Ha esordito ieri sera a livello nazionale, al teatro Carcano di Milano, La camera azzurra, lo spettacolo scritto da Georges Simenon, interpretato da Fabio Troiano, Irene Ferri, Giulia Maulucci, Mattia Fabris diretti da Serena Sinigaglia. Si tratta della prima trasposizione teatrale dell’omonimo romanzo erotico noir.

UNA STORIA PSICOLOGICA

Quattro personaggi sul palco. Una scenografia meravigliosa con un palco in pendenza su cui gli attori si muovono con disinvoltura all’interno della Camera azzurra. Tante allegorie, messaggi e frasi dette, magari solo col cervello, forse solo pensate ma comunque espresse anche a chi non dovrebbe sapere. E alla fine il colpo di scena svela cosa sia davvero quella camera azzurra: un luogo apparentemente etereo, un’isola felice che non fa entrare i giudizi e i moralismi, e tutto sommato nemmeno l’amore, ma unicamente una passione travolgente. Eppure, attraverso pensieri e paure, finita la passione ci entrano un po’ tutti. A cominciare dalla moglie di Tony, troppo innamorata per lasciare l’uomo che a sua volta continua ad amarla nonostante le abitudini e le difficoltà quotidiane. Nella camera azzurra c’è anche il giudice che deve esprimere una sentenza su un delitto efferato ai danni del marito di Andreas, interpretato da una intensa quanto audace Irene Ferri. Le conclusioni del giudice si rivelano le più scontate per la situazione, ma nascondono un irrisolto psicologico che lui stesso non riesce a superare per empatia con la storia e sensi di colpa che lo divorano. E lo massacrano ogni minuto di più in cui vuole sentirsi ripetere tutti i dettagli più intimi (a volte forse un po’ eccessivi) della relazione clandestina dei due imputati. Un interrogatorio a cui sono presenti tutti, con flashback e comunicazioni interconnesse che tengono il pubblico concentrato fino alla fine, perché solo dopo un’ora e mezza si svela in che modo sia possibile una situazione simile.

ATTORI CONVINCENTI SU UN TESTO DIFFICILE

Fabio Troiano su tutti si supera con una prova da attore formidabile, lasciando trasportare tanta emozione che il cinema non fa esplodere alla stessa maniera. Irene Ferri catapultata in un personaggio decisamente meno empatico, a volte rischia di cadere intrappolata in un fastidioso eccesso dei suoi sfoghi, ma riesce a far prevalere la sua anima da attrice ormai consumata. Da applausi anche Fabris, intenso nel ruolo del giudice di cui ci fa vivere con dettaglio le ossessioni; la Maulucci è precisa, puntuale e perfetta nel suo ruolo di moglie tradita che prova a proteggere il matrimonio. Il climax di tutto lo spettacolo con il finale intensamente sottolineato dalle musiche di esaltano una storia a tratti complicata da seguire ma decisamente innovativa, degna del grande teatro d’autore, anche se forse si tratta di un testo davvero troppo legato al suo successo letterario per essere portato sul palcoscenico Dove, per esprimersi al meglio e farsi comprendere dal pubblico, deve lasciare spazio a qualche ripetizione di troppo. Anche per questo la prova dei quattro attori è ancora più impegnativa e da sottolineare.

Il Carcano prosegue, dopo Il grigio, con una scelta coraggiosa e importante: un testo psicologico, che non cade nella tentazione di diventare commedia anche quando la situazione potrebbe consentirlo, e che lascia il pubblico ad applaudire a lungo gli attori sul finale.

L’ETERNO DILEMMA

Ciascuno si sarà potuto identificare nel personaggio che riteneva più opportuno: la maggior parte lo avrà fatto nel moralismo del giudice, che sembra il più corretto e quindi più facile da sentire vicino. Eppure, quando vogliamo sentirci giudici quasi mai facciamo la scelta giusta, perché stiamo cercando delle risposte per noi stessi, cercando di ribaltare il nostro ruolo di imputati. La via dell’opinione, di parmenidea memoria, è quella del non essere: la vita è solo quella che si presenta concretamente, tutto il resto rimane solo probabilità, ipotesi. E in quella camera azzurra, solo una persona ha deciso di essere, e di vivere la sua vita e le sue passioni senza dar conto minimamente del pensiero altrui. E guarda caso, è quella che il giudizio moralista considera la parte più infida e scorretta. Però lei è, gli altri si affidano alle opinioni. Ancora una volta, l’eterno dilemma torna a interrogarci su chi vogliamo davvero essere e chi ci impone di essere la società, contro il nostro volere.

Massimiliano Beneggi