La vittoria dell’Ucraina all’Eurovision Song Contest è una delle più imbarazzanti di sempre, nel vero senso del termine. Si è creato imbarazzo nello stesso pubblico che, mosso dalla volontà di dare un segnale forte, ha televotato ampiamente la canzone Stefania, ma si è ritrovato poi a fare i conti con il successo di un brano che, oggettivamente, a pochi piace. Critiche dette tra i denti anche da qualche addetto ai lavori, che non vuole dire apertamente ciò che pensa ma lo fa capire. Lo stesso silenzio dei nostri telecronisti Gabriele Corsi e Cristiano Malgioglio durante le esecuzioni del pezzo la dicono lunga: Stefania non era la migliore delle canzoni, ma farla vincere è un dovere morale.

Non è la prima volta che accadono certe strategie più politiche che musicali. Lo sappiamo bene noi italiani, che in più occasioni abbiamo vissuto situazioni analoghe a Sanremo. Rivediamole insieme, partendo dalla vittoria di Mahmood nel 2019.
In quel momento, al governo c’è Giuseppe Conte appoggiato dalla coalizione gialloverde di 5 Stelle e Lega. Matteo Salvini, ministro degli Interni, porta avanti la sua campagna politica a favore degli italiani, bloccando tanti ingressi degli stranieri alle frontiere. La sinistra, in quel momento fuori dal governo, non ci sta. Il peso del ministro leghista, nonché vicepremier, è fortissimo in quella coalizione (che lui stesso romperà ad agosto 2019). Al Festival di Sanremo di febbraio il favorito assoluto è Ultimo, con I tuoi particolari, sebbene il pubblico voglia la vittoria di Loredana Bertè, con Cosa ti aspetti da me. La giuria di qualità, composta da artisti dichiaratamente schierati a sinistra, va oltre ogni previsione e approfitta del suo peso specifico nel risultato finale ribaltando tutto. A vincere è Mahmood, un bravo interprete, dalla voce molto particolare. Ma, soprattutto, un nuovo italiano. Si affrettano infatti tutti a ripetere che si tratta della vittoria di un italiano, ma nessuno lo ha mai messo in dubbio. In un’altra epoca storica, una canzone brutta come Soldi non avrebbe mai sfiorato il podio. Nel 2019, quasi come una sfida al Ministro degli Interni, vince creando sfottò politici mai visti.
Emozioni a non finire nelle vittorie, pur meritate, di Roberto Vecchioni (2011) con Chiamami ancora amore e Emma Marrone (2012) con Non è l’inferno. Eppure il sapore politico è forte. Se la canzone di Emma si limita a ricordare, nel periodo del governo Monti, quello delle “lacrime e sangue” per lo spending review, che non bisogna arrendersi a una vita così dura dove è difficile avere un lavoro, Vecchioni fa ancora di più. La sua Chiamami ancora amore suona subito come un inno politico, sebbene lui lo neghi. Il riferimento al “bastardo che sta sempre al sole” lo capiscono tutti, tanto che è la frase più applaudita dal pubblico di piazza Duomo quando il Professore la canta qualche mese dopo il successo sanremese per lanciare la volata finale del futuro sindaco meneghino, Giuliano Pisapia. Il voto sanremese, dunque, anche in quel caso sembra anticipare un sentimento popolare che arriverà presto nelle urne elettorali.
Andando sempre a ritroso, non si può certo dire che l’eliminazione di Iva Zanicchi a Sanremo 2009 non avesse legami con la sua posizione di europarlamentare di Forza Italia. Le eccessive battute di Roberto Benigni nella prima serata, sulla sua Ti voglio senza amore, sono chiaramente frutto di un’irritazione del comico toscano per tutto ciò che circondi Silvio Berlusconi.
Insomma, il pubblico (e le giurie) spesso votano sulla scia del sentimento, non sempre in linea con la qualità musicale. Non c’è dunque oggi da stupirsi della vittoria scontatissima dei Kalush Orchestra che, sabato pomeriggio, erano quotati solo a 1,35 come possibili vincitori. Un film già scritto.
Massimiliano Beneggi