormai non avere altre vie d’uscita (nella prima puntata si parla di Yara Gambirasio). Rimane solo lo sdegno per l’assassino e, soprattutto, il rispetto per la vittima.

Il caso è quindi un bel programma di approfondimento che, col senno di poi, fa luce sulla cronaca e aiuta a comprendere quanti passi in avanti faccia continuamente il codice forense. In un periodo in cui i casi di cronaca sembrerebbero fare venire meno la fiducia nella giustizia, questo programma diventa una ventata di ossigeno. Purtroppo ormai le vittime non possono più difendersi, ma ora che ci siamo messi l’anima in pace sulla loro scomparsa diventa più facile anche per noi una narrazione a mente lucida. Approfondimenti ben costruiti, che non risparmiano nessun momento delle indagini, con un racconto al presente che rende quindi interessante il giallo anche per i pochissimi che non conoscano le vicende. Con gli ospiti, come si diceva, nessuna opinione ma solo delucidazioni: un esperto per esempio racconta come gli insetti siano stati fondamentali per ricostruire l’orario della morte di Yara. Indizi che arrivano da dove meno te lo aspetti, storie che a volte i media hanno reso ancor più complesse di quanto già non fossero. Ora, invece, il media aiuta a raccontare la verità. Questo è servizio pubblico: una vera lezione di giornalismo. Nell’Italia dove ci sentiamo in dovere di dire la nostra su qualunque argomento, andava messo un paletto almeno su temi così delicati: Nazzi lo ha fatto, con i toni rassicuranti di chi sa le cose ma non deve sottolineare la propria cultura infarcendola di opinioni personali.

Per ora sono previste altre tre puntate (caso di Cogne, Meredith, Donato Bilancia), ma il programma potrebbe ripartire con altre puntate già in autunno.

“Il Caso” è un programma scritto da Stefano Nazzi e Marco Pisoni, diretto da Alessandro Tresa e prodotto da Ballandi per Rai Cultura. Delegato Rai, Luisa Pistacchio.

Massimiliano Beneggi

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