Tutti in queste settimane hanno immaginato un po’ come vorrebbero che si presentasse il mondo alla fine della quarantena. La vera magia sarebbe un rientro fatto di civiltà ed educazione, nonché di qualità e professionismo assoluti. Utopia, ma sacrosanta necessità. Soprattutto ora che in tanti dovranno reinventarsi un lavoro e chiunque sarà sotto l’occhio del ciclone. Sarebbe bello quindi se l’arte più fruibile, nella televisione e nella musica, ora più che mai approfittasse per riacquisire quei caratteri che ci fecero innamorare della cultura dello spettacolo. Quelli che pure ammettevano il cosiddetto trash come saltuaria e ironica cornice, senza però farne un modello.
Cantante e presentatore amatissimo dal pubblico che in questa stagione lo ha rivisto dopo sei anni nella co-conduzione de La prova del cuoco al fianco di Elisa Isoardi, Claudio Lippi rappresenta uno dei pochissimi volti televisivi rimasti legati a una certa tradizione artistica. Quella fatta appunto con talento e straripante simpatia ma altresì con eleganza e pura assenza di volgarità. Rarissime qualità che tuttavia continuano a essere le più apprezzate persino in un mondo dove l’inettitudine è sempre più premiata rispetto a sensibilità di un certo livello. Autoironico e coinvolgente, Claudio non smette mai di mettersi in gioco: da Buona Domenica (quella che aveva ancora delle vere sigle con corpi di ballo e numerosi ospiti chiamati a cantare e recitare più che a inveire sul nulla di Mark Caltagirone) a Tale e Quale show passando per Mai dire gol, Il pranzo è servito, Bellezze al bagno e tante altre, la sua popolarità è sempre stata uno dei motivi di maggior successo delle trasmissioni a cui ha preso parte. Eccolo allora in una intervista a 360 gradi.
Nel 2006 fosti il primo a intuire la crisi culturale in cui stava cadendo la tv con il cosiddetto trash urlato. Rispetto a ciò che vediamo oggi, quello era un saggio di Hume: perché conoscere quello che si è vissuto autorizza a peggiorare più che a impegnarsi nel progresso?
Non sono pessimista, ma c’è una realtà costante in effetti: ci si guarda indietro talvolta con un po’ di rimpianto, perché perdiamo il senso originario delle situazioni. Funziona così per tutto. Ci sono cose che si sarebbe voluto fare e per cui non c’è stata la possibilità, si vorrebbe sempre dare un futuro diverso. In questo momento più che mai. Penso alla mia nipotina di sette anni che ora vive una normalità che per noi non è normale, perché non ricordiamo una pandemia di questo tipo: e anziché potere dare risposte siamo sempre più confusi e incoerenti.
In che modo?
Tutti i giorni ormai sentiamo una serie di castronerie e contraddizioni scientifiche; nel nostro Paese si confonde il senso di unità con la voglia di potere e si parla in nome della Costituzione. Ma è assurdo persino parlare di Costituzione oggi in Italia: l’abbiamo ormai ribaltata, stuprata, e nessuno la conosce più realmente nei suoi diritti e nei suoi doveri. Abbiamo distrutto uno dei Paesi più ambiti al mondo abbandonando al caso, ben prima del virus, tutte le nostre bellezze, la nostra natura, l’arte, la fantasia. Ecco, abbiamo fatto di tutto perché si debba sempre guardare indietro con nostalgia: siamo vittime di noi stessi.
Diamo tutto per scontato, poi quando ci manca ne captiamo l’essenza.
Anche perché non facciamo i conti con la natura, che se si incavola lo fa davvero: le abbiamo rotto le scatole in tutti i modi e ci dà delle risposte. Stiamo beneficiando ora della pulizia dell’acqua come non è mai accaduto prima. Raccogliamo quello che abbiamo seminato senza volere migliorare e senza mai esserci costruiti gli anticorpi per avere dei competenti al potere. Del resto viviamo ancora di Michelangelo, del Colosseo, di Pompei, ma non siamo più andati avanti. Ci lamentiamo tanto dei professori che non sono validi, ma ormai non possono nemmeno dare più una nota perché sennò li prendono a sediate. L’inciviltà è imperante, perchè non il concetto della disciplina è stato superato da quello dell’indisciplina.
Abbiamo raggiunto bassezze su ogni fronte, solo per colpa nostra. Quando la situazione di emergenza finirà, saremo persone migliori?
Forse non ci sarà più la libertà assoluta di prima, e questo è un bene perché ormai si stava formando l’anarchia. Temo però che la civiltà continuerà a essere solo di chi già la usava prima del Covid. Con la differenza che nella normalità il deficiente di turno si svela e viene isolato, mentre ora basta la deficienza di uno e tutta la società viene messa a rischio da comportamenti incoscienti di chi fa le grigliate a Pasqua, ecc… Tutto il mondo quindi è potenzialmente ammalato, non solo le pecore nere. Non mi aspetto molto quindi, non c’è attenzione da nessuna parte: tutti sono pronti a parlare di eroi volontari ma nessuno si è preoccupato di stanziare soldi per loro, abbiamo Vigili del Fuoco morti per le mancanze di un Paese che non ha provveduto a fare i tamponi. E mentre troppa gente non riuscirà più a tirare su una saracinesca e si pensa a dare 600 euro ai professionisti, ovvero meno del reddito di cittadinanza, ecco che non si sa che fine stiano facendo i senzatetto.
In questi giorni si è celebrato il decimo anniversario della morte di un signore della televisione quale Raimondo Vianello e si recuperano programmi tv del passato. Potrebbe cambiare in meglio almeno la tv?
Non ho la lungimiranza per sapere cosa succederà, ma i programmi rimasti in onda si sono rivoluzionati con continui approfondimenti e collegamenti: per guardare qualcosa di distensivo ci si rifugia in vecchie repliche. Vedere Vianello fa sempre piacere e dà anche la sensazione che sia cambiata la società: forse quella comicità non andrebbe nemmeno più bene. Ma qualche giorno fa mi è capitato di guardare Pucci su Italia Uno, e vedere tutta la gente a teatro che si abbracciava sembrava ormai anacronistico almeno quanto Vianello. Cambia tutto molto in fretta e diventa difficile anche proporre qualcosa di nuovo. Diciamo pure che si avvicendano con una frequenza irrefrenabile i governi e chi arriva a dirigere le reti non fa in tempo a seminare e ristabilire un rapporto che subito è sostituito. Cambiano gli interlocutori da un momento all’altro mentre una volta i direttori generali duravano anni.
C’è qualcosa che avresti voluto fare e che non è stato ancora realizzato in questa tv che propone sempre meno novità per offrire in chiavi diverse programmi spesso già visti?
Sono contrario a riproporre trasmissioni che hanno visto crescere un paio di generazioni, perché sono cambiate troppe cose. Penso per esempio a Il pranzo è servito: anzitutto andava in onda ai tempi in cui tutti tornavano a casa a mezzogiorno e si potevano riunire. Ora una famiglia si ritrova insieme solo alla sera, con la stanchezza dopo il lavoro. Inoltre è ormai tutto superato: persino il più anziano troverebbe vecchia la ruota con il pollo disegnato, che girava fino a quando il macchinista che c’era dietro non si fermava, non perché volesse far vincere uno piuttosto che l’altro ma perché altrimenti sarebbe stato colto da una anchilosi al braccio.
Eppure in tanti rivorrebbero Il pranzo è servito…
C’è un sito con decine di migliaia di iscritti che lo richiede: io lo rifarei anche solo per onorare la memoria di Corrado, che mi fece scoprire tante cose che avevo dentro dandomi la possibilità di crederci e di fare la trasmissione a modo mio ma con il suo stesso spirito di economia e di attenzione al pubblico. Però rifare le trasmissioni è controproducente, soprattutto se gli autori sono persone che non hanno nemmeno vissuto l’originale: per questo anche i remake di Portobello e Rischiatutto non hanno funzionato. La generazione che ha amato l’originale e ne vede un’imitazione si trova disorientata: i conduttori avevano un dna differente, Tortora era irripetibile, e persino Mike nella tv di oggi non potrebbe nemmeno esistere. La moda televisiva è ciclica ma troppo spesso sono solo piccoli tentativi che non hanno ragione di essere: se lo rifai nuovo sbagli, se lo rifai come allora sa di vecchio. Facevamo cose ingenue perché il mondo era ingenuo. Oggi siamo viziati del troppo e non apprezziamo la semplicità. Stiamo scoprendo solo ora l’importanza di un semplice abbraccio, ma fino a due mesi fa c’era abuso persino di quello, si salutavano tutti senza ritegno.
Goethe diceva L’uomo quando è commosso sente ciò che è profondamente infinito, attribuendo alla meraviglia commossa la parte migliore dell’umanità. Una delle più belle e umane peculiarità di Claudio Lippi è la capacità di sorprendersi ed emozionarsi di fronte alla musica: cosa ti meraviglia oggi?
E’ già di per sé meraviglioso sapere mettere insieme quattro accordi: ho sempre amato cantare le canzoni di Modugno e Gino Paoli, e Sapore di sale fu fatta con un giro di do. Ci sono artisti straordinari delle ultime generazioni come Elisa, formidabile umanamente e professionalmente perché canta col cuore e si disinteressa di vestire in un certo modo. Mengoni mi dà persino fastidio per quanto è bravo, io non saprò mai imitarlo. Il problema è che la musica deve fare i conti con il sistema televisivo e commerciale. Le operazioni dei talent sono figlie della sopravvivenza discografica: i cantanti sono artisti che spesso hanno già pubblicato un album e vengono selezionati per essere promossi in tv, ma chissà quanti restano fuori che sono anche meglio. Mi intristisce pensare che l’ultimo Festival di Sanremo, vinto da un bravo cantante come Diodato e diretto con grande saggezza da un bravissimo ex dj che ha fatto la gavetta, abbia dato spazio a esibizioni di cui avrei fatto anche a meno, perchè con la musica non hanno nulla da spartire. Oggi viene proposta pochissima offerta di qualità coinvolgente: l’anno scorso ebbe successo Rolls Royce, e mi chiedo cosa resterà di una canzone così se ormai nemmeno il marchio esisterà più. Amadeus quest’anno ha voluto soddisfare un po’ tutti, e d’altronde la musica è tutta bella. Ma generi come il trap ho difficoltà a chiamarlo musica.
Hai avuto preziosi maestri di televisione. Quali sono gli insegnamenti che ti porti più nel cuore?
Corrado ricordava che anche se dall’altra parte del teleschermo ci dovesse essere uno che rutta in canottiera, il presentatore è l’ospite, quindi è importante dire per prima cosa Buonasera. Sembra una scemata ma è un segno preziosissimo di civiltà. Mike era più esagerato ancora e mi diceva: “Guai a te se ti siedi prima di iniziare la trasmissione perché ti si rovina la piega dei pantaloni”. Erano consigli per certi versi maniacali che mi hanno sempre aiutato: la cultura è sapere gestire una serie di informazioni per proporre anche altri generi.
Erasmo da Rotterdam affermava: La follia prolunga la giovinezza e allontana la vecchiaia. La tua più grande e salutare follia il pubblico la conobbe a Mai dire gol: con quella hai prolungato la tua gioventù…
Quella di Mai dire Gol fu paradossalmente la mia parte più razionale, perché ero libero di essere quello che sono: un po’ cialtrone, a tratti imbranato, vero. La tv in genere è falsità, spettacolo: la follia è tutta quella tv che imparai a fare con Corrado e Mike e reputo corretto riproporre. A Mai dire gol i tre folli lucidi della Gialappa’s facevano una riunione con Aldo, Giovanni e Giacomo con una rigidità da cui ero escluso solo io proprio perché potevo essere libero nel mio ruolo di conduttore con il concetto del The show must go on che mi era stato insegnato da Mike, per cui al presentatore possono tirare addosso la calce viva ma lui deve sempre proseguire nell’ambiente folle e surreale della tv. In quel caso quindi potevo utilizzare la follia per essere libero e vero. Furono due anni bellissimi: quella è la tv che rifarei.
Oggi manca la cultura di fondo come base per una buona tv…
Abbiamo scambiato la cultura con una proprietà appartenente solo ai ricchi: invece la cultura è civiltà, curiosità, rispetto. Senza la cultura del rispetto che imparai televisivamente dai grandi maestri non avrei potuto fare altre cose. Si fanno i tagli sulla scuola e non si capisce che il bullismo e la violenza sulle donne sarebbero prevenute se sin da prima delle elementari si racconta cosa voglia dire il rispetto dell’altro. La diversità non deve esistere, non perché siamo tutti fratelli ma perché siamo tutti umani: andrebbe diffuso già a scuola. Purtroppo hanno disgregato la famiglia ormai, e con essa di conseguenza la scuola. E poi siamo in un’Europa fondata sulla disparità, cosa possiamo aspettarci? Non certo unione.
Cosa ti preoccupa di più per il domani?
Non si sa più se si arrivi agli obiettivi per merito o se il merito sia capire a cosa agganciarsi per trovare un po’ di visibilità.
Massimiliano Beneggi
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