Le radio hanno suonato settimana scorsa quattro brani italiani noti in tutto il mondo (Fratelli d’Italia, Azzurro, La canzone del sole, Nel blu dipinto di blu). A molti non è sfuggito un particolare: mancava decisamente qualcosa. Certo qualche canzone può sfuggire, siamo il Paese che può vantare più di qualunque altro la bella melodia, e se solo pensiamo al Novecento sono tantissime le musiche che hanno fatto la nostra storia. È però ai limiti del ridicolo la dimenticanza che i media hanno riservato a uno dei brani più conosciuti nel mondo. Che il popolo, quello dei balconi e non delle radio, ha cantato in queste settimane difficili, ma di cui i media non hanno dato notizia. Solo un caso? Forse no. Parliamo di L’Italiano. Ci ritroviamo così, ancora una volta, a entrare nella storia del Festival di Sanremo.

1981. Popi Minellono, che proprio ieri ha compiuto 74 anni, e Toto Cutugno hanno scritto un brano per Adriano Celentano, che hanno contribuito a riportare al successo dopo un breve periodo di silenzio artistico, tre anni prima con Soli e successivamente con Il tempo se ne va. Gli hanno scritto praticamente due album, di straordinario impatto sul pubblico. Questa volta gli propongono L’Italiano, ma il Molleggiato al momento di incidere si oppone categoricamente in quanto lo reputa un brano troppo nazional popolare. Poco credibile cantato da lui. Per Cutugno, che in tutta la sua carriera qualche rimorso probabilmente lo avrà pure avuto per avere regalato poesie straordinarie ad altri colleghi, quello è un rifiuto importante. È lui infatti a cantare L’italiano: la porta direttamente a Sanremo nel 1983 e ne fa la sua canzone simbolo.

La classifica definitiva lo vede solo al quinto posto. Vince, a sorpresa, Tiziana Rivale con Sarà quel che sarà davanti a Donatella Milani (Volevo dirti). Il pubblico può esprimere la sua opinione tramite le schedine del Totip, senza però interferire con la graduatoria ufficiale. Le preferenze vengono palesate solo a Domenica In, il giorno dopo la finale: 1950 di Minghi, eliminata dalle giurie, al pubblico è piaciuta molto, così come Vacanze romane dei Matia Bazar e La mia nemica amatissima di Morandi. Tutte fuori dal podio delle giurie, composte da persone invisibili. Al primo posto nella classifica senza validità ufficiale c’è proprio Toto Cutugno. Il popolo ama la sua canzone, il suo modo di interpretarla da chansonnier (e dal vivo, al contrario di quello che fanno la maggior parte dei suoi colleghi di quell’edizione). L’italiano sembra scritta apposta per tutti i peninsulari tornati patriottici dopo la vittoria dei Mondiali ‘82, ma Minellono l’aveva già composta qualche mese prima. Profetico. E polemico.

Come ebbe modo di ricordare in una nostra intervista lo scorso anno, Minellono infatti pensò di bacchettare l’Italia coi suoi vezzi di guardare all’America senza cercare una riparazione ai suoi vizi. Non mancano gli attacchi pungenti a chi ruba (con l’autoradio nella mano destra) ma ci sono anche orgogliosi ricordi della nostra cultura (dagli spaghetti alla Seicento). C’è un omaggio al Presidente Pertini e al suo essere partigiano, e alla voglia di cantare. Quella che in questi giorni è viva in tutti noi che non vediamo l’ora finisca tutto perché si possa esultare liberamente con la nostra musica e la nostra arte.

Cutugno e Minellono sono forti, hanno successo, e quindi molti fan. Di conseguenza molti nemici. I giornalisti, a cui loro non guardano con eccessiva riverenza, li criticano per essere ruffiani e pieni di retorica: in realtà nelle loro canzoni parlano di sentimenti e della nostra società fotografando l’attualità, che non sempre è quella triste e amareggiata dei cantanti di protesta degli anni ‘70. O perlomeno, la si può vivere e interpretare con più serenità e senza tutto quell’astio tipico dei cantanti politici, ma talvolta anche degli incazzati senza ottimismo. Minellono e Cutugno sono simpatici e piacciono a chi ama la musica, ma sono schivi rispetto a grandi discorsi e parole di circostanza. Anzi spesso non le hanno mandate a dire. Ma soprattutto vendono tanto, e questo li rende troppo antipatici ai critici che da sempre li escludono dagli elogi.

Così anche questa volta le radio si sono ben guardate dal trasmettere L’italiano. Lo smacco più grande, però, è arrivato dalla Georgia, dove i cittadini hanno intonato la canzone di Cutugno e Minellono per confermare il loro sostegno all’Italia in questo momento. Fa una certa sensazione pensare che sei anni fa Cutugno avesse cantato il brano a Sanremo come ospite insieme all’Armata Russa, l’anno successivo registrò un video in via Paolo Sarpi a Milano con la comunità cinese, e adesso arriva il video dalla Georgia: tutti cantano di essere italiani. Tutti gli stranieri, che vogliono fare sentire la loro vicinanza a noi. L’arte è soggettiva non vi è dubbio, i numeri però sono ciò che di più concreto si possa avere.

L’italiano ha venduto milioni di dischi, è una canzone simbolo della nostra terra interpretata da uno dei cantautori che con oltre 100 milioni di copie vendute è tra i maggiori artisti del nostro Paese. Forse meritava un trattamento diverso, e invece anche questa volta ci facciamo dare lezione dai Paesi stranieri, che mostrano di aver capito la nostra cultura, la nostra musica. Che non hanno pregiudizi. L’italiano è ancora oggi, dopo quasi 40 anni, il brano che più di ogni altro parla di noi. Nel bene e nel male. A meno che non ci vergognamo di essere italiani, ma chi finge una dimenticanza solo per rispolverare vecchi rancori verso due artisti non ha certo eccessi di vergogna. La prossima volta sarebbe il caso di cantare dalle nostre radio, senza lasciarlo fare per primi a Paesi generosi che ci omaggiano pur senza essere italiani veri. In questo periodo, in cui decantiamo tanta unità, certi piccoli dispetti si potevano evitare: le tragedie sono altre e purtroppo ce ne stiamo accorgendo ora, non sono certo le mancate trasmissioni de L’italiano. Se qualcuno abbassava l’ascia di guerra, però, non scendeva sangue da naso a nessuno.

Massimiliano Beneggi