Uno sguardo dal ponte: intensità e piacevole ironia dirette da un grande Popolizio – RECENSIONE

Fino al 21 maggio, al Teatro Strehler di Milano, è in scena Uno sguardo dal ponte (produzione Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale) di Arthur Miller. Ecco la nostra recensione.

IL CAST

Massimo Popolizio, Valentina Sperlì, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Maravacchio, Gabriele Brunelli, Marco Parlà. Regia di Massimo Popolizio, traduzione di Masolino D’Amico

LA TRAMA

Brooklyn, anni ‘50. Eddie Carbone è un italiano emigrato a New York, dove lavora al porto e vive con la moglie Beatrice e la nipote, Catherine. Questa è una ragazza di 18 anni, sotto la tutela degli zii dopo la morte dei suoi genitori. Esuberante, ama la musica e il teatro ma Eddie non asseconda queste passioni, dando da subito l’impressione di voler determinare le scelte di vita della nipote, con un atteggiamento estremamente protettivo. Quando Beatrice ospita a casa due cugini, immigrati illegalmente, Eddie non sembra troppo favorevole all’arrivo di ulteriori persone che potrebbero minare l’equilibrio familiare. I due nipoti, Marco e Rodolfo, si dovrebbero fermare per pochi giorni ma qualcosa cambia i progetti. Rodolfo, infatti, si innamora di Catherine, che sembra ricambiare il sentimento. Eddie non lo accetta, anche perché convinto che il ragazzo sia in realtà omosessuale. Prova a informarsi con l’avvocato Alfieri su come potrebbe impedire le nozze tra i due giovani; nel frattempo Beatrice ha i suoi buoni motivi per insistere affinché Catherine sposi Rodolfo ed esca di casa. Senza poterlo immaginare, gli atteggiamenti di Alfieri e Beatrice condizioneranno il comportamento di Eddie, pronto alla più infida vendetta pur di allontanare i promessi sposi.

LA MORALE

Viviamo spesso su ponti, senza accorgercene. In questo caso il ponte è quello di due culture: è da lì che emerge lo sguardo più equilibrato. È dall’alta e completa prospettiva del ponte che dovremmo porci ogni volta che vogliamo decidere quale scelta fare. La possibilità che abbiamo di muoverci senza creare danni ad altre persone, racconta la nostra vera libertà nel mondo. Libertà che si esprime tanto nell’amore, quanto nel vivere in un luogo che si ritiene adatto a noi. Da una parte si possono creare gelosie in chi ritiene di conoscere la persona come nessun altro. Dall’altra si possono concretizzare rancori che sfociano nell’assoluta mancanza di ospitalità verso gli immigrati. Quando l’umanità, toccata nei punti chiave e nelle certezze della sua vita, si spinge verso l’esasperazione, ecco che smette di essere umana. Bisogna sempre ricordarsi della gioventù quando ci dimentichiamo i valori veri della libertà. Quando ci convinciamo che riscattarci equivalga a umiliare qualcun altro. Da ragazzi, invece, ci bastano musica, sogni e speranze per vivere spensierati senza ledere la serenità degli altri. Con quelli si può andare persino oltre i più grandi drammi della vita, che magari hanno già minato (ma non trafitto) la nostra libertà.

IL COMMENTO

Uno spettacolo che vale la pena di essere proposto anche alle scuole, perché con la scusa della narrazione di un fatto inventato (ma ahinoi comune a tanti più di quanto non si possa immaginare), si consegna alla platea uno spaccato importante di storia. Utile, come sempre, anche per migliorare il mondo di oggi. Maschilismo, ossessione, possessivitá, gelosia, egoismi, umiliazioni, ma anche molto amore e voglia di riscatto. Tutto in nome di una vera o presunta libertà. Vengono a galla tanti sentimenti in questa storia degli anni ‘50. Vista l’intensità dei suoi temi, si potrebbe pensare a un racconto privo di ironie che diventerebbero altrimenti inopportune. Gli atteggiamenti di eccessivo disappunto per le scelte altrui, invece, con la maturità sociale del 2020 si trasformano persino in commedia. Per questo talune situazioni vengono caricate quasi comicamente, potendo confidare sulla consapevolezza di un pubblico che ormai sa bene quanto sia sbagliato ogni tipo di omofobia o di maschilismo. Pertanto il testo, riportato in scena oggi, desta anche più grottesco divertimento nella comprensione di una scrittura ambientata negli anni ‘50, quando tutto era diverso. In ogni caso, l’assurdità e l’idea di un mondo surreale, si scontrano con una vita che un tempo aveva davvero certi (dis)valori. Ed è lì che emerge la centralità del racconto, nutrito della sua profonda delicatezza. Si sorride spesso, è vero, ma quello che viene raccontato è tutt’altro che banale. Anzi, il clima omertoso davanti agli errori della società ci riporta a considerare una volta di più quante battaglie siano state fatte per poter parlare oggi di libertà.

IL TOP

Massimo Popolizio è superlativo: sente molto la storia e lo si evince dalla soddisfazione sul suo volto nei saluti alla platea. Dà colore e persino una credibile simpatia a un personaggio (quello di Eddie Carbone) che ha molti lati oscuri e ben poco positivo. Lo fa con una presenza scenica, una mimica facciale e una voce che circoscrivono il carisma comunque affascinante di Eddie. Si muove a ritmo di musica, passando dall’impeto di un uomo sfrontato che vorrebbe comandare tutti al gesto meccanico di una marionetta incapace di gestire le sue emozioni. Il pubblico dello Strehler lo tributa con un lungo meritato applauso, che raccoglie insieme a una compagnia ben assortita e ricca di talento. Si rimarcano soprattutto l’intensità di Valentina Sperlì, nel ruolo di Beatrice, donna dagli atteggiamenti ruvidi sentendosi abbandonata dal marito, e di Michele Nani. Questi, nel ruolo di Alfieri, l’avvocato e narratore della storia, è il ponte tra palcoscenico e pubblico, a cui si rivolge direttamente, quasi in maniera confidenziale. In definitiva, è sempre il ponte a regalare quello sguardo più equilibrato.

LA SORPRESA

C’è molta musica a scandire la storia. A volte arriva da un giradischi che Catherine ama far suonare nei momenti di sconforto per regalare vivacità. A volte è la colonna sonora di sottofondo. Un’atmosfera anni ‘50 che si interrompe con l’urlo di struggente libertà della moderna Amy Winehouse ad accompagnare l’applauso finale del pubblico. La presenza costante della musica, complici le scene (di Marco Rossi) e le luci (di Gianni Pollini), dà un ritmo quasi cinematografico a una storia che non annoia per 90 minuti ininterrotti.

Massimiliano Beneggi