Cerchi “Sanremo”, trovi Salvini. Per una frase detta da Baglioni a proposito dei migranti, peraltro in risposta a una domanda in conferenza stampa, in queste ore il Festival della canzone italiana è già al centro dell’attenzione politica. E così Baglioni, proprio lui che per anni fu classificato come “fascista” esclusivamente perché non seguiva l’onda dei cantautori cosiddetti di protesta sessantottini, ora è diventato un nemico di Salvini & co, attaccato gratuitamente anche sul web, con buona pace di chi si chiede “Che nesso c’è tra cosa possa pensare Baglioni e un Festival che non è certo quello organizzato da un artista candidato per qualche partito?”.
La direttrice di Raiuno sembra averlo già screditato per il prossimo anno (che peraltro non era comunque nei piani del cantautore romano) e così questo è diventato il Festival “contro il governo”. Niente di più sbagliato: è evidente che se viene fatta una domanda è buon costume rispondere e anche Baglioni ha le sue idee come tutti, condivisibili oppure no. Del resto il celebre monologo di Favino lo scorso anno, applauditissimo da tutti, fu già a favore di un’accoglienza che il direttore artistico sostiene più che altro per un discorso di armonia che la musica deve dare. Tante canzoni italiane che hanno l’obiettivo di farsi conoscere anche all’estero, e quindi unire conseguentemente culture differenti: da sempre è questo il Festival di Sanremo e più che mai lo è in questi ultimi tempi prima con Conti e poi con Baglioni. Se a qualcuno non piace l’idea, se ne faccia una ragione, perché funziona così da 68 anni, con brani che parlano della nostra Italia, della nostra cultura e della situazione sociopolitica del momento. Questa è la musica, è arte: come diceva La Zero in un’intervista rilasciataci poche settimane fa, cosa ci stanno a fare gli artisti se non possono dire quello che pensano?
La regola kantiana per cui bisogna fare in modo che gli altri agiscano nella stessa maniera in cui agiamo noi è sicuramente un’utopia in certi casi, ma se tutti parlassero come noi solo di musica, e non delle polemiche create ad hoc da chi già lo scorso anno in piena campagna elettorale ha sfruttato anche il Festival per godersi in platea uno spettacolo che ora sembrerebbe non piacere più, faremmo il miglior regalo alla musica. Quelle della politica sono solo polemiche che non c’entrano nulla col Festival, che avrà anche quest’anno brani più o meno condivisibili, anche per il pensiero sociopolitico di ognuno, ma questa è un’altra storia, che non ci possiamo raccontare fino al 5 febbraio.
Massimiliano Beneggi