Doveva essere una delle protagoniste più attese della stagione teatrale del Manzoni di Milano con Se devi dire una bugia dilla grossa, la celebre commedia degli equivoci di Pietro Garinei, diretta questa volta da Luigi Russo, che porta sul palcoscenico pathos, humor, e sane risate in un turbillon di eventi che inducono il pubblico a prendere le parti dell’uno o dell’altro personaggio. Gli ultimi eventi, legati alla diffusione del coronavirus, hanno impedito la messa in scena prevista tra marzo e aprile, ma Paola Quattrini dà appuntamento al pubblico meneghino alla prossima stagione: “Ci è dispiaciuto tanto dovere rinunciare a Milano, ma ci saremo comunque con la prossima stagione. La produzione e tutta la compagnia non vedono l’ora di divertire con questo spettacolo”.
Nel frattempo, per il momento, sono state spostate ancora all’interno di questa stagione le date di Firenze, Genova e Forlì. Si riparte in teoria dal 6 aprile, ma l’attrice preferisce essere cauta: “Vedremo ora come andrà la situazione e quando davvero si potrà riprendere”. Lo spettacolo vede l’esordio teatrale della simpaticissima Paola Barale, al fianco di preziosi colleghi quali Antonio Catania e Gianluca Ramazzotti.
Bambina prodigio a soli quattro anni nel film Il bacio di una morta di Guido Brignone, Paola Quattrini è oggi una delle attrici italiane più amate e più importanti del nostro panorama artistico. Apprezzata soprattutto per la sua innata delicata ironia che porta sul palcoscenico in ogni personaggio con garbo ed eleganza, Paola vanta esperienze teatrali e cinematografiche che fanno di lei un vero esempio di cultura e classe del nostro Paese senza alcuna retorica.

Così dopo avere lavorato con Squarzina, Gassmann, Modugno, Chiari, Pupi Avati, Jannuzzo, Panelli, Dapporto, Calindri, Villaggio e chi più ne ha più ne metta, eccola impegnata in questa stagione nella riedizione della commedia con cui esordì nel 1986 al fianco di Johnny Dorelli e Gloria Guida. Inevitabilmente, mettendo al centro della storia due parlamentari immaginati dall’autore, il testo è stato sempre ripreso e attualizzato negli anni, mantenendo la sua forma originaria. In conferenza stampa, lo scorso settembre, il cast aveva precisato come fosse stato necessario cambiare in corsa alcune battute, avendo pensato lo spettacolo ancora col governo giallo-verde caduto la scorsa estate. In Italia, del resto, nella politica c’è sempre troppa fragilità per mettere in scena una commedia per due stagioni consecutive pensando allo stesso governo.
Possiamo parlare di un vero e proprio cult ormai del teatro italiano.
La commedia è di per sè un titolo conosciuto da trent’anni. Luigi Russo l’ha resa più vicina alla situazione sociale di oggi, ma l’impostazione della regia mantiene sempre la firma di Pietro Garinei. Sono cambiati gli attori nelle varie edizioni, e ovviamente ciascuno mette la sua impronta dando un sapore diverso alla storia; per me invece è la prima volta che interpreto lo stesso ruolo a dieci anni di distanza. Mi diverte moltissimo, questo testo è una vera garanzia di risate.

La storia tocca sentimenti, segreti e menzogne, e non a caso si è scelto l’ambiente della politica per questa commedia piena di equivoci che si svelano alla fine.
Questa commedia è la classica farsa: io interpreto la moglie di un onorevole in un rapporto che appare stanco sotto ogni punto di vista. L’onorevole, che sembra ormai non avere più alcun desiderio al contrario della moglie, ha un appuntamento di lavoro: lei lo accompagna. In realtà non ha alcun impegno parlamentare: sta combinando, proprio nello stesso hotel in cui si trova con la moglie, un incontro con una ragazza, interpretata da Paola Barale. L’onorevole chiede al suo segretario, (Gianluca Ramazzotti, ndr), di prenotare una stanza per il pomeriggio, quando la moglie dovrebbe andare a teatro. Lei però non va a teatro in quanto si sente corteggiata dal segretario, che per coprire il politico ha creato questo gioco di seduzione nei confronti della signora. Tutto si svolge tra la stanza 459 e la 460. Lì si creano situazioni divertenti di paradosso, con porte che si aprono e sbattono. E’ la classica commedia elegante piena di humor, si ride dall’inizio alla fine. Nessuno combina niente per la verità, succedono un sacco di cose: camerieri che entrano senza sapere più quanti caffè portare in una stanza o nell’altra, una senatrice che si intromette, il marito (Antonio Catania) inconsapevole della situazione. Siamo in undici sul palcoscenico, e c’è davvero tanto da ridere.
Si ride molto di situazioni che non sarebbero divertenti se non fossero portate su un palcoscenico sotto la chiave della commedia: corna, tradimenti, persino la politica stessa, difficilmente così entusiasmante. Cosa può fare il teatro ora per aiutare ad affrontare questa difficile situazione che stiamo vivendo?
In una parola sola: esistere. Se il teatro esistesse ci potrebbe aiutare. Noi italiani in questo momento stiamo affrontando la situazione alla grande, con enorme coraggio come non avrei mai nemmeno sospettato. Il teatro in questo momento aiuterebbe a distrarre la mente da altri pensieri per ascoltare parole alte, belle, e anche divertenti. Un testo può essere diretto da più registi e fa trovare ogni volta una chiave diversa, facendo sottolineare differenti situazioni e vivere altre vite. Tutti dovrebbero fare teatro nella vita per lasciarsi andare e vivere meglio: estraniarsi dalla propria realtà e vivere altre vite fa comprendere meglio la propria. Il teatro fa bene, è una forma di psicoterapia che aiuta.
Il momento storico ci sta facendo comprendere quanto sia importante vivere i rapporti umani concretamente e non solo con i social. Lei che rapporto ha con il web?
Mia nipote Domitilla mi ha fatto entrare nel mondo dei social: non sono ancora bravissima, ma ci sono. Amo guardare sempre avanti, quindi mi fanno compagnia, ma non in maniera ossessiva, per carità! Mi piace mantenere le amicizie che ho, e col lavoro che faccio posso dire di girare l’Italia e incontrare in ogni piazza amici con cui ogni volta non sembra sia passato tanto tempo. E’ assolutamente importante vivere i rapporti umani di persona. Se non ci fosse il teatro io morirei, non di coronavirus ma dell’assenza del teatro. Ne ho bisogno, è la mia vita, ho sempre fatto questo. Anche in questo momento non ho paura della malattia, perchè sono battagliera e coraggiosa di carattere: penso che starei male solo all’idea che possa non esistere più il teatro. E’ quello che mi aiuta a nascondere tutti i possibili turbamenti dell’anima.
La chiusura dei teatri all’inizio di questa situazione, quando ancora non se ne era avvertita tutta la gravità, aveva lasciato un pò sbigottiti.
Hanno iniziato tutti a parlare dei negozi, delle profumerie. Nessuno all’inizio parlava dei teatri se non vagamente, perchè non ci hanno mai dato molta importanza. Credo che questo dipenda anche dal fatto che la nostra categoria non è mai stata molto solidale: ognuno ha sempre pensato troppo individualmente. Bisogna invece costruire le cose insieme, vediamo anche in questa occasione come l’unità sia sempre indispensabile. Invece purtroppo a volte gli attori non vengono tutelati e non si difendono, accettando qualunque ruolo.
E’ più vero come sosteneva Aristotele che siamo animali sociali che trovano la felicità attraverso l’unità o piuttosto come affermava Nietszche che stare insieme agli altri produca invidia e ci porti a vivere pensando alla vita degli altri?
Questa particolare situazione ci ha fatto pensare che a volte abbiamo bisogno di stare anche da soli. Credo sia accaduto tutto anche per una ribellione della natura che non ne può più. Io sono molto religiosa e prego molto anche in questo periodo: bisogna prendersi una pausa, dedicarsi del tempo e non fare sempre corse inutilmente affannate. La pausa ci fa bene proprio per stare meglio poi con gli altri. Mi trovo più con Aristotele, anche se certamente vivere della vita altrui è assolutamente deprecabile: dobbiamo vivere la nostra vita, volerci bene con un sano egoismo. Quando si è felici e appagati con se stessi, si è più buoni con gli altri, perché non si hanno tormenti che ci impediscono di ascoltare. Troppo spesso invece si sentono dare consigli e si nota poca gente ascoltare.
Quale può essere il modo per passare questo periodo di quarantena dando dei messaggi positivi per la propria vita?
Suggerirei di scrivere. In questo periodo non riesco a leggere perché vorrei avere più certezze: non sapere quando si rientrerà, cosa stia accadendo mi rende inquieta e quindi ho la testa distratta. So aspettare, ma mi mette disagio vivere nell’incertezza: non sapere è la cosa peggiore, quindi non riesco a fare qualcosa che renda passiva. La scrittura invece, come la recitazione, è un modo per creare e mettere qualcosa di se stessi. Paolo Panelli andava in tournée con martelli e chiodi, perché si rilassava creando cose artistiche bellissime con il legno: io non so fare creazioni manuali ma mi piace molto scrivere. Mi rilassa molto e mi sta prendendo fare questa cosa.
Alle 18 va sul balcone a cantare?
Canto sempre e mi commuovo con l’inno d’Italia. E’ bellissimo. Piango proprio.
Massimiliano Beneggi