TUTTI LAUREATI IN DUE GIORNI

Ce lo chiediamo tutte le settimane, in un modo o nell’altro, su questo sito: a che punto è la nostra cultura? In queste ore in cui per strada si capisce come in tanti siano diventati medici, infettivologi, politici, scienziati, antropologi, sociologi quando non psicologi, nasce una spontanea domanda: quand’è che hanno conseguito la laurea nonché la conoscenza di certi argomenti tutte queste persone? Sì insomma quelli che ora ripetono parole come virus, quarantena, contagio, cinesi, sushi (che per inciso è giapponese) in quale momento hanno sviluppato tutta questa cultura? Semplice: dalla tv e addirittura dai social. L’allarmismo è scattato venerdì sera, dopo i casi accertati di coronavirus nel Nord Italia, che hanno portato le televisioni a ricordarsi di avere delle redazioni giornalistiche per fare anche dell’informazione e degli approfondimenti in prima serata. Peccato che anche questa volta si sia persa l’occasione di fare una reale informazione: e così tutto è finito in una caciara politica che ha generato solo tanta confusione. Solo che questa volta l’argomento è serio, e chi ha parlato in televisione ha persino ironizzato pensando di portare dalla propria parte i telespettatori che, sentite due parole, hanno subito iniziato a scrivere sui social. E via: da quel momento il tentativo di fare cultura in televisione è svanito come niente fosse.

L’INFORMAZIONE DEI SOCIAL

Jannacci, medico prima che artista, diceva che il più grande progresso della medicina fosse l’invenzione di tante malattie. Forse sbagliava, aveva dimenticato il supporto in queste invenzioni anche della politica…e ora dei social. Ma non poteva prevedere questo il buon Enzo.

Poco importa se le influenze sottovalutate e poi rivelatesi polmoniti abbiano sempre generato vittime. A nulla interessa se ormai visti i tempi di incubazione abbiamo rischiato senza essere consapevoli di cosa poteva accadere. La prevenzione viene guardata con sospetto e paura. Ora in metropolitana a Milano chiunque si riempie la bocca di quei paroloni che rendono esperti anche gli ignoranti: si scapperano dopo essersi retti agli appoggi dei mezzi pubblici, dopo avere fatto massaggi romantici fino a due giorni fa facendosi ravanare in ogniddove da giovani cinesine, ora rimpiazzate da centri massaggiferi italiani (notoriamente puliti e senza rischio di trasmettersi batteri) ma hanno la sciarpa fino agli occhi. Sono persone sagge oltre che furbe. Nella mano destra infatti tengono la fonte delle loro conoscenze: lo smartphone, incessantemente collegato con Facebook, pronto a ricordare a ognuno che esiste un virus per il quale è meglio non socializzare con nessuno. Il post dell’amico diventa notizia, come quell’audio inviato dall’amica dell’amica che parla di un accordo con la Protezione civile e che sta circolando in queste ore. E mentre trovano una scusa per la loro egoistica misantropia, ecco che scoprono finalmente come la vita reale non possa essere ridotta a quella di internet. C’è necessità di contatti veri. Di conoscenze vere e non soltanto riportate. C’è bisogno di cultura.

LA CONTRADDITTORIA SUPPONENZA

Riproponiamo l’allarme della peste raccontata nei Promessi Sposi con supponenza culturale e nel frattempo non sappiamo se quando c’è l’ora legale si spostino le lancette indietro o avanti; non sappiamo se il Carnevale inizi questa settimana o se stia già finendo. Tanto ce lo racconterà Facebook in qualche modo: prima o poi un contatto tra i nostri amici posterá una foto con una maschera acquistata in cartoleria e non in farmacia. Seguiamo con ossessione le storie malate del Gf Vip, ora invidiandoli per il loro isolamento da ogni forma virale più che per il loro strapagato dolce far niente. E tra un post informativo e l’altro, mentre ci chiudiamo in casa anziché aprire un libro cerchiamo su internet la prossima vacanza all’estero. Perché quando andremo in vacanza, qualunque sia il momento, non ci sarà più l’allarme. Lo abbiamo deciso noi, dall’alto della nostra onniscenza. E delle due l’una: o i politici si sono mossi in ritardo e ora corrono ai ripari già sapendo che l’epidemia sarà fortissima in breve tempo, oppure ci stanno creando solo un disagio enorme, psicologico, economico e non solo.

LA SOCIALIZZAZIONE CULTURALE PER RINSAVIRE

Ascoltare le nuove e le vecchie canzoni lasciandoci coccolare dalle poesie e dall’arte delle sette note. Andare a teatro a capire meglio la nostra anima e l’assurdità delle nostre ossessioni con La coscienza di Zeno o a scoprire le battaglie vinte da chi ha difeso l’apparentemente indifendibile come ha fatto Don Chisciotte, servirebbe questa settimana più che qualunque mossa antisociale. Soprattutto se l’iniziativa deve poi essere un motivo di vanto con una story su Instagram: si fa fregio sui social di non volere socializzare, siamo all’apoteosi della assurdità. Ecco a che punto è arrivata la nostra cultura. Se fossimo più antisocial e meno antisociali, forse saremmo già in grado di avere quel coraggio di Don Chisciotte e quella consapevolezza di Zeno. Torneremmo a preoccuparci dei video virali di Corona più che del virus Corona. Invece ci preoccupiamo perché non potremo andare allo stadio, dove saremmo andati volentieri a prescindere da qualunque raffreddore. In fondo, per molti, il virus è solo una scusa per rifugiarsi lontani dalla cultura. Ma lo capiranno solo dopo che saranno passate queste settimane di paralisi, in cui nessuno si domanda se non ci sia stato un boicottaggio ai danni di una delle poche etnie che ci ha fatto crescere negli ultimi anni. Chi si interessa di culture lo sa.

Massimiliano Beneggi