Cosa resterà di questi anni ’10? Dopo che Raf si pose la fatidica domanda trent’anni fa, viene così spontaneo al termine di ogni decennio interrogarsi. Non sarà certamente tutto da buttare, ma la risposta potrebbe anche non piacerci troppo, quindi prendiamo un digestivo e proviamo a lasciarci scivolare via questi anni di social compulsivo iniziato alla fine del decennio precedente, proseguito con pieghe pericolose. Dai post sporadici siamo arrivati fino alle stories, che dovrebbero quindi raccontare qualcosa, sponsorizzare eventi…e invece sono diventate un’occasione in più per romperci gli zebedei. La misura è colma, il limite superato da un pezzo. La privacy non esiste più consapevolmente (le diapositive delle vacanze altrui sono sempre state uno storico straziante momento di noia, eppure non esiste profilo social che non ci imponga le sue belle gambe biotte sulla spiaggia) e inconsapevolmente (vi siete mai chiesti quali tracce debbano esistere sul web se per una volta che avete cercato una vacanza a Milos ora siete costretti a sorbirvi pubblicità di tutto l’arcipelago greco? Siamo controllati su tutto, siamo a conoscenza del legame tra Whatsapp e Facebook, eppure non ci rendiamo conto che mettiamo la nostra vita in mano ai social, però rivendichiamo la nostra privacy quando diciamo il nostro numero di cellulare a bassa voce). Intanto la vita è sempre più rapida e immediata: dialoghiamo costantemente anche a distanza con la chat, il web ci ha abituato ad avere subito da casa tutto quello che prima potevamo ottenere attraverso agenzie e negozi. In questo modo possiamo fare tante attività durante la giornata risparmiando tempo ma perdendo in qualità e serenità mentale, perché mentre il cervello immagazzina le informazioni della giornata, la sua memoria si riempie fino ad esplodere.

La musica non è più soltanto liquida: il ritorno al vinile è senza dubbio uno dei romantici motivi di entusiasmo per gli anni ’10. Ma è un’illusione: le canzoni che riscuotono successo col vinile non rimangono in classifica per oltre due settimane, perché le radio non le trasmettono. È stato l’indiscutibile decennio della trap, quel genere spopolato vertiginosamente in Italia negli ultimi tre anni, importando dagli Stati Uniti. Dieci anni fa ci preoccupavamo perché la carriera di un cantante poteva nascere solo in un talent, oggi dobbiamo leccarci le dita quando leggiamo dell’uscita di un singolo di uno di quei ragazzi, che canti con parole e voce sua, senza versi incomprensibili e la voce di SuperVicky. Emma Marrone, Alessio Bernabei, Elodie, The Kolors, Il Volo erano solo degli aspiranti cantanti dieci anni fa, ora rappresentano la musica italiana. Sfera Ebbasta e Lazza dieci fa erano aspiranti cantanti, oggi sono rimasti aspiranti cantanti, solo che vengono pagati per emettere suoni con la bocca che non sono parole né si appoggiano su delle musiche.

La televisione è diventata ad appannaggio di Barbara D’Urso, in una volgarità che capace di far sembrare poetiche le urla sovrapposte del Processo di Biscardi: ora non discute più solo sui rigori, ogni occasione è buona per urlare, anche il nulla più assoluto come Mark Caltagirone. Il cinema e le fiction non vogliono attori, ma personaggi, che in qualche fortunato caso sono anche bravi attori. I teatri si svuotano, i libri sono sempre meno acquistati eppure si legge molto di più e si vedono più spettacoli: con i social vediamo video di tanti spezzoni di spettacoli e leggiamo ogni tipo di articolo anche pseudo psicologico. Postati e scritti da chi, talvolta, non si sa. Sappiamo come, e ci basta a deprecarne la continuità nel prossimo decennio.

Quando i Figli di Bubba, capitanati da Mauro Pagani, cantavano nel 1988 Nella valle dei Timbales prefiguravano una sorta di isola felice dove non c’erano più Andreotti, la Carrà, Celentano non cantava più, le lasagne surgelate e le partenze intelligenti sarebbero sparite. Ora che al governo non abbiamo la Dc, la Carrà è rara in tv quanto Adriano che canti, la comodità dei surgelati ha lasciato il posto ai sushi e alle cucine etniche e le vacanze sono talmente scaglionate da non esistere più partenze intelligenti, abbiamo nostalgia di un mondo che era sicuramente più conservatore ma più vero, più rock.

Finisce quindi il decennio che ha determinato il format televisivo dei tre giudici dietro a un tavolo a dire o no per decretare la correttezza di improbabili talenti. Che non sanno nemmeno quale talento vogliano esprimere oltre alla smania di apparire, ma nel decennio che ha consegnato i governi ad alleanze nate solo per sedere sulle poltrone, magari dopo essersene dette di tutti i colori, tutto può accadere. Finisce il decennio del jeans a vita bassa e del risvoltino ai pantaloni acquistati consapevolmente più lunghi.

Bene, tutto questo finisce. È già un buon inizio per gli anni Venti. Quelli in cui, speriamo, tra i ritorni delle mode, rivedremo la passione per teatro e musica in modo autenticamente esperibile. È ora di tornare sulla nostra Terra e abbandonare questa assurda Valle dei Timbales, che era molto più affascinante quando rappresentava solo un’ipotesi.

Massimiliano Beneggi