È indiscutibilmente uno dei più grandi esperti musicali che possiamo vantare. La sua conoscenza della storia della canzone dal rigore enciclopedico gli consentono altresì critiche sempre precise e puntuali. Incisivo e talvolta provocatore, tanto estroso quanto intelligentemente ironico. Dario Salvatori sarà questa sera, 22 agosto, a Tolentino per la sesta edizione del Premio Ravera 2020, con tutta la sua portata di educata cultura mai supponente.

Proprio come lui, lo storico patron dei Festival di Sanremo e di Castrocaro si è sempre contraddistinto nella sua carriera per l’attenzione ai rinnovamenti musicali. Audace e sicuro delle sue scelte (quasi sempre rivelatesi azzeccate), Gianni Ravera organizzò la kermesse prima al Casinò e successivamente all’Ariston per ben 16 edizioni. I famosi Sanremo di una volta, quelli ogni anno rimpianti, pieni di canzoni di grande successo, sono praticamente tutti suoi. Ravera è stato un talent scout di ineguagliabile valore. Quando questa figura non era confinata a quella di un giudice dietro a un tavolo decretando con un ‘sì’ o un ‘no’ il futuro di una carriera.

Da questa conversazione insieme a una delle memorie più coinvolgenti ed entusiaste del panorama musicale, riprendiamo allora la nostra rubrica sulla storia del Festival di Sanremo dopo la pausa estiva.

Dario immaginiamoci che tu incontri un adolescente che guarda il Festival di Sanremo solo perché ci sono Junior Cally o Achille Lauro, e tu gli dica: ‘Chiedimi chi era Ravera’. Il ragazzino ti fa la domanda, e tu cosa gli rispondi?

Gli racconto le tante cose che Ravera ha trasmesso alla generazione successiva. Era un uomo di grande fiuto. Non era un uomo di cultura, non era un tecnologico. Aveva fiuto: tutti i talenti lanciati da lui quando smise di fare il cantante per dedicarsi al mestiere di imprenditore furono scovati con un grande intuito. Facendo anche Castrocaro costruiva già lì la sua nidiata. Tutta la generazione di cantanti fino agli anni ’80 è a suo appannaggio, e anche qualcosa degli anni ’90 è merito suo.

Qualche tempo fa Bobby Solo ci raccontò della genialità di quel playback del 1964 per una laringite inventata. È una storia che somiglia a quella della borraccia tra Coppi e Bartali, dove lo stesso protagonista si diverte a raccontare versioni talvolta differenti. In ogni caso Ravera accettò quel playback fuori gara e aiutò non poco Bobby…

In realtà Bobby Solo era andato davvero giù di voce, che è la cosa più normale che possa accadere a un cantante. La stessa cosa accadde qualche anno prima a Claudio Villa (1955, ndr) che vinse senza presentarsi sul palco, e anche quella storia ha tutta una verità dietro. Nel caso di Solo la verità stava in un abbassamento di voce. Il colpo di genio in quel caso fu più che altro di Micocci, che capì che Bobby sarebbe diventato afono. Quindi si mise d’accordo con Ravera e questo decretò il successo.

Decretò anche il successo di Gigliola Cinquetti, che aveva vinto a Castrocaro ed era proprio della scuderia di Ravera. L’organizzatore fu determinante quell’anno e creò due precedenti a lungo discussi.

Creò sicuramente un precedente, perché da quel momento tutto capirono che si poteva fare in quel modo. Fu una novità fino a un certo punto però, perchè in tv tutti facevano finta di cantare. Succede ancora oggi…Insomma il pubblico vide qualcosa a cui era già abituato televisivamente.

La scoperta di Cecchetto come presentatore, la scommessa sui giovani cantanti, l’eliminazione dellorchestra dal vivo, la finale il giorno dopo la morte di Tenco. Sono solo alcune tra le più coraggiose e talvolta impopolari scelte di Ravera. Quale fu la più geniale?

Fu un organizzatore completo, non sbagliò quasi nulla. Aver saputo tirare fuori i suoi successori però è uno dei più grandi meriti. Si circondò infatti di collaboratori che mandava in avanscoperta. Così accadde prima con Gianni Naso e poi con Claudio Cecchetto, che condusse anche per tre edizioni Sanremo.

Fu più forte persino dello sgambetto della RCA che boicottò il Festival creandone uno parallelo non accettando di avere solo tre artisti in gara.

Di fronte a quel ritiro poté solo prendere atto dell’atteggiamento della RCA, che era estremamente potente in quegli anni nel mercato musicale. Nel ’65 Ravera aveva già messo in piedi il suo cast di cantanti italiani affiancati da quelli americani. C’era una regola non scritta per cui si dovevano barattare i grandi nomi con i nomi più deboli. La Rca non lo poteva tollerare e ritirò tutti i cantanti assumendo un atteggiamento  muscolare. È evidente che se fosse stata una piccola etichetta non avrebbe potuto comportarsi così.

Se è vero che l’idealismo è quello di chi crea la realtà esterna partendo dal suo pensiero, Gianni Ravera influenzò da vero idealista lo sviluppo della musica italiana confinando Claudio Villa nei Giovani e considerandolo ormai superato?

Quella con Claudio Villa fu una telenovela andata avanti quindici anni per vecchie cose non sopite tra loro. Gianni Ravera aveva fatto anche il cantante ma non era un interprete di primo piano, pur avendo partecipato a due Festival (1955 e 1957, ndr). Claudio Villa era un suo mito, e non lo avrebbe mai odiato quindi. Villa però era diventato insopportabile in quel momento (era il 1982).

Perché?

Non accettava l’idea del cambiamento: per lui un cantante doveva avere la voce ed essere intonato. Quelle regole e quelle gerarchie erano saltate ormai. Fece quindi il giro in Europa in motocicletta per dimostrare che l’Eurovisione fosse un’invenzione, le giurie non esistessero e la giuria fosse solo Gianni Ravera, ecc…Tutte cose vere solo in minima parte: l’Eurovisione non era una sciocchezza.

Davvero dall’estero seguono così tanto il Festival?

Ti dirò di più. Per anni ho avuto la direzione di Radio Scrigno, ovvero le recupero delle teche radio: molte cose non le abbiamo trovate nell’archivio Rai ma in quello delle televisioni europee. Più vera di quella Eurovisione!

Il mistero sulle giurie però non fu mai svelato, forse volutamente, dallo stesso Ravera che andava dritto per la sua strada sulle polemiche.

Ti sembrerà strano, ma feci parte di quelle giurie da ascoltatore. Erano all’interno delle sedi Rai o all’interno dei giornali selezionati. Io ero giovanissimo, ancora minorenne, ma ero già un pazzo. Mandavo tantissime cartoline che pubblicavano i giornali per accedere alla giuria e venivo selezionato.

Dunque sei la dimostrazione che la giuria era vera.

Ho ancora le coppe che ci consegnarono come giurati del Momento Sera e di Paese Sera del 1968 e del 1969. Non so dire che peso avesse la giuria, ma senz’altro esisteva ed eravamo veri.

Il peso delle giurie resta un mistero anche oggi col televoto del resto…

Quelli erano anni in cui anche a Canzonissima, legata alla Lotteria Italia, si votava con la cartolina postale. A quell’epoca probabilmente c’erano dei brogli, che contavano perchè la musica era una grande industria. Oggi i brogli non avrebbero senso perchè non è più una grande industria. Le grandi major discografiche che un tempo avevano dei grattacieli, oggi hanno una camera in cucina se va bene. I brogli su cosa si potrebbero basare? Su poca cosa.

Ravera diede lustro come nessun altro al Festival. Lo prese in mano nel 1961,lasciò nel periodo di crisi degli anni Settanta, e tornò per farlo di nuovo grande dal 1979. Che Sanremo avremmo avuto oggi, ammesso che sarebbe esistito, se non ci fosse stato Ravera a organizzarlo per tanti anni con tutti quei grandi nomi che solo lui sapeva unire?

Quello era nella logica delle lobby e delle amicizie private. Ravera continuò a fare il suo mestiere con notevole successo anche negli anni Settanta organizzando anche Castrocaro e la Gondola d’Argento di Venezia. Oggi tutto è molto povero e molto indipendente: non c’è più la legge dell’investimento. Se ce la fai la prima volta bene, sennò è finita. Con Ravera imparammo a costruire sul mondo musicale. Quel poco che è rimasto di questo modo di intendere la canzone lo si deve moltissimo a lui…

Massimiliano Beneggi