Fino al 26 novembre al Teatro Golden di Roma (via Taranto) e poi in giro ancora per tutta Italia, è in scena Michele La Ginestra con il suo one man show, M’accompagno da me (produzione Teatro 7), scritto e interpretato da lui stesso, con la regia di Roberto Ciufoli. Sul palcoscenico anche diversi musicisti: La Commare (voce e basso) e Luca Zadra (percussioni e batteria). Il palcoscenico si trasforma in una cella del carcere, nella quale si vedono passare avvocati, detenuti, personaggi improbabili, tutti legati da un unico comun denominatore: i reati previsti dagli articoli del codice penale! Come recitava la famosa canzone da cui trae il titolo il one man show, “per far la vita meno amara” basta guardare alla semplicità e divertirsi con poco. Ecco, qui si ride con l’essenzialità ma moltissimo talento. Ci racconta meglio lo spettacolo proprio Michele La Ginestra.

M’accompagno da me è un omaggio a Manfredi e a tutta Roma?

L’omaggio a Nino per la verità c’è praticamente in qualsiasi mio spettacolo: Manfredi rimane un punto di riferimento artistico importantissimo per me. Il titolo è un omaggio a quella cultura di spettacoli d’altri tempi, di un cinema che non c’è più. D’altra parte M’accompagno da me è un po’ il seguito di M’hanno rimasto solo, lo spettacolo in cui traevo il titolo dalla celebre battuta de I soliti ignoti.

Come si svolge?

Inizio con la famosa canzone di Petrolini (Tanto pe cantà), poi cantata anche da Manfredi. Si tratta di un one man show vecchio stile, dove interpreto otto personaggi diversi. Il tutto inframezzato da musica suonata e cantata dal vivo. Non è un monologo ma uno spettacolo complesso: posso garantire che non ci si annoia mai. Dall’inizio alla fine si ride, ma tra una risata e l’altra proviamo a comunicare qualcosa.

Per esempio?

L’idea è di far comprendere che anche dietro a un delitto più stupido c’è sempre una motivazione che vale la pena ascoltare. Bisogna fare attenzione sempre a quel che viene detto e a come viene detto. I personaggi sono tutti davanti a un giudice per giustificare i loro comportamenti. Mi sono domandato io stesso, cosa farei come delitto? Ecco, ne trovato uno. Ho pensato a una vendetta che commetterei da artista e mi sono immaginato un avvocato che dovesse difendere Michele La Ginestra dalle accuse.

Addirittura una vendetta? Cosa hai pensato di così tremendo?

Ho fantasticato su un pubblico che, dopo uno spettacolo, sia stato colpito da una fionda, in quanto aveva usato un telefono cellulare in teatro. Ormai siamo ossessionati da questo malcostume che ci massacra e che negli spettacoli dal vivo crea disattenzione.

Come hai scelto Ciufoli alla regia?

Siamo amici da tempo e volevamo collaborare da tanto. Mi serviva una persona di cui fidarmi sia per la comicità sia per la poetica dello spettacolo: Roberto è un punto di riferimento di grande esperienza e mi è servito molto averlo al mio fianco. Io ho scritto lo spettacolo e ovviamente mi sono affezionato a certe cose che sono più che mai mie. Avere, però, qualcuno di cui ti fidi che ti possa dire dove stai allungando troppo il brodo e dove funzioni è fondamentale.

Non sei solo sul palcoscenico.

Con me ci sono tre musicisti che cantano e suonano: è uno spettacolo che gira da otto anni, con momenti molto brillanti, divertenti a volte anche in modo stupido, ma alternati a risate di qualità, fino a concludersi in un momento poetico. Ci si commuove, si riflette, ci si confronta: penso sia l’essenza del teatro. Raccontare la vita è nostro dovere sul palcoscenico.

Ecco, parliamo del momento storico del teatro. E’ vero che è in ripresa? Non ci sono ancora troppi personaggi provenienti dalla tv e dai reality?

Il teatro è vivo e lo sarà sempre, perché lo spettacolo dal vivo non può prescindere dalla sua essenza. Il cinema, invece, purtroppo soffre la possibilità di guardare un film in televisione su un maxischermo. Il tutto alimenta una pigrizia, cresciuta con i lockdown del Covid: si è pigri persino all’idea di andare in una sala cinematografica. Il teatro per fortuna in tv è inguardabile: quel rischio non lo corre. E poi ogni sera lo spettacolo è diverso. Sai cosa ho notato però?

Cosa?

Una selezione naturale: ci sono spettacoli di qualità, che vivono, e altri che sopravvivono o si limitano a barcamenarsi. Il pubblico, però, vuole la qualità perché per arrivare a teatro deve attraversare il traffico, trovare parcheggio: la serata teatrale diventa un impegno. Diciamo che in alcuni piccoli paesi fa più comodo avere il personaggio famoso che proviene dalla tv becera, perché riempie l’unica serata. Nella vendita che conta, però, e sto parlando di quella delle grandi città, i numeri premiano la qualità. C’è appunto una selezione qualitativa in quel senso, al di là del nome dell’artista.

Le istituzioni aiutano lo spettacolo o anche lì è un “M’accompagno da me”?

Non vivo considerando il rapporto con le istituzioni. L’ho avuto, anche con una certa fortuna perché durante il Covid solo pochi teatri potevano lavorare, con un premio dato da un fondo per lo spettacolo: come Teatro 7 lo abbiamo potuto fare, sebbene con paletti altissimi (un numero clamoroso di repliche l’anno precedente, un certo numero di dipendenti, ecc…). Tuttavia credo che dobbiamo reinsegnare a chi gestisce le sale teatrali di considerare l’idea che si debba vivere soltanto con l’incasso. Se poi c’è un aiuto istituzionale siamo tutti contenti, ma non si può pensare a vivere solo con sussidi regionali, comunali, che fanno crollare la qualità. Perché se ci sono quelli, non c’è più bisogno di vendere biglietti: basta fare qualcosa e ci si garantisce i soldi. Riabituiamoci a fare spettacoli di qualità da vendere.

Arriverete a Milano con Il Rugantino al Sistina Chapiteau l’anno prossimo?

Sarebbe bellissimo, perché quello di Milano è un pubblico molto colto. L’ultima volta, nel 2004, eravamo stati in scena due mesi al Nazionale: forse esagerammo. Credo che tre settimane però si potrebbero benissimo fare: incrociamo le dita intanto per questo nuovo progetto del Sistina Chapiteau che è molto ambizioso e prezioso!

Massimiliano Beneggi