Grande Fratello è terminato, con un risultato decisamente sotto le aspettative come ammesso recentemente anche da Piersilvio Berlusconi. Disilluse le attese di tutti, compresa Simona Ventura che aveva accettato con entusiasmo di tornare a Canale 5 con quello che fu il padre di tutti i reality. Con onestà, bisogna ammettere che chiunque pensava che Grande Fratello avrebbe ritrovato nuova linfa quest’anno: troppo facile criticare col senno di poi. Va da sé, tuttavia, che ora sia arrivato il tempo di fare delle riflessioni intorno alla trasmissione che prosegue da ormai 25 anni. Simona Ventura continua a non essere fortunata con il GF: nel 2004 il reality di Canale 5 la travolse negli ascolti contro il suo Festival di Sanremo, autentico flop (il secondo meno visto della storia). Ora la storia le continua a giocare a sfavore.

Se il ritorno alla versione Nip non ha funzionato, la colpa non è comunque della conduttrice, degli autori o dei concorrenti, ma di un format che ha stancato. Esattamente come un tempo aveva annoiato il varietà, ora il reality ha bisogno di una pausa. Lo dicono i numeri, per cui Un professore, giunto alla terza edizione (pessima, lontana dai fasti delle prime due) ha perso contro gli speciali de La ruota della fortuna, riscoprendo uno share vincente solo una volta che gli è stato controprogrammato Grande Fratello. Questo significa solo una cosa: non è Gassmann a vincere, ma è il reality a uscire sconfitto.

Non funzionano più, almeno in questo momento, nullafacenti in casa che cercano una popolarità senza poter mettere in mostra un certo talento. Non interessa più osservare il comportamento di umani disumanizzati in una dimensione che li rende asociali. L’esperimento ha perso smalto e le ragioni potrebbero essere di diversa natura. A cominciare dal cambiamento epocale.

Dobbiamo riconoscere di essere diventati sempre più asociali noi stessi: smartworking e cellulari ci hanno portati a vivere idealmente una realtà in fin dei conti non troppo diversa da quella dei concorrenti del Grande Fratello. E’ una triste considerazione che ci mette a confronto con quanto accade e che dal 2020 in avanti, con il Covid, ha smesso ulteriormente di appassionare. Si aggiunga che quando cominciò Grande Fratello, nel 2000, c’erano molti meno sconosciuti in televisione: oggi non passa giorno in cui accendendo il piccolo schermo non si veda un debuttante proveniente da social, talent o reality, che più compaiono come funghi e più aumentano la nostalgia di quelle trasmissioni dove la gente comune era semplice spettatrice, al massimo concorrente dei quiz. Il filosofo francese Guy Debord lo diceva decenni fa: se lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma diventa un rapporto sociale tra persone mediato da immagini, si innesca il tentativo di fare dell’apparenza il valore supremo. Ecco, il reality show vuole fare discutere, vuole essere esattamente ciò che Debord scongiurava potesse accadere. Lo è sempre stato, ma ora il pubblico è nauseato.

L’effetto curiosità è svanito anche per questioni sociali. Il reality non è morto per sempre, ma non conosce più innovazione e ormai sono state provate tutte per riabilitarlo, ma è un’impresa impossibile almeno per il momento. Torniamo al varietà e al quiz: Gerry Scotti sta dimostrando che funziona.

Massimiliano Beneggi

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