E’ in scena, fino al 12 marzo, al Teatro Franco Parenti di Milano, Racconti disumani (produzione TSA- Teatro Stabile d’Abruzzo con Stefano Francioni). Ecco la nostra recensione.

IL CAST
Giorgio Pasotti. Regia di Alessandro Gassmann.
LA TRAMA
Due storie al centro della scena. La prima, Una relazione accademica, vede protagonista una scimmia che in cinque anni si è trasformata in un essere umano. I suoi movimenti tradiscono ancora la sua natura di primate ma, mentre si rivolge agli uditori dell’Accademia in una conferenza scientifica, sa raccontare il suo vissuto ormai perfettamente intersecato con la natura umana, di cui ha assunto ogni sembianza e abitudine. La sua metamorfosi, infatti, è stata dettata da una necessità. Catturato da un gruppo di cacciatori in Africa, l’animale venne imbarcato in Europa. In quel trasferimento, per la prima volta, scoprì cosa significasse non essere liberi di muoversi, pur viaggiando. Così, piuttosto che finire al giardino zoologico, la scimmia si mise a imitare gli uomini, apprendendone le caratteristiche utili a uscire dalla gabbia e oggi può fare un parallelismo tra la sua vita precedente e quella futura.
Nella seconda storia, La tana, il protagonista è un uomo che, come una talpa che ha architettato la sua complessa tana, fatta di cunicoli labirintici, gallerie, vicoli ciechi con vie d’uscita che non devono attirare troppo l’attenzione di agenti esterni. Per quanto ampiamente organizzato anche contro ogni intemperia atmosferica e possibili imprevisti, quest’uomo non si sente mai al sicuro come vorrebbe. Teme, infatti, continue intrusioni e attacchi da parte dei vicini. Si mette quindi in continua posizione difensiva, mentre vive tra paure e abitudini ossessive. In realtà, però, nessuno ha intenzione di attaccarlo…
LA MORALE
L’essere umano crede di essere più arguto e di conoscere perfettamente tutto della vita, invece si rivela ogni volta a dir poco prevedibile e ignorante nella sua continua ricerca di corrotti compromessi. Nessuno può controllare tutto della propria esistenza, almeno se si vuole vivere senza chiudersi in una solitudine che non impedirebbe comunque l’accesso ad ansie, manie di persecuzione e ossessioni psicologiche. In quel caso diventeremmo interloquiremmo con invenzioni della nostra mente, fino a diventare nemici di noi stessi. Meglio lasciarsi andare alla socialità, senza aver paura dell’altro. Senza porre gabbie e barriere, che possono frenare la libertà dei movimenti ma non la verità del pensiero altrui. Quindi non resta che una domanda, senza risposta (o forse con una triste riflessione da dove fare): è preferibile la morale animale o quella umana?
IL COMMENTO
Tanto è appassionante, quanto risulta un campanello d’allarme: la costante attualità dei racconti di Kafka ha un duplice aspetto. In questa piéce teatrale, diretta da Gassman e interpretata da Pasotti, viene sollecitata la piccolezza della natura umana rispetto alle sue convinzioni, ponendo l’accento su certe somiglianze con gli animali, da un punto di vista che spesso sottovalutiamo. Se la scimmia del primo racconto ha dovuto imitare gli esseri umani per integrarsi nella società, è altresì vero che siamo noi uomini ad avere assunto le peggiori forme delle bestie. Tutto questo emerge da un monologo tanto intenso quanto appassionante, forse anche perché i due racconti (nonostante siano capisaldi della letteratura kafkiana, specie La tana, uno degli ultimi manoscritti usciti postumi) non vengono mai diffusi abbastanza e quindi rimangono sconosciuti ai più. In platea anche tanti studenti delle scuole superiori: è arrivato il momento di rivalutare un Maestro come Kafka per il suo tentativo di migliorare il mondo con le sue metafore. Se siamo rimasti così egoisti, egocentrici e lontani dalla sensibilità animale, forse è anche perché abbiamo guardato troppo Grande Fratello negli ultimi anni, senza occuparci di Kafka, del teatro e della cultura. L’idea di Gassmann di dare respiro alla letteratura kafkiana merita applausi.
IL TOP
Giorgio Pasotti è unico protagonista di un monologo intenso e faticosissimo, sia dal punto di vista recitativo che da quello fisico. Sul suo volto, a fine spettacolo, si nota tutta la soddisfazione per il lungo applauso del pubblico, ma anche la stanchezza per una prova d’attore formidabile. Il Pasotti che non ti aspetti, infatti, propone due personaggi “bestiali” con accenti diversi e movimenti animaleschi che non hanno lasciato nulla al caso. Capace di umanizzare due personaggi che agiscono come una scimmia e una talpa, l’attore bergamasco sa dare vita a situazioni e protagonisti sempre troppo poco conosciuti. Ma che, da oggi, assumono le sembianze che Pasotti riesce a regalare al pubblico con le sue interpretazioni, in grado di diventare maschere di cui parleremo in futuro. Questo spettacolo è destinato a girare l’Italia per tanti e tanti decenni, diventando un caposaldo per una nuova fase artistica dell’attore.
LA SORPRESA
Tanto impegno, tanta cultura e tanta ironia. Il racconto resta avvincente fino all’ultimo, perché ogni singola battuta meriterebbe una riflessione. Ogni frase diventa una risorsa di sorprese da cui lasciarsi cogliere. Le scelte sceniche di Gassmann aiutano a dare dinamismo a un monologo che, dovendo ispirare infiniti pensieri filosofici, non può avere un ritmo troppo elevato. Eppure, si può guardare la scimmia attraverso la viva presenza di Pasotti o attraverso le sue ombre che si riflettono sullo schermo e sulle pareti del palcoscenico, sottolineando la molteplicità della personalità umana. I suoni della giungla e gli effetti della pioggia aggiungono elementi quasi cinematografici a un testo che mantiene la sua integrità e la purezza del teatro più puro e autentico.