Rita Pavone, una delle più grandi voci, orgoglio italiano di caratura internazionale, sarà in gara al Festival di Sanremo. In qualunque altro Paese si sarebbe celebrata tale partecipazione con ammirazione e con stupore: cosa spinge un’artista così inimitabile a mettersi in gioco contro giovani protagonisti della musica, nemmeno tutti affermati? Perché Rita Pavone si misura con i Pinguini Tattici Nucleari e non è superospite come Ultimo, emerso al grande pubblico nel 2018, o co-conduttrice come Tiziano Ferro, che ha sempre evitato la gara sanremese come si schivano i lavavetri? Ovunque i grandi artisti sono trattati come un patrimonio da incensare, ma nell’Italia che impazzisce per il manuale della cornuta perfetta elargito da Giulia De Lellis e per i videoselfie dei parlamentari, più della grandezza degli artisti conta il peso specifico che hanno sui social e la loro idea politica. Fondamentale, apprezzata anche quando viene urlata a gran voce sul palcoscenico, purché sia della propria parte, altrimenti scattano le polemiche anche preventivamente rispetto a ogni possibile espressione di pensiero .
LA POLEMICA CONTRO RITA PAVONE
Così Rita Pavone, anziché essere festeggiata per il suo entusiasmante coraggio di andare in gara a Sanremo 2020, viene attaccata da qualche idiota sul web che si lascia andare a commenti decisamente sgradevoli. La sua colpa: avere scritto un post su Twitter che appoggiava Salvini nell’avere impedito l’eccessiva immigrazione clandestina in Italia. In un Festival che ha già Anastasio, rapper che clicca i like a Casa Puond, tra i cantanti in gara, viene recepita come inaccettabile la presenza dell’ex Gian Burrasca. Un affronto. Cosa canterà? Ai detrattori non interessa: è una razzista fascista che non merita rispetto. Bel modo di difendere le democratiche e tanto sbandierate uguaglianze: guai a non invitare la povera Rula Jebreal a parlare contro la violenza sulle donne, ma su Rita Pavone si può usare ogni sorta di violenza verbale che ne calpesti persino la dignità. La solita coerenza, tipica di chi vuole fingere di non ricordare nemmeno la storia. Non è certo la prima volta che si usa Sanremo come pretesto per manifestare politicamente. A dirla tutta, quando la politica è entrata realmente o trasversalmente a Sanremo, soprattutto in anni recenti, lo ha quasi sempre fatto da una parte ben precisa, abituata troppo bene ad essere coccolata da musicisti e attori, e che ora diventa persino imbarazzante. Nella maggior parte dei casi, però, sul palco gli artisti hanno fatto solo il loro lavoro, a prescindere dal comportamento tenuto in cabina elettorale.
LA POLITICA GIA’ CON NILLA PIZZI
Nel 1952 Nilla Pizzi vince il suo secondo Festival cantando sulle note di Vola colomba il ritorno al nazionalismo mitigato dopo gli eccessi del fascismo: non risparmia un accenno alla questione di Trieste, all’epoca ancora in mano alla Jugoslavia. Il secondo posto di Papaveri e Papere è senza troppi giri di parole una metafora sui proletari e i capitalisti: difficilmente può essere ispirata dagli autori di Faccetta nera.
Gli anni ’60 sono un tripudio di sentimenti e allegre melodie fino all’anno della protesta, che consente, tra gli altri, ai Giganti di celebrare l’inno pacifista-comunista con Proposta (“mettete dei fiori nei vostri cannoni”).
DA CELENTANO “QUALUNQUISTA” A CUTUGNO PRO-PERTINI
Nel decennio successivo si comincia con un Celentano che tocca con innata ironia il tema degli scioperi: mai lo avesse fatto. Viene accusato di essere un qualunquista e fascista, proprio lui che in quegli anni si inizia a dedicare a temi sociali e ambientalistici con i quali sarebbe rimasto coerente 50 anni dopo. Gli anni della crisi sanremese passano alla storia per essere quelli dei complessi di capelloni che di cameratismo hanno ben poco.
Gli anni ’80 sono per antonomasia quelli dell’esplosione al Festival di Toto Cutugno, che tra centinaia di stupende canzoni scritte deve la sua massima popolarità al brano con cui omaggia il Partigiano come presidente. Canzone che ripeterà da ospite nel 2014 nientemento che con l’Armata Russa. I monologhi di un certo Beppe Grillo contro i socialisti sono ad appannaggio di un’epoca in cui i politici non sono ancora comici, ma inizia a non essere vero il contrario.
GLI ANNI ’90 E 2000
Nessuno scandalo di fronte alla partecipazione del 1995 (due mesi dopo la caduta del primo governo Berlusconi) di Sabina Guzzanti con un’improbabile Riserva indiana capitanata da David Riondino e composta persino da Mario Capanna, Sandro Curzi e Antonio Ricci. La loro Troppo sole è una delle peggiori pagine trash della storia festivaliera che si perde fortunatamente in un’edizione fatta di splendide canzoni. Elio e le Storie Tese, l’anno successivo, divertono e fanno riflettere tutti con la satira di costume de La terra dei cachi e diventano la rivelazione di quella edizione: non è un mistero la fazione politica di Elio, eppure nessuno giustamente si scompone, quando uno deve fare musica basta solo che faccia molto bene quello che gli compete, ed Elio è un vero maestro.
Il millennio si apre con Jovanotti che, in veste di ospite, mette in difficoltà la Rai con il ritornello Cancella il debito, nello stesso Sanremo in cui è ospite anche Bono. Il suo è un accorato appello a D’Alema per azzerare il debito dei paesi poveri. Del resto a Fazio la politica all’Ariston non ha mai fatto schifo: l’anno prima aveva fortemente voluto Gorbaciov e la moglie sul palco.
Dal secondo governo Berlusconi in avanti si scatena l’inferno. Nel 2002 Benigni è protagonista di una delle ospitate più discusse (e poi apprezzate) di sempre, con Giuliano Ferrara pronto a lanciare le uova in caso di attacco al premier. La satira del comico però coinvolge (e commuove) tanto la destra come la sinistra. 2003: è l’anno della liberazione di Baghdad dalla dittatura di Saddam, il mondo è in piena guerra contro il terrorismo, ma molti preferirebbero che gli Usa non reagiscano e subiscano le barbarie. Lisa, Barbarossa e altri artisti tra cui la futura signora Sarkozy, Carla Bruni, si presentano sul palco con simboli arcobaleno in nome della pace: tutti sanno che quei colori imperversano sulle finestre dei cittadini rappresentando una vera e propria bandiera contro Bush e chi lo appoggia come il governo italiano. Nel 2008, a poche settimane dal voto che riporterà Berlusconi a Palazzo Chigi, in gara c’è Frankie Hi Nrg che promulga la sua Rivoluzione. Nella giuria di qualità con voto palese c’è anche Emilio Fede, che per evitare strumentalizzazioni attribuisce un generoso 8 alla canzone più comunista dell’edizione. L’anno successivo Bonolis chiama Benigni a essere ospite, e questa volta il monologo del toscano è a senso unico contro il Cavaliere e Iva Zanicchi, eurodeputata di Forza Italia la cui partecipazione non piace alla sinistra. A quelli, cioè, che non ebbero nulla da dire quando esattamente vent’anni prima il deputato Gino Paoli gareggiava sia da cantante che da autore. Sempre nel 2009 le polemiche sono (infondate) contro Povia, reo di avere portato al Festival un brano omofobo: Luca era gay in realtà è solo una canzone che parla di un ragazzo che, dopo essersi abbandonato a esperienze omosessuali, ha riscoperto l’amore e la sua felicità con una donna. I più attenti lo capiscono e tacciono, gli altri vanno avanti a criticarlo: non va giù la sua presunta vicinanza a gruppi dell’estrema destra. Qualcuno grida allo scandalo, eppure il decennio successivo racconterà uno scenario completamente rovesciato.
DA VECCHIONI A MAHMOOD: QUANDO SANREMO DIVENTA CAMPAGNA ELETTORALE
Se la partecipazione nel 2010 di Emanuele Filiberto con Italia amore mio fa storcere il naso a chiunque (potrebbe non servire conoscere la storia, in questo caso basterebbe l’amore per la musica a biasimare la sua presenza all’Ariston), quella di Roberto Vecchioni nel 2011 con Chiamami ancora amore raccoglie consensi da ogni parte. La canzone trionfa tra gli applausi di tutti, con il Professore che per non perdere il televoto del popolo di centrodestra ripete ossessivamente come non si tratti di un brano politico ma d’amore. A distanza di anni, ancora oggi non c’è concerto in cui Vecchioni non presenti la canzone ricordando il momento sociopolitico del 2011 e chi ci fosse al governo (Berlusconi sarebbe stato costretto alle dimissioni da Napolitano da lì a qualche mese), e il suo pubblico non applauda sulla frase Per il bastardo che sta sempre al sole. Difficile stupirsi, del resto quel brano divenne l’inno per l’elezione di Pisapia come sindaco di Milano. Nel 2012 tocca a Emma prendersela con la politica fino a poco tempo prima guidata dal centrodestra: Non è l’inferno è un brano contro il cinismo dei potenti che non offrono un futuro. A presentare, per il secondo anno consecutivo, c’è Gianni Morandi, che non ha mai nascosto la sua formazione con la lettura de L’Unità. Nel 2013, in piena campagna elettorale, Sanremo è affidato alla conduzione Fazio-Littizzetto: il pubblico si infastidisce nel vedere Crozza imitare il Cavaliere con il suo solito sarcasmo. L’anno successivo si ripete tutto con il medesimo cast, stavolta senza fischi per il comico genovese, più cauto dopo il risultato di empasse emerso dalle elezioni. Nel 2016 vince Francesco Gabbani tra i Giovani: il ritornello di Amen inizia con un E allora avanti popolo, ma non si offende nessuno: chissà se sarebbe andata così anche se avesse gridato Aspetta e spera che già l’ora si avvicina. L’anno successivo si classifica al secondo posto Fiorella Mannoia, una delle più grandi interpreti della nostra musica, nonché artista particolarmente vivace sui social per i suoi appoggi a Gino Strada, alla estrema sinistra e successivamente ai Cinque Stelle. La sua presenza viene accolta con entusiasmo da tutte le parti: Che sia benedetta è una meravigliosa poesia scritta da Amara. Sul palco Fiorella non esterna alcun messaggio politico, anche se continuerà a farlo sul web. Si agli anni di Baglioni, uno etichettato anni prima come fascista, in quanto lontano dalla canzone di protesta. Claudio porta subito al Festival lo Stato Sociale, un gruppo il cui nome già indica un orientamento ben preciso. Vincono Moro ed Ermal Meta, con una canzone pacifista che qualcuno prova subito a fare sua, come se la guerra invece facesse comodo a qualcun altro. L’anno dopo il direttore artistico si lascia andare a dichiarazioni contro la chiusura dei porti facendo sollevare (inutili) polemiche; organizza un Festival con artisti spesso presenti al Concerto del Primo Maggio, ed ecco che contro ogni pronostico vince tra i Big il giovane Mahmood. Un chiaro voto politico della giuria di qualità (presieduta da artisti spesso poco vicini al mondo musicale ma accomunati da un’ideologia antisalviniana) contro l’allora ministro degli Interni.
Ora, giunti alla settantesima edizione, qualcuno si preoccupa dell’ideologia fascista come non accadeva nemmeno negli anni ’50, quando qualche nostalgico che aveva realmente vissuto il governo del Duce bazzicava ancora nel nostro Paese: se si vuole definire Anastasio, classe 1997, un nostalgico, forse è opportuno riconsiderare anche il concetto stesso di nostalgia. Rita Pavone, a prescindere dal brano che porterà, per qualcuno sembra diventata una pericolosa minaccia: forse lo sarebbe stata meno se anni fa avesse cantato Datemi un martello con una falce. In realtà basterebbe che i critici si dedicassero solo alle canzoni, senza perdersi in chiacchiere nate unicamente come pretesto per sollevare polemiche. Perchè Sanremo da anni è biasimato da tutti, ma è la vetrina più ambita da chiunque voglia fare parlare di sè. In questa edizione lo potranno fare in tanti perchè il parterre di cantanti, ospiti e co-conduttrici è talmente ricco che più che il Festival delle canzoni sembra Aggiungi un posto tavola: porte aperte a tutti. Ma non ditelo troppo ad alta voce, qualcuno potrebbe farne scaturire una polemica politica anche da questo. E ne abbiamo già pieni i microfoni, prima che inizi la settantesima edizione.
Massimiliano Beneggi