Paolo Hendel: La giovinezza è sopravvalutata. A 70 anni ci si diverte davvero -INTERVISTA

Chissà quante volte Paolo Hendel si è sentito dire che il suo, più che un lavoro, è un divertimento. Lui, abituato a farci ridere, magari in quelle occasioni si sarà pure incavolato. Oggi, con la maturità di un uomo di 70 anni, affronta la vita con uno spirito ancora più goliardico. E ama ancor più di prima divertirsi sul palcoscenico, senza prendersi sul serio ma con argomenti profondissimi. Lo si evince dall’entusiasmo che esprime appena parla del suo spettacolo, in scena al Teatro Delfino di Milano dal 24 al 27 febbraio, La giovinezza è sopravvalutata, tratto dall’omonimo libro scritto con Marco Vicari e la geriatra Maria Chiara Cavallini.

Fu proprio un episodio con in geriatria a suggerire a Paolo Hendel la tematica da affrontare. Dopo avere accompagnato la madre, novantenne, alla visita di controllo, gli venne detto: “Prego, ora tocca lei”. Da quel momento Paolo Hendel si rese conto di essere improvvisamente piombato nella terza età. Così con tanta ironia, qualche amara verità, ma soprattutto la presa di coscienza dei propri limiti e ambizioni, racconta la nuova realtà. Quella fatta di ansie, ipocondria, visite dall’urologo e inevitabili riflessioni. Le paure, le debolezze, gli errori di gioventù, sommati agli “errori di anzianità”, sono così presentati in questo spettacolo che vede la regia di Gioele Dix, su tematiche che lo stesso Paolo Hendel esprime in questa nostra intervista.


Ci si diverte di più a trenta o a settant’anni?

Eh…bella domanda! Dipende da che punto di vista si parte, se dalla salute o da altro…A settant’anni ci si diverte parecchio, perché insieme al dinamismo che si può mantenere costantemente, si ha anche la consapevolezza di certe cose. Si comprendono realtà che a trent’anni non si era nemmeno in grado di vedere. Persino i traguardi raggiunti sono finalmente più chiari.

Come mai? Insoddisfazione cronica che si guarisce solo nel tempo?

Più che altro a settant’anni c’è un’attenzione ai dettagli, che consente di osservare meglio e divertirsi contemporaneamente, senza perdere tempo in situazioni che non valgono la pena di essere vissute. E di conseguenza si percepisce diversamente anche il passato.

Sono anni che si dice che lo spettacolo e la comicità stanno cambiando, eppure a riempire i teatri sono gli attori che, come te, iniziarono più di 30 anni fa. Si è inceppato un meccanismo nella comicità dei più giovani, o quella comicità nel secolo scorso era talmente bella da essere ineguagliabile?

No, niente di tutto questo. E’ vero che i teatri sono riempiti da certi spettacoli, ma bisogna piuttosto guardare alla platea (e alla galleria), formata da un pubblico più adulto che premia determinati attori. L’Italia è un Paese che non ha molti giovani: alcuni purtroppo fuggono all’estero e questo, da padre e da cittadino italiano che vorrebbe guardare a un futuro più roseo, mi dispiace. Non c’è spazio per loro, avanti di questo passo arriveremo tra qualche anno ad avere i pazienti che diranno al medico: “Serve il pannolone!”, e il medico risponderà: “A chi? A lei o a me?”. Non stimoliamo le nuove generazioni a vivere in questo Paese. Quei pochi giovani che rimangono, quindi, è naturale che passino le serate dove si crea movimento. Insomma, il teatro è frequentato poco, ahimè, dai ragazzi.

Nel tuo spettacolo parli proprio di questo ingresso in una nuova generazione. In genere questo è un passo che porta con sè rimpianti e uno sguardo più severo verso le generazioni più giovani: tu come ti comporti?

Rimpianti pochi. I giovani ho il privilegio di poterli osservare da vicino, essendo padre di una ragazza di 16 anni, che ho avuto a 54 anni: ammiro la forza con cui hanno saputo vivere questo periodo di pandemia difficilissimo, mantenendo il loro entusiasmo e riuscendo a inventare sempre situazioni nuovi nella difficoltà.

Insomma, La giovinezza è sopravvalutata non è un attacco alle nuove generazioni.

Assolutamente no. I ragazzi e le ragazze vanno solo applauditi, il futuro è nelle loro mani!

Nel film La bellezza del somaro (di Sergio Castellitto), Enzo Jannacci diceva una frase: “Si invecchia quando si assomiglia al proprio padre”. Una qualità che ti appartiene e che senti di avere preso da tuo padre?

Io ho avuto la fortuna di conoscere, a Firenze, un grande luminare della geriatria, il professor Francesco Maria Antonini. Lui diceva sempre che la vecchiaia arriva quando ci si sente vecchi, ossia quando si spegne la luce della curiosità. Ecco, quella luce credo di averla ereditata proprio da mio padre. E’ una curiosità che permette di rimanere giovani senza mai smettere di potersi indignare e incavolare per ciò che non funziona o si immaginava diverso.

In questo spettacolo ti indigni parecchio.

Faccio una carrellata di commenti degli utenti indignati del web: vox populi…

La tua speranza per il futuro?

E’ già nel presente. Per me il massimo della vita è stato tornare a teatro dopo due anni di stop: si percepisce nel pubblico una voglia incredibile di giocare, divertirsi e ridere insieme a chi sta sul palcoscenico. Tutte realtà che c’erano già due anni fa, quando mi sembravano scontate, e che ora diventano quasi sorprendenti, assumendo una forma diversa. Ecco, questo dà grande speranza per il futuro dello spettacolo e del teatro.

Massimiliano Beneggi

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