E’ la voce italiana più calda di sempre, con uno stile inconfondibile. L’Elvis nostrano come è sempre stato definito, è in realtà molto di più: in lui ci sono il rock, la melodia, il country, il blues. Ascoltare la sua voce equivale a perdersi nella pienezza di un timbro che ti avvolge e ti coccola anche quando ti fa ballare ed è sempre irresistibile.
Bobby Solo, 75 anni compiuti a marzo, è una delle maggiori icone della nostra musica, che non smette di sorprendere per la sua energia e l’entusiasmo che trasmette continuamente anche in questo periodo di quarantena con varie dirette social in cui canta i suoi più grandi successi e non solo, trasformandosi in una sorta di juke-box vivente. Perché la musica, per lui, è anzitutto sempre una passione con cui potere giocare. Tanto che, quando nel 1992 cantò con la voce del gallo protagonista in Eddie e la banda del sole luminoso, si disinteressò della percentuale sulle vendite e chiese solo una cifra forfettaria. Pilastro della nostra canzone, vincitore anche di due Festival di Sanremo (1965, Se piangi se ridi, e 1969, Zingara -clicca qui per leggere l’intervista a Iva Zanicchi-), mantiene da sempre l’umiltà e la voglia di sperimentare come pochi sanno fare. Antesignano a suo modo della formazione di assembramenti (come racconta Eddy Anselmi nel suo libro Il Festival di Sanremo edito da De Agostini) quando nel 1980 improvvisò uno show con Jack La Cayenne fuori dall’Ariston, interrotto dai vigili per intasamento del traffico, Bobby Solo da qualche mese è balzato ai primi posti della classifica Euro Indie Music, come autore di un brano denuncia cantato da Angelo Seretti, che clamorosamente anticipava la trasformazione del nostro pianeta parlando anche di virus. Protagonista di tanti concerti rock and roll e blues, indimenticabile nelle sue Una lacrima sul viso, Domenica d’agosto, San Francisco, Non c’è più niente da fare, Una granita di limone, Siesta, eccolo allora in questa bella intervista, al termine della quale dopo l’ospitata a Sanremo tre mesi fa, lancia un messaggio ad Amadeus…
Bobby con Fuga dal pianeta Terra insieme ad Andrea Balestrieri, autore insieme a te del brano, sei stato in qualche modo profetico rispetto ai tempi che stiamo vivendo.
La cosa eccezionale è che è uscita qualche mese fa, prima della pandemia, ma si tratta di una canzone che avevo scritto nel lontano 1995 per un album, Quindicesimo round, che ha avuto molta sfortuna e per mille casi non è mai stato pubblicato. Collaborai con questo ragazzo punk dai capelli lunghi, Andrea Balestrieri, con una grande capacità di scrivere, e così scrisse le parole anche di Fuga dal pianeta Terra, di cui sono autore della musica. Mi ispirai a una musica di JJ Cale tra blues e country rock. In effetti è vero, ha fatto pensare anche a me l’attualità di quel brano, soprattutto quando dice “Il vento eros soffia da est, pochi virus pochi test”. Quel lavoro all’epoca mi costò un capitale, ed è una produzione a cui tengo ancora tantissimo, anche perché suonarono straordinari musicisti di prima fascia come Maurizio Galli, Marco Manusso, Fumanti. Non sono mai riuscito a distribuire questo progetto, ma chissà mai: le cose profetiche poi trovano fortuna a volte. Forse ora riusciremo…
La musica ha avuto un ruolo centrale in questo periodo: in tanti fate dirette Facebook in cui vi esibite in dei mini live. Il mondo dello spettacolo è tra quelli che rischia maggiormente la crisi: verrà ripagata questa generosità del mondo musicale?
Sono molto felice di cantare per tutte le persone che amano la musica: nelle mie dirette non canto solo le mie oldies but goodies (le vecchie canzoni, ndr) ma esploro tutti i generi possibili, da Elvis al gospel, passando per Johnny Cash, Eagles, B.B. King, lo spiritual. Ho un’anima musicale a 400 gradi, 360 non basterebbero: mi piace troppo cantare, sperimentare. E’ bellissimo vedere tanti colleghi condividere questa passione col pubblico: credo sia nobile cercare di alleviare il terribile lockdown con la musica. Certo, il mondo dello spettacolo avrà delle terribili ripercussioni: ovviamente non per tutti. I manager che hanno artisti da 300, 400 mila euro a sera hanno già venduto i biglietti qualche mese fa e vivono bene. A subire la realtà sono soprattutto i tecnici e i musicisti che lavorano sempre tanto sacrificando il loro tempo giorno e notte e non guadagnano mai quanto gli altri. Io stesso posso dirti che avevo in programma cinque serate a maggio e giugno, otto all’inizio dell’estate, che sarebbero diventate poi almeno 30, e non ne farò nemmeno una. Anche economicamente, quindi, ne risentirò. Purtroppo i governi e le banche non agevolano realmente: concedono prestiti agevolati di 25000 euro per le aziende, ma se il virus dovesse continuare a lungo non ha senso farli a quel punto, perché si spende senza guadagnare e diventano mutui…Il problema è che non si capisce davvero cosa accada: il Festival di Sanremo rinviato ad aprile, per esempio, è un brutto segnale. Ma qua cambiano le informazioni nel giro di poco tempo: persino il vaccino potrebbe essere inutile se fosse vero che questo virus muta continuamente…
Cosa ti ha dato più fastidio di questo mutamento continuo di informazioni?
Dai miei 75 anni osservo cose che mi stupisco e mi confondono: si sente di dire tutto e il contrario di tutto. Io non sono un profeta, né un medico né un virologo, se vedo additare il professor Luc Montagner, che ha scoperto il virus dell’Hiv, come uno che dice cavolate, allora mi aspetto di poter leggere anche che Einstein sia un demente! Montagner sostiene che la natura rigetti il Covid in quanto è così perfetta da accettare solo i virus creati dalla natura, mentre questo è stato manipolato dai cinesi e dagli americani. Guarda caso l’articolo è stato poi rimosso. Ma penso sia verosimile immaginare che questo virus sia stato creato per fare armi batteriologiche: del resto non riesco a spiegarmi come un serpente e un pipistrello potrebbero avere fatto l’amore tra di loro. Mi incavolo perché mi chiedo: ma perché si perde tempo a fare questi esperimenti in laboratorio e non si trovano cure per l’oncologia o per l’Alzheimer?
Il fatto che siano usciti di scena in questi due mesi personaggi come Greta Thumberg forse non è casuale…
Mi fa piacere potere parlare di questo perché sono un appassionato di astronomia astrofisica. Sottolineano tutti, giustamente, che abbiamo visto le capre, le antilopi e i cinghiali nelle città: la natura si è ripulita. Consiglio però di cercare informazioni su internet anche tramite gli articoli che riguardano Alexei Dmitriev, professore di astrofisica emerito in Siberia. Lui otto anni fa disse che due sonde uscite dal sistema solare avevano trovato una nube di plasma ad alta energia di elettroni, che è a 6000 gradi Calvin ma non ci brucia in quanto siamo protetti dal vento solare. Questa nube di plasma è il resto di una Supernove esposta e sta riscaldando il sistema solare, che attraverseremo in 10000 anni, provocando esplosioni vulcaniche e tsunami inimmaginabili. Dmitriev otto anni fa ne parlava già come di qualcosa di attuale, sebbene la Nasa preferisca non parlarne. Greta quindi è tanto caruccia, ma è soprattutto un’icona sensazionale: i motivi del riscaldamento globale sono dovuti anzitutto a questa nube di plasma in cui siamo entrati. Ma ognuno dice quello che vuole e fa notizia: c’è anche chi sostiene che la Terra sia piatta, poi non si capisce perché dovrebbe esserlo mentre Marte e Giove continuano a rimanere rotondi…Fa comunque sempre parte di un sistema di informazione e di personaggi che cambiano da un giorno con l’altro arrivando e scomparendo in un attimo.
Accade così anche con la musica, quanto basta però per vendere e vivere di rendita per tutta la vita.
C’è la canzone di Tones and I, Dance Monkey, che piace tantissimo a mio figlio di sette anni e mi fa ridere enormemente vedere questa ragazzina che canta un brano che sembra per bambini. Eppure ad oggi ha fatto 959 milioni di visualizzazioni: nemmeno i video di Bublè e Sinatra sommati tra loro arriveranno mai a quelle cifre. Preferisco a quel punto i sei miliardi di visualizzazioni dei due spagnoli di Despacito, che almeno mi fanno ballare e mi entusiasmano.
Alla fine degli anni ’80 con Rosanna Fratello e Little Tony formasti i Ro.Bo.T., ed eravate ospiti fissi a Cantando cantando e Casa mia rappresentando una musica anni ’60 come pilastro della musica italiana. Sono passati 30 anni da allora, eppure non è cambiato nulla: perché la musica italiana anni ’60 continua a essere la più bella e intramontabile?
Mentre la musica classica è ormai congelata nel tempo in quanto immortale, la cosiddetta musica leggera è sempre la colonna sonora del presente. Negli anni ’60 c’era la grande voglia di rinascere economicamente, la gente voleva ballare stringendosi nelle feste in casa con Sapore di sale, mentre d’estate c’era solo il desiderio di essere spensierati e vedere le ragazze in bikini: era un periodo felice insomma, e per questo si rimpiange. Negli anni ’70 dopo la guerra del Vietnam sorsero altri problemi politici, la congiuntura, il rapimento Moro: fu un periodo più cupo raccontato dalle stesse canzoni. Gli anni ’80 videro l’arrivo della dance e la voglia di fare i matti in discoteca. Funziona da sempre così. Ora la trap, piaccia o non piaccia, è la colonna sonora del tempo in cui stiamo vivendo.
Quindi la serenità degli anni ’60 consentiva anche un’ispirazione più spontanea?
La musica leggera italiana è sempre stata un misto di tante realtà: di canzoni napoletane, che riprendono alcune arie pucciniane, di canti alpini, siciliani, fino alle canzoni con cui si intrattenevano le mondine. Dobbiamo riconoscere che la musica leggera anni ’60 l’abbiamo presa in gran parte dall’America, dove approdarono tante razze che portarono ciascuna la propria cultura. Elvis nel ’68 diceva che la musica americana fosse anzitutto gospel o ritmo in blues, e in effetti ci si rifaceva a quei generi. Noi ci siamo innamorati del sogno americano degli anni ’60 e lo abbiamo italianizzato con Bobby Solo, Little, Tony, Rita Pavone, ecc… Da noi, Paese cattolico dove il Vaticano ha sempre avuto una certa influenza, una canzone come Stand By Me divenne un grande successo con il titolo Pregherò: abbiamo reso nostro tutto quello che abbiamo importato.
Anna Arendt diceva che l’educazione è il momento che decide se amiamo abbastanza il mondo per salvarlo dalla rovina, lasciando spazio al rinnovamento. Tu che ti sei sempre saputo rinnovare, quale pensi che possa essere in questi termini la migliore educazione che è stata lasciata alle generazioni di oggi?
Come dicevo, la musica leggera è figlia del tempo, e il rinnovamento è sempre necessario. Per ragioni economiche purtroppo ora si usa il computer: non si usano più i microfoni valvolari e i mixer analogici degli anni ’60, e così non si usano più algoritmi ma pixel, ovvero numeri. L’orecchio umano però è fatto di carne e il digitale non è il massimo per l’orecchio. Ma ormai le generazioni di oggi non lo possono nemmeno sapere.
Qualche tempo fa Stefano De Martino da Mara Venier è incappato in una gaffe dicendo: “Bobby Solo con il playback vinse un Festival di Sanremo”. Hai trionfato due volte al Festival, ma la tua più grande vittoria morale rimane proprio quella di Una lacrima sul viso: ti sei mai chiesto perché?
Ci sono cantanti con la voce che viene dal diaframma, e altri che cantano col microfono, i cosiddetti crooner. Al contrario di alcuni cantanti che urlano e la cui voce quindi diventa artefatta, un crooner come me può fare ascoltare meglio la sua completezza con il microfono. Il Festival di Sanremo oggi ha dei mixer digitali incredibili con compressori che poi tante volte sono persino inutili, perchè se devono servire per sentire più che altro gente che alla fine parla rappando, tanto vale non usarli. Nel ’64 la tecnologia era molto povera, in Italia non avevamo le possibilità economiche degli americani: di 24 violini dell’arrangiamento se ne sentivano 8. Un cantante come me quindi poteva avere un bel timbro molto caldo ma aveva bisogno di una certa amplificazione. Inevitabilmente era più facile emergessero i cosiddetti urlatori come Modugno. Il playback quindi ci fu utile.
Quindi la laringite che ti portò al playback, dopo tanti anni possiamo dire che fosse falsa?
Non era una laringite, avevo solo un po’ di febbre. Ma le cose per la verità andarono così: dalla seconda liceo (parliamo di liceo classico, quindi a 18 anni, ndr), fui trasferito a cantare sul palco dell’Ariston. Quando alle prove vidi Paul Anka, Frankie Avalon, Gene Pitney, io che ero nato come un bambino molto insicuro, dietro a questi mostri sacri sentii fortissimo il mio senso di autocritica e di umiltà che mi fece dire: “Io non sono nessuno, cosa faccio?”. Quando provai a cantare non mi usciva il fiato. Vincenzo Micocci, direttore artistico della Ricordi, fu il mio salvatore: ebbe la genialità di farmi cantare in playback la prima sera. Il capo della Rca il giorno dopo entrò in camera mia all’Hotel Royal mentre ero lì coi medici: mi disse in romanesco che non avrei potuto cantare la seconda sera. Mi minacciò, voleva darmi un pugno perchè stavo rovinando la piazza a lui e a Paul Anka su cui avevano puntato tutto per la vittoria. Mi proteggeva l’amministratore delegato della Ricordi, il dottor Rignano. Davo fastidio, facevo paura e, siccome la Rca era molto potente oltre che prepotente, mi fecero squalificare. Poi grazie a Dio le giurie preferirono Gigliola Cinquetti che cantava Non ho l’età.
Quindi già dalla prima sera eri in playback!
Esatto, ma era normale che facessi storcere il naso a qualcuno. Sicuramente un ragazzo, magro e caruccio, con una voce registrata da Dio, che nel giro di una settimana vendette con quella canzone un milione e 800 mila copie in Italia, dava fastidio…
Pensi che poi quel successo clamoroso abbia tolto qualcosa alle canzoni con cui ti imposi realmente al Festival?
Sicuramente quei numeri non li fecero né Se piangi se ridi che vendette un milione e mezzo né Zingara che vendette un milione e 400 mila, che cantai dal vivo e vennero anche molto bene. Non so nemmeno io perchè ci fu quel dislivello di vendite, so che quando canto Una lacrima sul viso sono tutti contenti. Il playback ebbe un ottimo impatto a livello promozionale, ma la forza più grande di quella canzone rimane comunque l’arrangiamento molto imponente e maestoso.
Ed è stata anche reincisa in versione dance.
Fu molto divertente. Cedetti la mia voce qualche anno fa a un dj di Brescia che ne fece un bell’arrangiamento stile Corona.
Tu sei ad oggi uno dei pilastri blues in Italia. La parola blues deriva dalla sofferenza e dalla malinconia. Secondo Victor Hugo la malinconia è la gioia di essere tristi. Ti rispecchi?
Io sono dei Pesci, ascendente Pesci: un segno incline a essere emotivo, sensibile, facilmente spaventato. Quindi ho una personalità più esaltata in questo senso, ma non vivo la gioia di essere triste, perchè non sono triste. Anzi, se mi regali una bottiglia piena a metà sono contento perchè è mezza piena. Il blues è una delle mie tante passioni: lo esplorai circa trent’anni fa prendendolo da Presley, a sua influenzato da generi musicali come gospel, spiritual, blues, Deel Martin. Così come il ciuffo lo aveva preso da quello dell’attore Tony Curtis. Ho riascoltato quindi la musica che aveva formato Elvis e mi sono messo a suonare con la chitarra acustica, essendomi sempre trovato bene come chitarrista ritmico ma fino a quel momento ancora non negli assoli. Musicisti molto più bravi di me, mi hanno detto che ho un buon tocco e una buona scelta di note, e questo mi rende orgoglioso. Quindi ora le prossime canzoni che farò avranno sicuramente un sound blues e country: ho delle belle canzoni pronte, già registrate, cantate in stile Tony John White, che ho iniziato a seguire negli anni ’70. Appena si ripartirà, vedremo cosa potremo produrre.
Sono vari anni che leggiamo il tuo nome tra i possibili partecipanti a Sanremo, dove non ti vediamo dal 2003. Tornerai?
Sono quindici anni che ci provo,e sicuramente ci proverò anche l’anno prossimo. Spero fortemente di esserci!
Massimiliano Beneggi