È stato il Festival più lungo della storia, quello che vi abbiamo provato a raccontare giorno per giorno con ironia, aneddoti e cronaca. Quello che a mezzanotte e mezza aveva costantemente metà delle canzoni in programma ancora da ascoltare. Il Sanremo dell’amicizia: quella sincera, commovente di Fiorello che va sul palco per quattro sere a divertirsi senza volere prevaricare su Amadeus, e quella rotta in diretta tra Morgan e Bugo. Il Sanremo più polemico sin da prima della conferenza stampa di presentazione, etichettato come sessista e concluso senza donne sul podio. Il Festival di Sanremo che aveva un favorito (Anastasio) poi classificato solo a metà graduatoria, un outsider (Elodie) che ha saputo fare sua la canzone di Mahmood solo alla serata finale, e una sala stampa che poteva modificare a piacimento la classifica proprio come accadde lo scorso anno con Mahmood. Il televoto avrebbe dato la vittoria a Gabbani, i giornalisti sono stati così decisivi facendo risalire di due posizioni il vincitore, Diodato. E così la melodia più classica, fatta di grandi arrangiamenti orchestrali, torna a vincere in riviera dopo alcuni anni di sperimentazioni.
Fai rumore è il brano vincente e struggente che commuove, e che soprattutto consacra definitivamente il bravissimo cantautore tarantino. Ma di sicuro non sarà l’unica cosa che rimarrà di questo Sanremo 2020, fatto di belle canzoni forse inascoltate.
Achille Lauro, Me ne frego, 7,5. Provoca senza limiti come la Bertè degli anni ’80, ma ha un ritornello che si fa ripetere. E una canzone deve essere ascoltata, non guardata.
– Alberto Urso, Il sole a est, 6,5. Il talento c’è, la canzone anche. Il mordente no. Tra le tante esibizioni si perde nell’anonimato e nel sonno
– Anastasio, Rosso di rabbia, 5. Il rapper entrato Papa e uscito cardinale non ha mai convinto. Brano per niente orecchiabile.
– Bugo e Morgan, Sincero, 6. Il brano non è certamente indimenticabile, sebbene i suoni e l’inizio fossero di un certo livello. In ogni caso si parlerà sempre della loro lite, la canzone rimarrà un aneddoto.
– Diodato, Fai rumore, 8. Aveva già dimostrato le sue doti vocali sei anni fa al debutto. Ora, due anni dopo la partecipazione con Roy Paci, punta sul classico sanremese convincendo praticamente tutti.
– Elettra Lamborghini, Musica (E il resto scompare), 7. In finale canta rilassata, ma fino a prima è una stonatura unica. Pazienza, a Sanremo si è visto di peggio. Il testo è quello di una ragazza…allegra. Farà ballare anche in estate.
– Elodie, Andromeda, 7,5. Coraggiosa e determinata in questo nuovo percorso, quasi mai fuori misura. A parte i vestiti, che non contenevano il seno.
– Enrico Nigiotti, Baciami adesso, 6,5. Ultimo canto disperato alla donna da cui si è allontanato: non regala le emozioni che sarebbe lecito attendersi da Nigiotti, la canzone non esplode mai.
– Francesco Gabbani, Viceversa, 9. Orecchiabile, divertente, romantica, sincera. Una bellissima canzone d’amore interpretata con grande ironia, e il pubblico già la ama. Se tre anni fa Gabbani fu consacrato a bravo cantautore, con questo secondo posto è di fatto un leader della musica italiana.
– Giordana Angi, Come mia madre, 7,5. Non è mai stata capita in questo Festival, ma Giordana non è mai stata definita la nuova Mia Martini. Le assomiglia, ma è meglio non dirlo perché crescono sbagliate aspettative. Il brano è una bella dedica alla madre, con parole stupende.
– Irene Grandi, Finalmente io, 8. Già, finalmente è tornata lei. Meritava molto di più in classifica, sarà uno dei successi in radio.
– Junior Cally, No grazie, 6. È un po’ troppo facile e riduttivo fare una canzone con due parole che si ripetono a prova di deficienza. Ma nella musica di oggi funziona anche questo.
– Le Vibrazioni, Dov’è, 8,5. Strazianti da arrivare in gola, hanno il coraggio di cambiare uscendo dagli schemi del loro rock melodico. E lei dov’è? Nella casa del Gf con un altro proprio nella serata della finale.
– Levante, Tiki Bom Bom, 6,5. Lei ha innata capacità di interpretare sul palco, ma la canzone arriverà alle orecchie col tempo.
– Marco Masini, Il confronto, 5,5. Noioso, senza carattere nell’anno del 30esimo di Disperato. Il confronto con il 1990 è impietoso.
– Michele Zarrillo, Nell’estasi o nel fango, 7,5. Non stanca mai, sa rinnovarsi andando a ripescare nello stile di Mango.
– Paolo Jannacci, Volio parlarti adesso, 6,5. È il più educato ed emozionato: un vero signore, ma è Sanremo e non il galateo. La canzone c’è, la voce no. Parla adesso, ma senza note alte Paolo: fallo per tuo padre.
– Piero Pelù, Gigante, 8,5. Rock, padrone del palco, superlativo, unico anche nel duetto con Little Tony nelle cover. Il brano resterà perché da grinta al Festival.
– Pinguini Tattici Nucleari, Ringo Starr, 7.5. Tocca a loro portare il gioco e la solarità sul palco quest’anno. E, ridendo e scherzando, fanno conoscere Ringo Starr ai loro giovani fan.
– Rancore, Eden, 6,5. Il rapper in gara più convincente vince il Premio Bardotti per il miglior testo. Questo forse è eccessivo, ma almeno ci sono dei contenuti in questo brano.
– Raphael Gualazzi, Carioca, 9. Sempre più bravo, suona e rivoluziona il palco trasformandolo nel Carnevale di Rio. Spumeggiante, ignorato dalle giurie, ma con lui all’Eurofestival ci saremmo divertiti.
– Riki, Lo sappiamo entrambi, 8. Un ultimo posto che grida vendetta come Vita spericolata. Romantico, dolce, fresco. Ha chiesto lui ai fan di non essere televotato perché spegnessero i cellulari per ascoltare la canzone. Così si fa: è tutta da ascoltare questa poesia.
– Rita Pavone, Niente (Resilienza 74), 8,5. Rock, grintosa, bel ritornello che rimane in testa. E poi Lei: una volta si sfidava con Mina, oggi con i giovani. Che lezione ai colleghi scettici: non aveva bisogno di Sanremo, ma noi avevamo bisogno di lei.
– Tosca, Ho amato tutto, 8. Intensa, meravigliosa. Canzone stupenda. Insomma piace a tutti ma nessuno la voleva vincente. Perché? Perché una canzone così è una colonna sonora adatta ad ogni film, in qualunque momento, ma per quanto avvolgente e romantica non rimane subito in testa. Alla fine ci si ricorda solo che è stato bello ascoltarla.
Amadeus, 9. Sbaglia solo i tempi troppo lunghi, e ora altrettanto lungamente discussi. Per il resto è perfetto: ha organizzato un Festival rock, rap, melodico. È il vero Festival della canzone italiana. Il vincitore è lui: impossibile ora salire sul carro del vincitore per chi (tanti) lo avevano attaccato su ogni linea. Non parla solo lo share per lui, ma anzitutto il garbo, l’autoironia, l’eleganza con giacche di velluto e papillon tutte le sere, la competenza musicale nella scelta di brani che rimarranno. Bravissimo.
Fiorello, 10. Non sbaglia nulla. Amico vero di Amadeus a cui fa solo da spalla. Irresistibile in ogni cosa faccia, compresa la capacità di improvvisare sul palco quando deve sdrammatizzare in diretta sulla vicenda Morgan-Bugo.
Tiziano Ferro, 10. Sennò il bambino si offende se diciamo che ha sbagliato le note su ogni canzone e che ha sbagliato a criticare Fiorello. A parte queste cose, a parte il sorriso di gomma troppo finto, a parte avere ripetuto cover che si cantano tutti gli anni, Titti non ha sbagliato nulla. Lui non è sbagliato.
La Rai, 2. Facile non intervenire in favore di Amadeus lasciandolo nella mischia quando tutti lo attaccano, per poi osannarlo quando gli ascolti portano pubblicità e soldi. Già, i soldi: se si spendessero 300 mila euro per avere tanti artisti anziché solo per Benigni, si darebbe molto più lavoro a comici disoccupati che almeno fanno anche ridere.
Sabrina Salerno, 8. Boys boys 2020 remix vale la sua presenza, spigliata e ironica.
Massimiliano Beneggi