Se c’è una cosa che non si potrà mai copiare, ma a cui potere solo guardare come modello unico e inimitabile, è la magia poetica e sognante tipica solo di certe canzoni anni ’70, che sono poi quelle intramontabili e peculiari italiane, ascoltate anche dai più giovani. Una delle voci più romantiche, delicate, melodiche e amate, di quelle nate artisticamente proprio in quegli anni, è quella di Sandro Giacobbe. Che sta per tornare sulla scena con un brano dedicato a Genova, e scritto con il suo amico Don Backy.
Autore e interprete di brani che a distanza di quasi 50 anni rimangono capisaldi della nostra canzone, Giacobbe si fece notare al grande pubblico al Festivalbar 1974 con Signora mia, e l’anno dopo con Il giardino proibito spopolando anche in Spagna. Terzo a Sanremo nel 1976 con Gli occhi di tua madre, inanellò una serie di successi con Il mio cielo la mia anima, Sarà la nostalgia, Portami a ballare, Primavera, Come va. La sua ultima partecipazione al Festival al momento è quella del 1990 con Io vorrei che, come raccontò in un’intervista a Melelli e Rondolini (Il Festival degli italiani, Arcana editore, 2016) fu in qualche modo musa ispiratrice della forse fin troppo simile Gli amori, che Toto Cutugno aveva inizialmente pensato nella melodia cantata poi di fatto solo da Ray Charles per farne una versione che somigliava davvero tanto al brano cofirmato con Giacobbe in quella stessa edizione.
Nessuno meglio di lui quindi, socio fondatore della Nazionale Italiana Cantanti di cui è nel consiglio direttivo dopo essere stato per 20 anni calciatore e per 18 allenatore, può raccontarci il senso della musica in momenti difficili per il Paese, come quello che stiamo vivendo ora, facendo una breve analisi sulla musica di oggi e sull’ultimo Festival di Sanremo. Per questo abbiamo voluto fortemente intervistarlo, parlando anche dei suoi ultimi progetti che lo hanno visto particolarmente vicino alle tragedie che hanno colpito il capoluogo ligure e la sua regione. Due anni fa, infatti, scrisse la dolcissima ballata Solo un bacio con cui, ci racconta, avrebbe voluto partecipare a Sanremo per sensibilizzare l’opinione pubblica su una disgrazia che non deve essere dimenticata.
Sandro, è notizia di ieri la caduta di un ponte in Toscana, a meno di due anni dalla tragedia di Genova. Perché non impariamo mai abbastanza a evitare gli errori già commessi?
Quando succedono le disgrazie nascono tanti bei propositi: tutti vanno sul posto, controllano…Poi finito il momento drammatico, la situazione si appiana e si ritorna a vivere la quotidianità dimenticandoci delle belle parole. E’ la triste realtà che si ripete ogni volta.
Pensi che ci sia il rischio accada anche con questa situazione del virus, con cui stiamo aprendo gli occhi su quello che davvero conta nella vita?
Questa è una calamità diversa e particolare che nessuno tra i viventi può ricordare nella storia, perché per ritrovare una cosa del genere bisogna tornare indietro di 200, 300 anni…si risale ai tempi della peste. Bisognerà quindi capire quali saranno le effettive conseguenze che ci lasceranno questi mesi e di quali dimensioni saranno. Questa volta dovremo per forza cambiare un po’ di cose e tornare indietro: con quello che abbiamo fatto nella distruzione di foreste, cambiando l’habitat naturale di certi animali, ci siamo allontanati dalla civiltà, portandoci dietro batteri che creano inevitabilmente qualche danno. Come in questo caso: se è vera la teoria dei pipistrelli, dovremo riflettere e cambiare atteggiamento di fronte a questo fatto certificato.
Tante volte, nei drammi, la musica può aiutare. Lo dimostra il progetto di Solo un bacio: raccontaci come nasce la canzone e a che punto è la raccolta fondi.
La canzone è nata subito dopo la tragedia del Ponte Morandi, il 14 agosto 2018. Il 24 agosto facemmo una partita di calcio a Chiavari e pensammo subito ai bambini di quelle cinque famiglie in cui era mancato il capofamiglia. Nella tragedia tremenda, se le attività in qualche modo con tanto impegno avrebbero potuto piano piano ripartire, la cosa più inaccettabile era il fatto che quei bambini non avrebbero mai più rivisto il papà. Giocammo allora altre partite, e solo nel 2018 riuscimmo a raccogliere circa 16 mila euro da dividere tra queste famiglie. Nel 2019, ad agosto, ho fatto un concerto a Santa Margherita, dove a fine anno abbiamo fatto un’altra serata legata a un ballo in maschera, e anche con queste situazioni abbiamo raccolto qualcosa. Adesso in banca ci sono circa 10-11 mila euro. Purtroppo è arrivato questo virus, che ha rallentato tutto: stiamo aspettando che finisca l’emergenza Covid per sbloccare anche questi soldi. In totale, nei due anni, abbiamo raccolto circa 26 mila euro: sono soddisfatto di questa cosa e di essere riusciti a fare qualcosa per aiutare queste famiglie. Ovviamente i proventi dalla canzone saranno pochissimi perché andare sui social a scaricare il brano legalmente è una cosa che ormai fanno in pochissimi purtroppo. Però la cosa importante è che se ne sia parlato tanto: tenere sempre una finestra aperta sulle cose che succedono è fondamentale perché si aiuta a non farle dimenticare. In questo caso ci consente di mantenere una certa amicizia anche con i familiari coinvolti nella tragedia, che ho conosciuto quasi tutti: a parte la famiglia napoletana e un’altra di Trento, le altre tre le ho conosciute tutte. Mi hanno dimostrato con mille parole che per loro è stato importantissimo sentire la nostra vicinanza, si sono sentiti aiutati.
In questo specifico momento che stiamo vivendo la musica è stata sempre al centro nella sua capacità di tenere unite le persone: dirette social, canti sui balconi… In che modo la musica può aiutare, e quando invece può essere fuori contesto?
Io credo che la musica comunque aiuti sempre, non è mai fuori contesto. La nostra vita ha una colonna sonora da sempre: quando si ricorda un momento del passato, lo si lega a una canzone di quel momento. Nel bene o nel male, perché naturalmente ci sono anche ricordi brutti a volte. Io sono d’accordo quindi che si possa fare rumore attraverso canzoni, strombazzate dai poggioli: servono a farci sentire vicini l’uno con l’altro. Nel mio piccolo io ogni sabato sera faccio una diretta di un’ora e un quarto su Facebook, e si collegano anche dalla Spagna, dal Sudamerica. E’ un rapporto bellissimo che si crea con queste persone. Ho fatto un messaggio per gli amici spagnoli a cui sono molto legato: la Spagna è la mia seconda casa e loro mi hanno sempre regalato tanto affetto. Ora stanno vivendo una piena tragedia, più di noi che lentamente ne stiamo un po’ uscendo. Tanti artisti si sono prodigati durante la settimana con dirette da casa loro: è un modo come un altro per farci capire che non siamo soli e che abbiamo comunque una realtà che ci aggrega e ci tiene uniti.
Proprio all’inizio di quest’anno gli italiani si erano riuniti più degli anni scorsi sotto il segno del Festival di Sanremo. Milioni di ascolti, tante critiche positive, ma poi dopo due mesi restano già poche canzoni trasmesse in radio. Perché?
Non bisogna confondere due cose: lo show e la gara. Lo show è andato alla grandissima perché Fiorello ha dato una grandissima mano: è stata una sorpresa, il vero mattatore del Festival che si è aggiunto alla simpatia di Amadeus che gli ha fatto da grandissima spalla. Avere riproposto poi ospiti come Albano, Ricchi e Poveri e altri artisti che cantavano i loro vecchi brani è stato un punto di forza dello show: anche nei miei concerti, la gente applaude e segue ma quando si fanno successi italiani degli anni ’60-70 vanno tutti fuori di testa perché sono melodie che cantano tutti.
La gara invece è stata una cosa deprimente: le canzoni nuove erano relegate all’una di notte. Non c’era una considerazione artistica di quello che dovrebbe essere il punto di partenza del Festival di Sanremo. Invece così lo hanno trasformato in un medley della canzone. Purtroppo col Festival di Sanremo sta succedendo quello che è accaduto anche con la Nazionale Cantanti.
Cioè?
Noi quando nascemmo come Nazionale Italiana Cantanti eravamo davvero la Nazionale Italiana Cantanti: col passare del tempo molti hanno lasciato anche per via dell’età, i cantanti nuovi avevano una vita artistica brevissima non avendo la fortuna che abbiamo avuto noi negli anni ’70 che rimaniamo importanti ancora oggi. Abbiamo così trasformato la Nazionale con l’ingresso anche di cinque, sei campioni dello sport, da Ronaldo a Schumacher, e altri personaggi anche del mondo giornalistico. Inevitabilmente si è spostato l’obiettivo. Nel Festival di Sanremo sta succedendo la stessa cosa: fai lo show con ospiti, guarda caso cantanti degli anni ’70, ma le canzoni nuove non emergono, dopo un po’ di tempo forse ne senti quattro ancora.
C’erano state delle polemiche che ti avevano riguardato con Morandi e Baglioni che ti avevano bocciato a Sanremo. Pensi che sia meglio quando la direzione artistica è affidata a un cantante, che può mettere la musica davvero al centro, o così si creano più conflitti di interesse e difficoltà nei rapporti tra colleghi?
Quello che in tanti non sanno è che il direttore artistico non decide le canzoni in gara. La sua è una carica nominale. C’è dietro un’organizzazione che decide e sa già quali artisti portare. Non a caso nei due anni della direzione di Baglioni si è sollevato un caso su Salzano, perché moltissimi cantanti (persino Claudio che era in tournèe) erano della sua scuderia. Se una grande casa discografica multinazionale vuole mettere tre artisti ben definiti, il direttore artistico non può dire niente: sono loro a comandare il mercato. Come fai a dirgli di no? Ci sono tante spinte anche politiche su alcuni artisti. Quindi alla fine se i posti disponibili sono venti, il direttore artistico forse ha un paio di nomi al massimo su cui può decidere. Ha invece un potere decisionale sugli ospiti, sull’organizzazione della gara. Io l’anno scorso, quando avevo capito che non avrei potuto andare in gara con Solo un bacio, avevo chiesto di potere fare un’ospitata di tre minuti per cantare il brano e parlare del ponte Morandi, ma non si poté fare perché la direzione artistica aveva già contattato Luca e Paolo che avevano fatto un video con una canzone su Genova insieme a una ventina di artisti. Promisero di portarli tutti a Sanremo. Naturalmente tra Giacobbe che cantava da solo e Luca e Paolo con altri venti artisti, venivano scelti loro. L’adesione poi naturalmente scemò, perché se tutti gli ospiti del Festival avevano venti minuti a disposizione, un grande artista non andava certo a Sanremo per cantare due secondi con Luca e Paolo. Quindi saltò la cosa, ma ormai a quel punto era già scemata anche la mia possibilità di portare il brano a Sanremo.
Con Morandi e Baglioni però i rapporti ora sono appianati…
Sì, assolutamente. Siamo sempre amici. Uno si rivolge alle persone che sono di riferimento, ma non cambia nulla. Con Morandi c’è un’antica amicizia, con Claudio ci siamo sentiti anche recentemente a Natale: è un po’ come quando un giocatore litiga col suo allenatore che non lo fa giocare, per cui all’inizio ci sono le parole, l’incazzatura ma poi finisce lì e tutto torna come prima.
Perché non ti vediamo più molto in tv, nonostante la tua musica sia sempre così tanto amata e sia la colonna sonora di moltissimi italiani?
La musica italiana discograficamente è morta da un pezzo. Oggi ci sono i cosiddetti talent e la tv gira intorno a loro. Maria De Filippi fa lavorare i suoi artisti che sono sotto contratto, ma al di là di quelli diventa difficile per tutti. Se escludiamo Fogli, che è stato ripescato per la reunion dei Pooh, c’è un’infinità di artisti italiani che non hanno più visibilità nelle televisioni e nelle manifestazioni. Anche perché le manifestazioni non esistono più: una volta c’erano Disco per l’estate, Festivalbar, Mostra della musica leggera a Venezia… Se non eri a Sanremo, potevi lanciare la canzone in altre manifestazioni che ti davano comunque una visibilità. Oggi nemmeno Sanremo ti garantisce di rimanere in classifica. Io sono un indipendente da molti anni ormai: devo fare un po’ tutto da solo con la mia etichetta.
Però continui a produrre l’amata musica melodica. Settimana prossima uscirà Genova…
E’ un brano che raccoglie il mio grande amore per questa città. La canzone nasce da un’idea di Don Backy, che un giorno mi mandò queste parole, dicendo: “Tu sei di Genova, solo tu puoi cantarla”. Me l’ha fatta sentire, mancava il ritornello, durava un minuto e quaranta. Io l’ho finita e lui è contento di come è venuta. Sarà una delle canzoni che canteremo tutti insieme quando ci sarà l’apertura del ponte. Non vediamo l’ora si possa fare una grande festa.
Massimiliano Beneggi