Venti anni fa ci lasciava uno dei più grandi cantautori di sempre, uno di quelli per cui davvero la parola Poeta non è, non lo dovrebbe essere mai!, usata con piangeria. L’11 gennaio 1999, a pochi mesi da Lucio Battisti moriva a Milano a 58 anni Fabrizio De André.
Un uomo anarchico, che odiava la retorica e i grandi discorsi pubblici, completamente fuori dagli schemi finché non trovò il vero amore della sua vita, Dori Ghezzi, con cui condivise gioie e sofferenze inimmaginabili, da cui però sapeva sempre trarre linfa vitale per le sue canzoni. Questo è soprattutto quello che ci lascia in eredità, dopo 20 anni, De André, con quella forza straordinaria di sussurrare storie senza mai urlare. Eppure si faceva sentire, ah se si faceva capire! Ne ha da insegnare ancora oggi Faber ai ragazzi che pensano che affacciarsi al mondo della musica significhi gridare: i messaggi arrivano di più quando sono raccontati con quella voce e quella ironica verità che solo Fabrizio e pochi altri hanno avuto nella storia della musica.
Dava fastidio al potere Faber, come il potere dava fastidio a lui, ma ora lo hanno capito anche i sassi che poeti così non ne nascono più. E allora, dopo vent’anni, i tempi forse sono maturi per inserire De André nella lista dei poeti da studiare obbligatoriamente a scuola, perché nessuno come lui ha saputo parlare degli ultimi, delle classi sociali rifiutate con paura e disprezzo da tutti. Come il suo amico Paolo Villaggio, autore con lui di Carlo Martello. Fabrizio, per dirla tutta, quello che non abbiamo…è un poeta come te. E ancora una volta dobbiamo dire tutti grazie a Dori Ghezzi che da anni, insieme a Cristiano, salvaguarda il patrimonio musicale di De André ricordando a tutti la sua musica sua personalità. Questione di stile, indiscutibile stile di una donna forte e innamorata ancora come se lui fosse qui con noi.
Massimiliano Beneggi