Quando si parla di personaggi importanti e preziosi ci si risparmia (sa Dio perché) tanti preamboli con un perentorio “Non c’è bisogno di presentazioni”, e così i grandi protagonisti non vengono di fatto quasi mai presentati. Oggi invece vogliamo presentare una perla rara della musica che dobbiamo tenerci sotto chiave, la voce blues più autentica e coraggiosa che l’Italia abbia mai avuto: Iva Zanicchi.
Cinquant’anni fa a Sanremo esplodeva una canzone che ancora oggi è immediatamente riconoscibile sin dalle primissime inconfondibili note dell’orchestra. Erano anni in cui ogni edizione del Festival sfornava almeno cinque, sei brani che avrebbero avuto un successo internazionale, e il 1969 non era certo da meno: Lontano dagli occhi, Un’avventura, Cosa hai messo nel caffè, Quando l’amore diventa poesia, Bada bambina, Ma che freddo fa. In mezzo a questa concorrenza spietata, la spuntò proprio quella canzone inconfondibile, parliamo naturalmente di Zingara. La cantavano Bobby Solo e Iva Zanicchi ma, come naturale nella storia delle canzoni di quegli anni, anche Zingara non fece eccezioni, ed è una la versione rimasta nel cuore della gente, quella della grande interprete romagnola, che ne ha fatto praticamente un suo simbolo. Ha sempre cantato con una passione e un sorriso travolgente tale da saper dare a ogni brano un’impronta personale che sapesse emozionare, eppure chi è nato negli anni ‘80 ha impiegato un po’ a capire che non si trattasse solo di una simpaticissima conduttrice di Ok il prezzo è giusto. Tantissimi successi, ma la sua vita sarà sempre legata soprattutto a Zingara. Impegnatissima attualmente anche in tv, Iva sta portando il suo spettacolo Una vita da zingara in giro per l’Italia e da venerdì a domenica sarà a Milano al Teatro Nuovo, per poi dedicarsi anche a un remake di Il diavolo veste Prada. Un momento bellissimo per Iva Zanicchi che si è raccontata a TeatroeMusicaNews in questa bellissima intervista fatta di risate e tanta sincerità, come è da sempre nel suo amatissimo stile. Non sappiamo se abbia fatto pace con Bonolis e Benigni dopo Sanremo 2009, ma lei è senz’altro una che ha sempre saputo fare pace con se stessa: la qualità migliore che si possa avere.
Iva, parliamo di Una vita da zingara, parli della tua carriera a teatro, si parla non solo delle canzoni ma anche dei tanti incontri che l’hanno completata.
È lo spettacolo della mia vita, condito ovviamente con tante canzoni: ne canto 23. Metà è parlato e metà è cantato. Racconto la mia vita, com inizio dalla mia nascita in modo rocambolesco, la mia infanzia, i sacrifici. Gli incontri straordinari di cui parlo sono tanti: incontri da far tremare i polsi, De Chirico, Burri, Fellini, De Sica. Gli anni ‘70 furono molto particolari. Faccio un duetto virtuale con Aznavour con cui ho avuto la fortuna di cantare spesso insieme, in particolare in una puntata di Senza Rete dove gli ospiti eravamo io e lui. E poi Teodorakis, un altro autore greco straordinario, Visconti che volle una mia canzone in un suo film. Tutto ovviamente sempre viva Iddio con molta ironia.
Addirittura si parla di un incontro con Ungaretti.
Sì, in un momento più serioso dello spettacolo ricordo Ungaretti, parlo di una canzone dedicata al padre, e poi parlo di una canzone purtroppo sempre attuale che anche se semplice parla di cose molto profonde che è La riva bianca la riva nera. Quindi naturalmente ci sono anche momenti per riflettere, ma prevalentemente quello che mi interessa è che la gente possa anche divertirsi e uscire dal teatro serena e a cuor leggero. Poi se si commuove anche meglio ancora.
Andiamo un momento a Zingara, che quest’anno compie 50 anni. Era per te già il secondo Festival che vincevi dopo il ‘67 (l’anno della tragedia di Tenco), e prima di rivincere in un periodo di crisi del Festival nel ‘74 con Ciao cara come stai. Cosa rappresentò quel trionfo del ‘69?
Sì, era la seconda volta che vincevo, ero insieme a un cantante con una voce meravigliosa: Bobby Solo. Fu la vittoria più bella quella con Bobby. La canzone era talmente bella e popolare che quando in prova anche i cosiddetti “avversari” ci applaudirono dicemmo “Qua si mette bene”. E in effetti andò benissimo, perché quella canzone già dal primo capoverso “Prendi questa mano zingara” è molto immediata. Magari ci son canzoni anche più belle ma quella era popolare immediata, forte, arrivava subito nel cuore della gente. E per noi che eravamo giovanissimi arrivare così al cuore della gente con questa canzone così forte era stupendo.
Tu sei, e lo posso dire senza piangeria, la più grande voce blues che possiamo vantare, e Come ti vorrei è l’esempio più classico della sua straordinaria voce. Cosa è cambiato nel modo di fare musica oggi con questi giovani cantanti che hanno tutti la stessa voce?
Certo se uno vuole fare il cantante va da che deve avere la voce. Un tempo però, quando cominciai io, c’erano cantanti del calibro di Patty Pravo, Gabriella Ferri, Mina, la Vanoni…ciascuna aveva la sua voce, e ti riconoscevi per quella. Eravamo particolari per la voce, eravamo riconoscibilissime. Oggi sono molto simili perché alla base non posso dire ci sia poca scuola perché di quella ce n’è tanta, ma sarebbe importantissimo avere l’umiltà, la gavetta, che sembra una brutta parola, invece è preziosa perché vuol dire che hai sperimentato nelle feste popolari, nelle balere: quella era una scuola straordinaria. Oggi poi vanno tanto i modelli americani. Io amavo la Fitzgerald, ma non la interpretavo mai. Mi imponevo di cantare brani del repertorio maschile per non lasciarmi influenzare dalle grandi cantanti di allora e per non cadere nell’ imitazione, cantavo Frank Sinatra piuttosto che la Fitzgerald. Oggi invece si piccano di cantare come Mariah Carey, Witney Huston, delle grandi voci americane. E fanno vocalizzi per cui sembra che più fanno note acute più sono brave invece non è mica vero, perché col tuo canto devi emozionare.
C’è qualcuna che possa oggi essere considerata la nuova Iva Zanicchi?
No quello onestamente non lo so. Ci sono tante cantanti molto brave, ne abbiamo una bella schiera a partire da Giorgia a Elisa, poi c’è la Marrone che ha molta grinta, la Amoroso..Ora farò un musical e ho voluto Bianca Atzei, che non viene mai ricordata e invece ha una voce molto particolare. È molto brava, a me piace molto. Non viene mai ricordata perché in questo ambiente uno dice “Al lupo al lupo”.. è solo il lupo ma è bravissima. C’è la Consoli, che può piacere o non piacere ma è originale, ma ha questo pregio di avere voce tutta sua, di proporsi in modo molto personale. È molto personale e questo va premiato. E poi c’é Arisa, che canta molto bene.
Hai parlato di un musical, di cosa si tratta?
C’è troppa carne al fuoco in questo momento perché in sto momento sono in tv con Coliandro, vado da Chiambretti che è molto intelligente, originale, di nicchia il mercoledì e mi diverto molto a Tu si que vales. E ora giusto per riposare un mesetto dal 31 dicembre al 20 dicembre faccio Man in Italy che è un po’ il rifacimento di Il diavolo veste Prada dove io faccio la cattivella che ha una grande sartoria e fa filare tutti a bacchetta, anche questo è un ruolo molto divertente. È capitato tutto insieme in questo momento, un po’ per caso dico la verità
Anni fa in una trasmissione, I gemelli con Pupo e Staffelli, dichiarasti che Le montagne era la tua canzone che avrebbe meritato più successo rispetto a quello ottenuto. Sono passati un po’ di anni, nel frattempo hai cantato anche Fossi un tango, Ti voglio senza amore e tante altre…riconfermerebbe Le montagne come quella che meritava di più?
Sì certamente, negli anni ho fatto un po’ tutti i generi, ma quella canzone avrebbe meritato di più. In teatro la abbino a Come ti vorrei che era stata il mio primo disco. Le montagne fa parte di un periodo che era l’inizio dell’amore per la musica americana, per il rock, la cantava anche Tina Turner. Io la canto di forza anche a teatro, perché è una canzone di forza, non puoi non metterci grinta quando canti Le montagne. Era in quel momento troppo rock forse. Io avrei voluto continuare su quel genere, ma ero una ragazzotta un po’ timida di Lingonchio…Il blues l’avevo dentro, invece i miei discografici, giustamente forse, mi mandarono a Sanremo con canzoni molto melodiche, che non rinnego assolutamente, perché anche Non pensare a me con cui vinsi nel ‘67 è una canzone italianissima molto bella che cantavo con il re della melodia, Claudio Villa, ma per il mio pubblico quella fu una batosta. Anni dopo Lucio Dalla mi disse “Non ho mai capito quella scelta. Sei stata la più grande delusione della mia vita”. E io: “Cosa ho fatto?” “Rimasi malissimo, avevamo finalmente trovato una cantante blues, sei partita con Come ti vorrei e poi vai a cantare con Claudio Villa!”. Me ne disse di tutti i colori.
Sanremo è nei tuoi obiettivi per il 2019? Visto che hai già pochi impegni…
(Ride) Appunto, manca solo quello e siamo a posto. No io ho detto che Bacalov mi ha regalato prima di morire una bellissima canzone inedita che mi piacerebbe presentare a una grande platea, a una manifestazione così vasta, ma ho detto solo quello…
Su TeatroeMusicaNews abbiamo lanciato la richiesta per avere un premo alla carriera a Johnny Dorelli nel 60esimo anniversario di Piove, ci aiuti a condividerla?
Amo Johnny, un grandissimo. Hai suggerito un nome straordinario, e come l‘anno scorso lo diedero a Milva io sarei propensa subito a firmare perché gli venga come minimo dato un premio, perché ha dato moltissimo alla televisione e alla musica che io amo moltissimo. Sarei felicissima.
Ma se ci fosse un premio?
Diciamo così che se quel bravo ragazzo si commuove e mi invita io vado ma in concorso: o in gara o a casa. Non me ne frega niente niente di premi o privilegi, io se vado voglio andare in gara.
E anche questo fa un grande onore a Iva Zanicchi…
Massimiliano Beneggi
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