Da qualche giorno è disponibile su Amazon Prime il nuovo film diretto da Fausto Brizzi, Da grandi. Protagonisti Enrico Brignano, Ilenia Pastorelli, Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu. La pellicola è, sin dal titolo, un dichiarato remake dell’ormai storico Da grande, diretto da Franco Amurri (non a caso citato anche nella sceneggiatura odierna) con Renato Pozzetto indiscusso numero uno.

Ecco, forse proprio quell’unicità di Pozzetto è quella che ha convinto Brizzi ad allargare il cast e a pluralizzare il titolo per non realizzare propriamente la fotocopia dell’originale. Ben sapendo, d’altronde, che la comicità di Pozzetto rimane un modello per tutti. Così, deve aver pensato Brizzi, quadruplicando i protagonisti si può trovare lo stesso divertimento prodotto da un’icona sacra del cinema. In parte ha avuto ragione.
LA TRAMA E I CONFRONTI COL PASSATO
Insieme a Marco, nove anni appena compiuti e stanco dei rimproveri degli adulti, diventano improvvisamente grandi altri tre compagni di scuola (Tato, Leo e Serena). Si crea quindi una naturale complicità tra loro, che trasforma la vicenda in una serie di marachelle dove quattro persone apparentemente adulte si comportano da bambini indisciplinati quali sono. In questo caso è come se ciascuno di loro diventasse la proiezione del proprio “io” dopo una trentina d’anni. Una scopre l’amore per il tennis, ricordando quanto fossero preziosi gli insegnamenti in merito che tanto detestava di suo padre. Un altro capisce l’importanza di aiutare i nonni in casa, senza creare loro troppi pensieri. Un altro si scopre gay e innamorato del preside. Ovviamente nessuno sa della loro trasformazione e, anzi, saranno gli stessi quattro protagonisti a definirsi rapitori dei bambini scomparsi, sulle cui tracce vi sono polizia e televisioni. In questo modo, si cambiano parzialmente alcuni scenari, che tengono conto anche del cambiamento dei tempi: dal silenzio riservato degli anni ‘80 si è passati ai giorni d’oggi in cui anche un caso di cronaca nera diventa uno show. All’epoca il regalo più ambito era il Lego grande, oggi i piccoli giocano con il tablet. Insomma, ridendo e scherzando anche nella vita vera abbiamo dato ormai ai piccoli gli strumenti da adulti.
La storia di fondo, però, rimane la stessa del film del 1987. E persino le battute che riguardano la vicenda di Marco (allora Pozzetto, oggi Brignano). Stessi nomi dei protagonisti, stessa zuppa inglese preparata per il compleanno, identiche transenne sotto cui provare a passare, ancora un negozio di giocattoli dove acquistare il regalo che non è arrivato dai genitori, di nuovo un pesce rosso che diventa gigante. E ovviamente ancora la maestra Francesca di cui Marco si innamora. Solo che questa volta affitta stanze per un bed & breakfast (così può ospitare tutti e quattro gli allievi diventati grandi). Persino la fisionomia del bambino somiglia molto a quella di Iosca Versari (clicca qui per leggere la sua intervista)

COSA FUNZIONA
Si ride con quattro personaggi che portano avanti dinamiche talvolta diverse dall’originale, facendo leva sui classici della comicità. Come, per esempio, quando Brignano (l’unico dei quattro che davvero da ridere anche solo nella mimica) con un ampio gesto dell’ombrello va volare contro il muro una stoviglie: di scene così ne avremo viste a decine nei film di Villaggio, eppure ci si diverte sempre. Adattare la storia ai giorni nostri, allargando il cast, è senz’altro fondamentale, perché consente di concentrare l’attenzione su diversi temi, senza ridurre tutto a una sola realtà. La colonna sonora prende e fa conservare la medesima poetica emozionale sul finale.
COSA NON FUNZIONA
Da grande era la storia del solo Marco che, in questo caso, viene replicata praticamente alla pari (anche nelle parole) ma in maniera molto più sommaria. Per chi vede il film la prima volta non è un male, chi ama l’interpretazione di Pozzetto si crea una discrasia al punto che sembrerà non vengano minimamente appoggiate certe battute. Come se dovessero essere recitate per dovere di copione. Lo stesso Brignano è divertente (e molto) quando recita in scene che non imitino il prodotto di Amurri, altrimenti risulta forzato. È un peccato, perché sembra di limitarlo nelle sue espressività. Inutile e quasi controproducente fargli replicare il pianto comico e peculiare di Pozzetto. Diventano quindi odiosi anche i modi di parlare soprattutto degli altri tre protagonisti, che cercano a tutti i costi di scimmiottare il linguaggio dei bambini. Manca il disincanto naturale e innocente che trovavamo un tempo. Anche nella sceneggiatura: la favola di fondo rimane, ma si ritrova anche qualche volgarità in più, evitabile ai fini della trama. Questo film non aiuta a rispondere a un dubbio amletico: chi ha definito per la prima volta “comici” Luca e Paolo, ha mai visto davvero un film comico?
Massimiliano Beneggi