È uno dei conduttori televisivi più amati dal pubblico della Rai, alla quale è legato ormai da quasi trent’anni, ma prima ancora di diventare un grande narratore della storia del teatro, Pino Strabioli, direttore artistico del Teatro Comunale di Atri e del Teatro Mancinelli di Orvieto, è un eccezionale protagonista del palcoscenico. Inizió la sua carriera a Orvieto, la sua città natale, nella compagnia di Patrick Rossi Gastaldi in numerosi spettacoli di cabaret prima di arrivare a recitare Pirandello con la Compagnia Stabile del Piccolo Eliseo. Da domenica scorsa è tornato su Raitre con un grande riscontro di pubblico per Grazie dei fiori, la trasmissione con cui ci porta nella storia del Festival di Sanremo e della società italiana, con la sua stupenda capacità di accompagnarci in storie sconosciute e curiose. Abbiamo così voluto scambiare due chiacchiere con lui, che potremmo considerare a tutti gli effetti il vero erede del grande Paolo Limiti. Eccolo in questa bella intervista, dove ci conferma straordinaria umanità, e sincera voglia di divulgare la cultura italiana attraverso la sua bellissima forma artistica.
Pino, innanzitutto complimenti per Grazie dei fiori, una trasmissione decisamente ricca e sorprendente.
È stata una sorpresa anche per noi: catturare l’attenzione di più di due milioni di telespettatori, facendo l’8% di share a quell’ora su Raitre non è facile, siamo molto contenti del lavoro fatto.
Il programma nasce da un amore per il Festival e dalla tua passione per il racconto…
Il Festival di Sanremo è nel dna degli italiani. Lo scorso anno il direttore Stefano Poletta, che è uno sperimentatore e questo è il motivo per cui la rete funziona, mi ha chiesto di provare a raccontare la canzone, essendo io un “maniaco della memoria”, benché non sia un critico musicale e mi sia sempre occupato soprattutto di teatro. Raccontiamo quindi la storia di Sanremo, non facendo una semplice playlist di canzoni perché Sanremo è un pezzo di cultura: la nostra é un’osservazione dell’Italia dal palco dell’Ariston, parlando dell’evoluzione del Paese e facendo ascoltare le canzoni. Insomma si parla di Sanremo ma non solo: entriamo e usciamo continuamente dall’argomento strettamente legato al Festival. L’anno scorso andò molto bene e quest’anno l’abbiamo riproposto. Accompagneremo per cinque settimane il pubblico al grande evento di Raiuno, con due esperti mai banali come Renzo Arbore e Gino Castaldo e diversi ospiti. Ho voluto nella prima puntata, dedicata ai grandi autori, Alice, un’artista straordinaria, solitamente schiva rispetto alla possibilità di apparire in tv, che continua a portare in giro tanta cultura. Domenica parleremo di duetti e coppie e avremo ospite Ornella Vanoni. Nella terza puntata parleremo di stranieri, evitando la polemica in cui si è ritrovato coinvolto il povero Claudio Baglioni, e lo faremo con Nina Zilli, nella quarta racconteremo l’impegno e il disimpegno musicale con Elio il suo storico gruppo, mentre nell’ultima puntata sarò direttamente a Sanremo.
Noi continuiamo a proporre un Premio alla Carriera per Johnny Dorelli, sperando che Baglioni ci ascolti, a 60 anni dalla vittoria di Piove. Uno che ha dato tanto a musica e teatro…
Sarebbe davvero pregevole: non a caso abbiamo mandato in onda nella prima puntata un Johnny Dorelli minorenne che cantava Volare. Lui è un sornione, un grande che mi emoziona, un pezzo della nostra storia. Purtroppo non l’ho mai intervistato, è uno di quelli mi manca all’appello: mi piace caratterialmente, e amo il suo distacco che ha dal successo, benché potrebbe benissimo vivere di corone e di allori.
Parliamo di teatro, sarai nello spettacolo che Christian De Sica porterà in giro per l’Italia. In cosa consiste?
Io sarò il cerimoniere, il conduttore come faccio in tv. Racconteremo Christian De Sica, parlando di aneddoti, ricordi, a partire dal suo incontro con Wanda Osiris, quindi Lelio Luttazzi, il suo rapporto con la famiglia, Carlo Verdone, gli amori, i successi, Massimo Boldi. Insomma è una passeggiata nella vita di questo meraviglioso figlio d’arte. Si tratta di un concerto confessione che abbiamo già sperimentato a Orvieto dove ha funzionato molto bene. Ci sarà un’orchestra, e io condurrò Christian nel racconto della sua vita: farà un repertorio americano e italiano con omaggi a Sinatra, a Luttazzi e a suo padre, perché ovviamente parlando Christian, racconteremo inevitabilmente Vittorio. È Un concerto confessione che abbiamo già sperimentato a Orvieto dove ha funzionato benissimo.
Parliamo invece di Perché non canti più, lo spettacolo con Syria in cui omaggiate Gabriella Ferri che sta avendo un successo straordinario in giro per l’Italia e a fine marzo sarà anche a Milano al Teatro Menotti. Intanto grazie di avere riportato Syria sulla scena.
Noi purtroppo ragioniamo in base alla visibilità televisiva: se vediamo un personaggio esiste, altrimenti non esiste, l’unica che fa eccezione è Mina. Invece riusciamo a vivere anche di realtà artistiche non televisive: esistono carriere che hanno esigenze diverse, come quella di Alice che citavo prima, e appunto di Syria. Lo spettacolo sta andando davvero bene: a Roma abbiamo fatto due sold out al Vittoria, e ovunque stiamo riscontrando un grande successo. Il progetto è nato per caso perché avevo raccolto i diari di Gabriella Ferri, con scritti, disegni, appunti, lettere. In tanti mi chiedevano di fare uno spettacolo e io rispondevo sempre di no. Una sera parlai con Syria e riconobbi in lei un sincero grande amore per Gabriella. Ne ho parlato con il figlio della Ferri e abbiamo ideato insieme questo spettacolo, che è un concerto spettacolo dove ci sono i grandi pezzi della Ferri, ma anche pagine di diario, per cui Syria canta, legge e racconta la vita di Gabriella; è uscita fuori una bella cosa, emozionante, un tributo mai retorico a Gabriella che fu anche una mia amica.
Il bello di questo spettacolo è il suo essere un tributo senza imitazioni. Senza pretendere quindi nessun paragone, pensi sia possibile avere oggi artisti come Gabriella Ferri?
La possibilità di ripetere grandi spettacoli è una legge del teatro, altrimenti ogni volta fatto un testo andrebbe poi buttato. Io odio le imitazioni, ma amo i tributi fatti con passione e verità. Amo chi mette al servizio se stessa con voglia di fare un’interpretazione personale, e di mettere in campo le proprie emozioni. Il pubblico ascolta i brani di Gabriella, ma di fronte ha Syria. Poi, una volta tornati a casa i giovani, che per età anagrafica non hanno potuto conoscere la carriera di Gabriella, vanno a scoprire grazie al nostro lavoro, questa fantastica artista, una donna straordinaria che ha vissuto sempre tra tormento e felicità. Mi accadde la stessa cosa con Paolo Poli, quando feci le sei puntate dedicate a lui su Raitre. Chi fa il nostro lavoro cercando di fare cultura deve sempre incuriosire verso il passato per proiettare il pubblico nell’oggi. Certo, poi c’è chi imita ma di Gabriella Ferri ce n’è una, come ci sono una sola Mina, una sola Patty Pravo…e una sola Syria.
Quindi é un lavoro con una filosofia proustiana: assaggiamo qualcosa che ci riporta al passato, con una energia nuova e possibilità di farne una base per il futuro.
Esatto, proprio così. Noi non facciamo nessuna imitazione, infatti non portiamo in scena parrucche bionde…Facciamo un lavoro con la memoria.
Vorrei parlare con te di comicità. Qualche giorno fa sarebbe stato il compleanno di Petrolini; uno che con orgoglio faceva “lo scemo del palcoscenico”. Come si fa a fare comprendere che il teatro possa essere un grande veicolo di comunicazione della vita quotidiana senza essere qualcosa di noioso ma anzi spesso molto divertente?
Certo di artisti straordinari ne abbiamo tantissimi. Tu hai citato Petrolini che era così surreale, folle, futurista. Abbiamo maestri come Gigi Proietti, che porta in scena grandi testi con un divertimento, un piacere, e quindi una bellissima leggerezza. Anche Paolo Poli leggeva testi classici e si vestiva da donna e incuriosiva e divertiva facendo nel frattempo crescere il livello culturale. Io nel mio piccolo ho fatto Carta straccia, ambientato nel 1968, parlando della vita di un fratello e una sorella che condividono un’esistenza di solitudine, che poi però faceva anche molto sorridere. La comicità è questa: c’è molta tenerezza, molta poesia, e infine la grande risata. Con il teatro riusciamo a dare contenuti senza essere noiosi: divulgare dovrebbe essere questo. La comicità è un’arte, Totò ce lo insegna.
Il comico quindi affronta sempre temi molto delicati, dove la risata è una reazione importante al pari di un pianto.
Certo, sapere far ridere è una cosa seria
In questa stagione teatrale quali sono gli spettacoli che più ti stanno colpendo?
A Orvieto abbiamo avuto Edoardo leo con Ti racconto una storia, che ha avuto un grandissimo riscontro di pubblico con tanti sold out, così come Con tutto il cuore di Vincenzo Salemme. Tra due settimane è particolarmente atteso Massimo Ranieri, che affronta testi di Cechov e anche lui si inserisce in quel panorama di artisti che, come dicevamo prima, sanno far divertire con canzoni e spettacolo e nel frattempo portano in scena cose molto serie. Ho visto qualche sera fa a Rom al teatro Off Off Il giovane criminale, lo spettacolo confessione di Sasà Striano, che parla della sua vita in galera: molto emozionante, e questo conferma che bisogna essere trasparenti e onesti e in ogni cosa che si facciamo, la gente lo sa riconoscere. Infine io sono un appassionato di Filippo Timi, e il suo ultimo spettacolo Un cuore di vetro in inverno è semplicemente incantevole.
Pensi che la televisione sia utile al teatro o gli spettacoli teatrali trasmessi in tv siano un danno per questa arte meravigliosa?
Io sono contrario alla riproposizione degli spettacoli teatrali in tv. Un tempo avevamo chi viveva in provincia che non poteva vedere certe cose, c’era un senso, ma oggi certi progetti sono improponibili. Scrissi qualche tempo fa un articolo su come la tv potrebbe veicolare il teatro: tornerei volentieri a raccontare il teatro e gli attori attraverso chi lo fa, facendo vedere frammenti dello spettacolo. Bisogna incuriosire il pubblico, far capire cosa sia l’arte della rappresentazione piu antica. Oggi la tv non informa su cosa ci sia a teatro. Quindi la messa in onda va bene solo per l’opera lirica per il tipo di spettacolo, che si appoggia molto sulla maestosità della voce, ma in generale il teatro va visto a teatro, va sentito il sospiro, la pausa.
Diventa bello persino sentire l’errore talvolta…
Certamente, perché lo vivi con lí con l’attore, è molto più vero, la tv è un’altra cosa. Eduardo De Filippo é l’unico ad averci lasciato un grande patrimonio in tal senso: lui faceva la regia televisiva per le sue commedie. Andava in uno studio, con scenografia e telecamere solo per la tv, non si riprendeva nulla dal teatro. E lo stesso fece Luca Rondoni con L’Orlando furioso.
Concludiamo parlando dei tuoi grandi innumerevoli incontri. Scegli due personaggi, un uomo e una donna, che ti hanno lasciato un segno più di tutti gli altri tra gli innumerevoli che hai intervistato.
Paolo Poli e Franca Valeri sicuramente contribuirono alla mia crescita personale, sono pezzi della mia vita. Tra le grandi interviste invece mi hanno folgorato Dario Fo, che faceva un teatro politico, e Valentina Cortese, considerata l’ultima diva. Due personaggi così differenti tra loro, che mi hanno completamente incantato.
Massimiliano Beneggi
2 pensieri riguardo “Intervista a Pino Strabioli: “Cosí racconto De Sica e Gabriella Ferri. Vorrei tornare a parlare di teatro in tv””