È in scena fino al 20 novembre, al Teatro Manzoni di Milano, Il malato immaginario di Molière (produzione Compagnia Molière e La Contrada Teatro Stabile di Trieste in collaborazione con Teatro Quirino – Vittorio Gassman), con Emilio Solfrizzi nel ruolo del celebre Argante. Ecco la nostra recensione.

IL CAST
Emilio Solfrizzi, Lisa Galantini, Antonella Piccolo, Sergio Basile, Viviana Altieri, Cristiano Dessì, Cecilia D’Amico, Luca Massaro, Rosario Coppolino. Regia di Guglielmo Ferro.
LA TRAMA
Argante è un uomo di mezza età, sposato in seconde nozze con una donna innamorata più della sua cospicua eredità che non della persona. L’uomo, però, non se ne rende conto, sebbene le due figlie e la serva Tonina facciano di tutto per evidenziare la malignità della signora. Dal canto suo, Argante è impegnato a maritare Angelica, la figlia maggiore, disinteressandosi del sentimento che la stessa prova per il giovane Cleante. Argante avrebbe già deciso tutto: Angelica si deve sposare con Tommaso Diaforetico, nipote del Dottor Purgone. Il pretendente è senz’altro istruito per relazionarsi con la formalità tipica dei medici di cui è discendente, ma non sembra brillare di grande intelligenza, oltre che di bellezza. Ad Argante, tuttavia, questo non importa: per lui, ipocondriaco e assiduo paziente di Purgone, sarebbe già sufficiente imparentarsi con un medico. L’uomo si trova perfettamente a suo agio nei malanni che finge di percepire ogni qualvolta deve affrontare una questione importante: servito e riverito da tutti, evita così di fornire spiegazioni che ne svelerebbero i veri punti deboli. Primo tra tutti, l’indifferenza morale rispetto al destino della figlia. Secondo i piani di Argante, suggeriti dall’avida moglie che vuole tenere tutta per sé la futura eredità, la giovane Angelica, se non sposerà Tommaso, dovrà farsi suora. Per Argante, sarà decisivo scoprire i reali sentimenti delle persone che gli stanno intorno, per arrivare a una soluzione più ragionata. Lo potrà fare, nell’unico modo possibile a un malato immaginario: fingersi morto…
LA MORALE
Quanto ci piace sentirci vittime di una situazione, anche quando in realtà stiamo facendo respirare a tutti il nostro spropositato egoismo! Quanto ci consola nascondere ciò che non va, immergendo la testa in problemi che non esistono e di cui, quindi, abbiamo già pronta noi stessi la soluzione! Non è solo Argante a fare tutto questo: in fondo lo fa anche il medico che vuole far sposare con chi ha deciso lui, quel figlio già cresciuto senza alcuna personalità. Sono gli stessi dottori che, piuttosto che raccontare la verità ad Argante, lo assecondano circa la sua salute precaria riempiendolo di farmaci inutili e persino dannosi se assunti senza motivo. Tutto ciò che intraprendiamo pur essendo privo di significato, ci porta in qualche modo a una non vita. Troppo spesso, così, finiamo col trascurare quel che davvero conta: i sentimenti altrui, la stabilità psichica, il male che può fare l’ignoranza. Vivere davvero, come ha dichiarato Solfrizzi in conferenza stampa, fa più paura che morire. Molto più facile chiudersi nell’apatica segregazione: proprio quella che abbiamo vissuto coi lockdown di recente storia.

IL COMMENTO
Il prossimo febbraio, quest’opera compirà 350 anni: mai anniversario avrebbe potuto giungere così puntuale con i tempi che stiamo vivendo. In effetti, quella vena polemica, nemmeno troppo velata, che Molière amava mettere contro la categoria dei medici, fa riflettere ancora oggi più di una persona in platea. Il pubblico si lascia andare a lunghe e soffocate risate, fin quando non arrivano i dubbi di Berlado circa l’efficacia di una scienza che si fa fregio di parole complesse e incomprensibili: i troppi virologi visti imperversare ovunque negli ultimi due anni, hanno destato in tanti una sensazione di profonda solitudine più che di supporto. Un cast formidabile e decisamente comico sa trasmettere l’ironia dell’autore francese, con qualche necessario adattamento che non rinuncia, però, a una serie di battute originali difficilissime e talmente lunghe da formare quasi dei monologhi. Può anche darsi che non si sentano tutte le parole, tante sono le risate che le coprono: tuttavia basterà osservare anche la mimica dei protagonisti, più vera di ogni linguaggio artefatto e appositamente messo in discussione da Molière. Sono tanti i momenti in cui si rimane a bocca aperta. Occhio anche alle musiche in sottofondo di Massimiliano Pace: si torna a casa canticchiando ancora il tema principale.
IL TOP
Non è solo la prima volta, dopo tanto tempo, che il malato immaginario è ancor più comico in quanto interpretato da un attore giovane. Emilio Solfrizzi dona personalità a un personaggio talmente conosciuto e iconico da essere ormai una maschera. Così, è anche la prima volta che si vede un Argante con un’inflessione pugliese capace di rendere la storia ancor più vera. Non bastassero le sue consuete smorfie con cui sa parlare anche senza aprire bocca, l’attore barese è talmente coinvolgente che riesce persino a rendere “vivi” i fantocci con cui dialoga sul finale. Solfrizzi, acclamato trionfalmente, si conferma straordinario mattatore da conservare sotto chiave, perché è grazie ad attori come lui che il teatro sa essere colto e divertente allo stesso tempo. Ha un pregio indiscutibile: ogni volta che lo si vede sul palcoscenico, si riconosce la sua voglia di giocare. Non solo: chiede l’applauso finale per tutta la compagnia di attori, rimarcandone il grande lavoro svolto. Anche per essere capitani di una squadra, bisogna saper interpretare la vita con la dovuta generosità, che non appartiene a tutti in questo mondo.
LA SORPRESA
Tutti bravissimi, si portano a casa gli stessi applausi, anche perché il testo a tratti è davvero complesso e costringe a importanti prove d’attori, ma due sorprese spiccano più di altre. Lisa Galantini interpreta una serva dotata di grande ingegno e altrettanta attenzione ai sentimenti, ed è perfettamente nella parte. Fa ridere, è disinvolta, sa creare l’atmosfera giusta perché le battute più attese siano proprio le stoccate intrise di filosofia empirica che il suo personaggio dà ad Argante. Fare attenzione anche a Viviana Altieri: quando ride, come quando recita la parte dell’innamorata o quando piange, è un tripudio di emozioni trasmesse con eccezionale credibilità, che raccontano un’ampia esperienza all’Accademia Silvio D’Amico. Ben venga il teatro che sa pescare dalle sue stesse scuole e non dai reality!
Massimiliano Beneggi