Fino al 14 aprile, al Teatro Carcano di Milano, è in scena Se non posso ballare Non è la mia rivoluzione (produzione Mismaonda, Centro Teatrale Bresciano e Teatro Carcano), di Lella Costa e Gabriele Scotti. Il monologo è ispirato a Il catalogo delle donne valorose di Serena Dandini. Ecco la nostra recensione.

IL CAST
Lella Costa. Regia di Serena Sinigaglia.
LA TRAMA
In un ipotetico aldilà, le anime ricordano cosa abbiano fatto in vita e cosa abbiano lasciato all’umanità. Nello specifico, in questo caso, ritroviamo 93 donne valorose che scoprono di essere state fondamentali per ciò che hanno saputo rappresentare. Lo fanno con orgoglio, ma sorprendendosi talvolta esse stesse. Quando furono protagoniste di questo mondo, le loro gesta vennero infatti sminuite da una società che non ha mai abbandonato un insano maschilismo di fondo. Da Marta Graham a Maria Callas, passando per Raffaella Carrà e Franca Valeri, fino a nomi più sconosciuti per i quali si è creata una certa consuetudine a un ingiusto oblio. Mary Anderson, Lilian Gilbreth e tante altre. In troppi non le conoscono. Eppure sono state artiste, inventrici, politiche, letterate, sportive di grande livello. Non sono mai stati riconosciuti loro certi meriti, né si attendono che succeda oggi. Tuttavia, si sa, la morte a volte restituisce improvvisamente quella dignità che, per qualche assurdo mistero, non viene concessa sulla Terra. Così, Lella Costa, mentre l’orologio inesorabile scorre scandendo il nostro tempo, invita per un’ora e dieci queste novantatré donne a ballare finalmente. A fare la loro rivoluzione. A prendersi il posto da protagoniste che meritano. Tutte, per non più di un minuto a testa, fanno ricordare con una frase qualcosa della propria esistenza.
LA MORALE
Mentre le parole di quelle donne danzano sul palcoscenico, ecco che il Teatro si riempie di una cultura appassionante, caricando inconsapevolmente il pubblico a cercare la propria missione nella vita. Sì, perché come diceva Emma Goldman, “se non posso ballare, non è la mia rivoluzione”. E se ci guardiamo dentro, tutti abbiamo una piccola grande rivoluzione da proporre per fare crescere questo mondo. Se non se ne accorgeranno subito gli altri, occorre che ce ne accorgiamo prima di tutto noi. Se finiremo nell’oblio per il mondo, non possiamo permetterci di dimenticarci di volere bene a noi stessi. E allora, cerchiamo di ballare, possibilmente insieme a qualcun altro che voglia condividere con noi le nostre passioni.

IL COMMENTO
Il femminismo è un movimento anzitutto dell’anima che, pur partendo da nobili princìpi, rischia di sfociare nell’esasperazione perdendo la sua credibilità. Solo Lella Costa poteva portare in scena questo spettacolo, conservando tutta la verità al femminile della storia e altresì senza mai risultare offensiva o fastidiosa nei confronti del genere maschile. Lella sa fare tutto questo in punta di piedi, con la sua proverbiale e instancabile capacità di diffondere tante parole di qualità senza mai fermarsi (Dio solo sa quando e come riesca a respirare tra un discorso e l’altro). Si esce dal teatro con un secondo compito, stimolato forse inconsciamente dalla stessa attrice e dal suo lessico invidiabile: approfondire la storia di quelle donne, praticamente solo accennate con meravigliose pennellate dialettiche.
IL TOP
La genialità del tema concede a Lella Costa di esprimere anche il suo stesso pensiero tra una battuta e l’altra delle protagoniste. Si passa da un personaggio all’altro in men che non si dica. Talvolta l’attrice cambia accento e dialetto, altre volte no, ma il racconto è costantemente coadiuvato da una scritta luminosa sul palcoscenico che funge da didascalia per capire di chi si parli. Frutto di una eccezionale coordinazione con la regia, che mette a disposizione della Costa una scenografia suggestiva anche nella sua essenzialità.
LA SORPRESA
Si sente parlare di tanti nomi che, probabilmente, a molti erano ignoti prima di entrare al Carcano. Quando si tratta di grandi donne del passato, si tende a pensare che abbiano fatto cose straordinarie nel cinema, nella musica, al massimo nella letteratura. Ci sono anche tante artiste in effetti sul palcoscenico, ma non solo loro.
Sono state delle donne a inventare il tergicristallo, la pattumiera a pedali, la sega circolare, i pannelli solari, il primo sistema operativo informatico. Sono state italiane le prime donne laureate nel mondo. Alla faccia della mancanza di praticità femminile. Se non dobbiamo vergognarci per chi, nel passato, le ha considerate solo signorine, noi abbiamo il dovere di non lasciarle mai più nell’oblio. Con quell’orgoglio che altri si sono dimenticati di usare a suo tempo…
Massimiliano Beneggi