Vincitore al Festival di Castrocaro nel 1977, poeta che fece volare con la fantasia nella sognante Era lei, per cui fu scelto come collaboratore anche da Franco Battiato e da uno Zucchero Fornaciari ancora ai primissimi passi, Michele Pecora rappresenta uno dei cantautori più raffinati e preziosi del nostro panorama musicale.

Tornato in auge lo scorso anno come concorrente di Ora o mai più, dove raccolse una commossa standing ovation con il suo inedito I poeti, Michele è da pochi giorni in rotazione radio con E la vita torna, il nuovo singolo uscito settimana scorsa che ha il suono di una autentica poesia. Fatta di speranza e di un sincero entusiasmo per questo nuovo inizio, E la vita torna nasce ben prima della quarantena, dopo un periodo delicato che ha tenuto fuori dalle scene Pecora per tanto tempo. Oggi questa intima confessione tradotta in canzone arriva ancora più facilmente al cuore degli ascoltatori, con l’obiettivo di ricominciare credendo sempre nelle risorse inesauribili e sorprendenti di questa vita. Cantautore che ama raccontarsi e raccontare l’esistenza nella sua più profonda verità come piace a noi, eccolo allora ospite questa settimana di TeatroeMusicaNews per la nostra consueta intervista.

 

E la vita torna anticipa un album che uscirà a breve. Cosa racconterà questo nuovo lavoro, che arriva a più di 20 anni dall’ultimo?

E’ un album che considero della maturità, della riflessione. Sono canzoni della mia storia, che riguardano anche il passato ma soprattutto il mio presente e il futuro: si tratta di mie osservazioni sul mondo e su una vita che ci dà sempre un’opportunità. Lo abbiamo visto anche in questa situazione di emergenza, in cui abbiamo potuto ritrovare persino quello che pensavamo di avere ormai perso. In questo album affronto tanti temi con l’esperienza, la consapevolezza e probabilmente anche un po’ di quella saggezza che servono per raccontare qualcosa di nuovo, usando l’attenzione che non si può avere a 20 anni per guardare alle problematiche di un mondo che non funziona benissimo.

Questo nuovo brano è un bell’inno di speranza che si esprime con una proiezione nel futuro, mantenendo ciò che di buono c’è stato finora. Cosa tieni di quanto hai fatto finora e cosa invece non rifaresti?

Mi ritengo fortunato per aver potuto fare il lavoro che sognavo. A distanza di tempo oggi mi sento di riconoscere che quando iniziai tanti anni fa, nel ’77, vincendo a Castrocaro (La mia casa, ndr) e firmando un contratto con la Warner, evidentemente fu perché ero forte e la canzone era bella. Negli anni ho dovuto affrontare momenti difficili e particolari, che mi hanno portato anche a mettere in discussione me stesso e le mie capacità. Dopo i periodi neri, però, arriva sempre l’occasione, e se accade è solo grazie alla passione che non bisogna mai perdere di vista. Sicuramente non farei alcune scelte: per esempio non modificherei lo staff di lavoro in un momento in cui invece era il caso di andare avanti, un errore che quando si è molto giovani capita di fare. Però sono il bilancio personale che faccio della mia vita è molto positivo: ho fatto tante cose importanti con grande lavoro e sacrificio.

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Foto di Giovanna Gori

Nella tua canzone dello scorso anno, I poeti, parli di equilibristi senza avere idea di cosa sia restare in equilibrio: probabilmente siamo un po’ sempre in quella situazione, per questo si fanno certi errori da giovani, talvolta magari peccando di presunzione.

Sicuramente. Soprattutto in un mondo come il nostro, dove si è sempre lasciati un po’ a se stessi, si vive di intuizioni e non si hanno sempre persone accanto che possano dare consigli e supporti, si rischia di fare ricadere anche le scelte professionali sbagliate sulla vita personale. Gli errori maggiori che si rimpiangono quindi forse riguardano proprio la sfera personale più che quella professionale.

E la vita torna affronta un po’ il tema dell’eterno ritorno che la filosofia ha spesso descritto dal Panta rei di Eraclito fino a Nietzsche. Si è detto per tutta la quarantena che saremmo tornati migliori: è bastata la liberazione di Silvia Romano per accorgerci che siamo uguali a prima e le polemiche non sono cambiate. Cosa speri possa tornare del passato per renderci migliori?

Sarebbe già importante mantenere proprio quello che abbiamo recuperato in questo periodo di quarantena. Se penso a come eravamo fino a qualche mese fa, non mi viene molto da rimpiangere quel periodo, quindi spero che si possa solo migliorare. Sicuramente chi godeva di buoni sentimenti e buone attese lo farà anche ora, chi invece non li aveva uscirà persino incattivito da questa situazione. Di certo è un cambiamento epocale, non è marginale. Bisogna capire che l’atteggiamento nei confronti degli altri e di ciò che ci circonda dovrà davvero cambiare, altrimenti ci sarà addirittura un aggravarsi delle condizioni economiche e sociali.

Un anno fa la partecipazione a Ora o mai più a fianco dei Ricchi e Poveri come coach. Loro nel frattempo si sono raddoppiati, a te cosa ha lasciato quell’esperienza?

Mi ha dato la possibilità di confrontarmi nuovamente con me stesso in un contesto diverso, con un tipo di televisione a cui non ero abituato, fatta di confessionali e televoto. E’ stata un’occasione per farmi riscoprire da chi non si ricordava molto bene di me, accettando tutti i rischi che comporta la partecipazione a un programma che apparentemente sembra mirato a cantanti che non hanno più alcun futuro. Penso che la trasmissione abbia invece un significato nobile nel restituire dignità ad artisti che hanno dato qualcosa di importante nella loro carriera. Come dicevo spesso anche con qualche collega durante quella esperienza, la tv non può ridare successo, ma consente una grande visibilità. E’ quindi un’occasione importante per dimostrare quello che siamo ancora in grado di poter trasmettere: per questo l’inedito dell’ultima puntata è stato il punto focale da cui potere ripartire, quello più atteso.

Significava anche metterti in gioco doppiamente, perché cantando con i Ricchi e Poveri dovevi abituarti a delle armonizzazioni differenti dalla tua musica: tutti riconoscevano che quando cantavi da solo si esprimeva meglio la tua personalità.

C’era un problema di arrangiamenti e adattamenti che può capitare in un programma con tanti artisti. Io ho un’impostazione più cantautorale, mentre loro essendo puramente cantanti hanno una vocalità diversa: la differenza emergeva di meno in brani più lenti e vicini al cantautorato come La prima cosa bella o Come vorrei, bellissimo brano che cantammo alla fine dell’edizione.

Eppure in tanti smaniano per fare duetti e featuring con i colleghi. Pensi che diano forza agli artisti o al contrario tolgano qualcosa alle individualità?

I featuring vengono fatti sempre con un forte e lodevole spirito di iniziativa, anche se talvolta c’è la sensazione che siano fatti come mera operazione commerciale per dare più valore al brano e fargli avere più visibilità. Bisogna vedere come stanno realmente le voci insieme tra loro. Penso che Ora o mai più ne sia la conferma: c’è sempre una difficoltà di armonia nei duetti, quindi se le voci si possono unire bene tra loro ha un senso farli, altrimenti diventa più complicato appassionarsi.

C’è qualche artista con cui ti piacerebbe fare incontrare la tua vocalità?

Mi piacerebbe lavorare con Fiorella Mannoia, che penso sia l’interprete più cantautrice dei cantautori. Penso sia sempre stata un suo punto di forza quello di non fare la cantautrice, probabilmente per evitare di fare cose sbagliate, affidandosi quindi ad autori che le hanno dato canzoni dove ha potuto esprimersi al meglio.

Benissimo, Fiorella è avvisata, Michele è pronto! Quando uscirà quindi il nuovo album?

Manca pochissimo, le ultime rifiniture che dovevano essere completate qualche mese fa quando ci dovemmo bloccare per il lockdown. Non passerà molto tempo, quindi o subito prima dell’estate o appena finita l’estate sarà pubblicato.

Massimiliano Beneggi