Cochi Ponzoni: Ora a teatro faccio un anziano gay e sono ancora surreale -INTERVISTA

Cochi Ponzoni è uno di quegli attori con cui il pubblico vive da sempre un’immediata empatia. Talmente familiare a tutti, che chiunque lo conosce amichevolmente soprattutto con il suo solo nome, diminutivo di Aurelio. Eppure, a differenza di quel che accade in altri casi, quella confidenza non impedisce al pubblico di riconoscerne lo spazio leggendario che occupa da tanti anni nello spettacolo. Quando dici Cochi Ponzoni, racconti un mito della comicità surreale e del teatro ironico e romantico. Insomma, un po’ gli vorresti dare immediatamente del tu e un po’ senti che è necessaria una doverosa riverenza. È lui a raccontarci Le ferite del vento, lo spettacolo (produzione Società per Attori e Teatro Civico La Spezia) di Juan Carlos Rubio, con cui torna in scena da domani, 16 marzo, a domenica 19, al Teatro Sala Umberto di Roma.

Diretto da Alessio Pizzech, lo spettacolo vede, sul palcoscenico, anche il bravissimo Matteo Taranto.

Il giovane Davide alla morte del padre Raffaele si ritrova a dover sistemare le sue cose. Nel perfetto ordine degli oggetti lasciati dal genitore, uno scrigno chiuso ermeticamente attira la sua attenzione. Dopo aver forzato la serratura, per la quale sembra non esistere nessuna chiave, al suo interno scopre una fitta corrispondenza ingiallita dal tempo. La lettura di quei fogli, ricevuti e gelosamente conservati, lo porta a conoscenza di un segreto che mai avrebbe potuto immaginare: il padre aveva una relazione con Giovanni, il misterioso mittente di quelle lettere appassionate.

Cochi, raccontaci Giovanni, il tuo personaggio.

Si tratta di un anziano gay, con un passato sentimentale abbastanza burrascoso, al quale viene riproposta una relazione platonica che lo ha terribilmente fatto soffrire nel passato e che ora è costretto a rivivere in modo abbastanza doloroso.

Un ruolo molto delicato, dai contorni commoventi: anni fa un Maestro del surrealismo come te avrebbe raccontato una situazione così con toni prevalentemente umoristici e assurdi.

Sì, qui invece c’è una struttura drammaturgica ben precisa. Tuttavia, si tratta comunque di un personaggio fuori dalle righe. Giovanni è mezzo matto, lontano dai comportamenti tradizionali. Ha certi atteggiamenti che lo rendono comunque surreale.

Per esempio?

Ha l’ossessione del gatto ormai morto, che non è solo l’argomento di ogni sua conversazione, ma è persino il suo interlocutore inesistente. E poi ha reazioni particolarmente originali nei confronti di quel giovane che gli ripresenta situazioni del passato che pensava ormai lontane. Uno degli aspetti più belli di questo spettacolo è proprio l’ambivalenza delle sensazioni che vive.

Cioè?

Da un lato è chiamato a confrontarsi con se stesso, rivedendo le sue lettere appassionate, scritte a una persona che non non si capisce se fosse stata consenziente o meno. D’altra parte, si deve confrontare con un giovane che non capisce tutti i suoi modi di fare. Giovanni è una persona segnata da esperienze profonde dal punto di vista sentimentale e affettivo, che ne condizionano certi meccanismi caratteriali.

Come si sviluppa il rapporto tra i due?

L’anziano si ritrova, in un certo modo, a fare una vera lezione di vita. Davide, il ragazzo, sentendo il suo linguaggio, si accorge subito che è davanti a una persona abbastanza fuori dagli schemi: la loro comprensione all’inizio risulta controversa. Ci sono quindi incontri e scontri per questioni generazionali e per un fatto di inesperienza del ragazzo. Suo padre per lui era una specie di automa, anaffettiva: non capisce come fosse possibile che avesse una relazione con un pazzoide, mezzo ubriaco. Insomma si scontrano due personalità completamente diverse.

Che però alla fine imparano ad apprezzarsi.

Sì, ma sempre mantenendo viva la loro ironia. Ci sono reciproco momenti di presa in giro. L’anziano si rivolge così a Davide: “Tu non sai niente della vita e mi fai delle domande in proposito, ma ti dico cosa penso io: la vita è un disastro”. Il giovane, da neofita di tante situazioni, rimane scioccato e per certi versi anche incavolato di fronte alle continue provocazioni. La drammaturgia è molto articolata, ci sono momenti molto divertenti. Alla fine c’è un sorprendente colpo di teatro finale per cui si scopre che il rapporto raccontato nelle lettere, resta un grosso punto interrogativo.

Il padre gay, l’intimità della sessualità: sono temi che ultimamente vengono raccontati spesso. Una conquista per la società. Il teatro, però, ha sempre raccontato tutto questo anche se qualcuno non se ne accorgeva.

C’è comunque sempre bisogno di toccare la sensibilità del pubblico, raccontando le cose con uno sguardo contemporaneo e testi nuovi. Questo mi fu proposto due anni fa: è la prima volta che arriva in Italia, ed è scritto molto bene da un autore spagnolo, Juan Carlos Rubio, famosissimo nel suo Paese e ancora sconosciuto da noi. Ci venne a vedere all’Elfo di Milano e rimase molto soddisfatto. Tra l’altro lui ne aveva fatto un film con cui, secondo me, non era riuscito a centrare completamente il significato della commedia che aveva scritto. È una cosa abbastanza comune: fatta eccezione per Pirandello, difficilmente gli autori sanno rappresentare bene i propri testi. Questa messa in scena, invece, fatta col regista Pizzech, mette in evidenza tutti i meandri e le sfumature di Le ferite del vento.

Qua si parla di un uomo che, nel suo caso per amore e pudore, ha dovuto rinunciare a esprimere totalmente se stesso. Se ripensi alla tua carriera c’è qualcosa a cui hai dovuto rinunciare e che oggi rimpiangi?

No, senza alcun dubbio. Ho sempre realizzato quello che mi piaceva.

Se la vita di Cochi Ponzoni fosse una canzone quale sarebbe?

Quella che, con Renato (Pozzetto, ndr), ci ha reso famosi: La vita l’è bela. È sicuramente il mio motto perché, dopo tanti anni, sono ancora un inguaribile ottimista.

Negli ultimi tempi sono sempre più frequenti tributi a Gaber e Jannacci a teatro e, inevitabilmente, si scivola anche sulla vostra accoppiata. Ma ora che il Lirico di Milano si chiama Giorgio Gaber, non è possibile sognare un ritorno dei veri Cochi e Renato in quella cornice?

Non è escluso. Era già nei progetti, poi ci sono state delle complicazioni, ma se ci sarà l’occasione non c’è dubbio che faremo qualcosa.

Massimiliano Beneggi