E adesso cosa cambierà? Ce lo stiamo chiedendo un po’ tutti, con la stessa preoccupazione di febbraio, altresì con l’ulteriore consapevolezza che un altro lockdown farebbe davvero male al Paese.
I numeri dei contagi, del resto, sono impietosamente in crescita. Non è stato necessario aspettare la temuta e pronosticata ondata invernale. È bastato arrivasse agosto perché si abbassa completamente la guardia, riuscendo addirittura a dividere l’Italia in negazionisti e credenti al Covid 19. Certo, se esiste chi ancora nega l’esistenza dei campi di concentramento, poco ci deve stupire di fronte a cotanta ignoranza. Basterebbe fare un giro a Bergamo per capire cosa abbiano significato certi mesi. Qualcosa in effetti, però, non torna.
Per permettere incassi alle discoteche si è consentita fino a Ferragosto la riapertura dei locali notturni. Ovvero quelli che, tra vicinanze, baci e promiscuità, sono una fucina di batteri anche in periodi non sospetti. Lamentarsi ora di comportamenti poco ortodossi tenuti in certi locali ha poco senso: le discoteche non andavano riaperte. E in fin dei conti a poco è servito fare concerti all’esterno con 1000 persone nel pubblico. Sarebbe stato utopistico immaginarsi una platea immobile a un metro di distanza durante un concerto estivo. In una stagione in cui persino Alessandra Amoroso continua a cantare di aver voglia di ballare in compagnia.
Quindi ora la palla torna ai politici, purtroppo. Saranno loro a decidere cosa fare della nostra vita sociale nei prossimi mesi. Inutile dunque porsi la questione se esista oppure no un’emergenza. Inutile cercare di capire se vi sia un disegno complottista o una premurosa attenzione dietro ai lockdown. Il Covid è vero, e anche l’allarmismo di chi non vede l’ora di impedire che si possa tornare a esprimersi in pensieri, parole e note. Chi doveva stare attento non lo ha fatto, chi doveva decidere è stato negligente. Ora l’arte rischia di fermarsi di nuovo, dopo questo illusorio ritorno alla normalità a cui ci stavamo riabituando. Le scuole non si sa quando apriranno. Teatro e musica, di cui si ha un gran bisogno, potrebbero così slittare ancora i loro rientri. La cultura, così, è sempre più a rischio. Un Paese come l’Italia non se lo merita. Una volta per tutte allora si decida: se dovremo convivere con questo virus fino all’esistenza del vaccino, ci facciano sapere se e come potremo avere relazioni sociali. Senza retromarce. Occorrono certezze
Massimiliano Beneggi