Per la nostra rubrica Libri spettacolari, raccontiamo oggi Aria d’estate, il terzo romanzo di Pier Vincenzo Gigliotti, edito da La Rondine. Un libro che racconta un confronto tra generazioni, ma anche della medesima generazione messa allo specchio con se stessa a distanza di anni. Inevitabili cambiamenti e relative maturazioni portano a differenti modi di interpretare la vita, senza filtri ma con l’attenzione che, nel bene e nel male, un adulto pone diversamente nei confronti del mondo.

Nella cornice dell’Italia degli anni Settanta, Aria d’estate racconta infatti un viaggio lungo una vita, costellato di prime volte, vissute con l’entusiasmo tipico dei giovani, ma anche di momenti duri, che insegnano a crescere. I temi della discriminazione e della violenza, in un ambiente scolastico retaggio di un’epoca in cui l’educazione andava di pari passo con l’austerità, sono trattati da Pier Vincenzo Gigliotti con una penna delicata. L’autore si pone nei panni di tutti quei bambini che hanno vissuto le stesse esperienze per tutti i Claudio, i Giacinto, le Giorgia, i Giovanni, perché non riaccada, per non dimenticare. Giovanni è un bambino come tanti: passa le sue giornate a rincorrere un pallone sgonfio, in un tempo in cui non ci sono social e le vetrine dei negozi mostrano i walkie-talkie al posto degli smartphone. Ben presto, si trova a fronteggiare la prima delle tante sfide che la vita gli porrà davanti: la scuola elementare. Tra quei banchi, insieme ai suoi compagni, scoprirà l’importanza dei legami affettivi e dell’altruismo, in un mondo in cui non tutto va come dovrebbe. “Le prime 80 pagine sono molto autobiografiche, parlano di un vissuto mio personale”, ci racconta Pier Vincenzo Gigliotti, con cui abbiamo voluto approfondire il discorso.
Il titolo di questo libro sintetizza già quello che è il finale di un lungo viaggio tutto da vivere. Raccontacelo.
E’ certamente un titolo molto profondo. Giovanni e Giorgia sono due ex compagni di banco sin dalla prima elementare, dove erano vittime di maltrattamenti nelle aule scolastiche e che, solo negli anni del liceo, durante le occupazioni, scoprono di amarsi. Ebbene, le loro stagioni del cuore sono pari alle stagioni della loro stessa vita. Che poi, per diversi motivi, può essere il ciclo che viviamo un po’ tutti.
In che modo?
C’è un autunno fatto di mortificazioni, umiliazioni, in questo caso per le violenze subite durante il periodo della scuola elementare. Quindi segue inevitabilmente un inverno della loro vita, fatto di silenzi e solitudine. Poi, come accade spesso, arriva un risveglio, dato dall’innamoramento, per approdare finalmente nella stagione calda e interminabile che ha il sapore della felicità. Respirano un’aria nuova, per scoprire un grande riscatto che fa loro amare la vita.
Appare un titolo che racconta un’atmosfera sognante e altresì quasi nostalgica. Come le canzoni di qualche tempo fa…
In effetti la musica ha un suo ruolo in questo racconto. La musica stessa è un viaggio che ciascuno porta dentro di sé e che aiuta a raccontare le sensazioni vissute. In questo caso si parla di maltrattamenti nelle aule scolastiche, un argomento che purtroppo ancora esiste, sebbene sia meno diffuso rispetto a un tempo, quando sembrava persino normale in certi contesti. Ebbene, è l’amore a guarire le ferite rimaste in fondo al cuore, e la musica è proprio un’espressione di amore, capace di riallacciarci con il passato, donandogli un senso diverso ma pur sempre rispettoso di quello che è stato.

Il romanzo si presta a essere una sceneggiatura per un film. Quale colonna sonora sceglieresti?
Senz’altro le musiche di Claudio Baglioni. Ho sempre amato le sue canzoni, le parole di Amore bello, E tu, Questo piccolo grande amore, Solo. Sono testi fantastici, romantici e nostalgici al tempo stesso, che certamente hanno influenzato il mio modo di vedere la vita e di provare a narrarla con carta e penna.
Però nel libro ci sono anche altri riferimenti musicali…
Esatto. Parlo di Luca Carboni, degli Stadio, Gianni Togni: tutti probabilmente un po’ sottovalutati all’epoca e riscoperti poi col tempo. In quegli anni c’erano anche tanti altri cantautori e il romanticismo di composizioni come Ballando al buio, Fragole, Noi innamorati, rischiava di essere scavalcato dal successo di altri brani. Credo che Noi innamorati, di Togni, sia proprio perfetta per questa storia. Il ragazzo innamorato, infatti, identifica Giorgia, la protagonista, con la bellezza e la vita. E Togni dice “sei come i gesti, il desiderio del mattino”.
C’è un recupero quindi di pezzi che oggi diventano cult. In questo senso anche il 2000 oggi appartiene a un’epoca passata, sebbene in quel momento non ce ne rendessimo conto.
E’ proprio così. Sembra ieri quando noi ragazzi aspettavamo quel 2000 come l’arrivo di un cambiamento incredibile. Si parlava già allora degli anni ’80 con nostalgia, ma non ci rendevamo conto che anche quegli anni stessi erano meravigliosi. Si è sottovalutata la bellezza degli anni ’90 e di ciò che si portava dietro. Chi poteva immaginare tutto quello che è arrivato dopo, disilludendoci? L’euro, la crisi del 2009, la pandemia… Dovremmo rivalutare molto quegli anni da cui siamo arrivati.
Magari tra vent’anni riguarderemo con nostalgia anche agli anni 2020.
Qualcosa di buono sicuramente si sta creando. Bisogna essere fiduciosi, in fondo l’aria d’estate è davvero eterna se lo si vuole.
Il romanzo è un viaggio per i lettori, ma anche per l’autore stesso. Cosa ti ha fatto scoprire il viaggio di Aria d’estate?
Tornare nel passato un po’ mi ha fatto soffrire perché mi ha riportato alla memoria cose che avevo messo da parte volutamente. Sono timido e introverso e quello che ho subito nella mia classe mi ha fatto chiudere in un mondo interiore. La scrittura mi aiuta a uscire da tutto questo. Era il romanzo più difficile per me, che volevo scrivere da tempo, ma dovevo prepararmi bene per affrontare quei ricordi, non era immediato.
A chi lo dedichi?
A tutti quei miei ex compagni che con me hanno vissuto quelle violenze psicologiche: uno, per esempio, è diventato balbuziente per paura di finire nel riformatorio. Autismo e dislessia, non essendo conosciute e confuse per “espressioni di vagabondaggio”, venivano trattate con violenza dalle maestre. Ecco, penso a tutti loro.