Il 21 aprile è morto il grande drammaturgo Antonio Tarantino, la cui opera più celebre fu il controverso Stabat Mater del 1994. Protagonista di quell’intenso monologo era una delle più straordinarie attrici italiane. Autoironica, ovvero intelligente, coraggiosa, al punto da mettere a nudo la sua vita, divenuta qualche anno fa anche un film (Tutte le storie di Piera) con la regia di Peter Marcias, Piera Degli Esposti rappresenta un orgoglio per lo spettacolo italiano, che con protagonisti come lei si fa arte pura e preziosa.

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Recentemente apprezzata tra i protagonisti anche di Dantedì, l’appuntamento di Rai Tre con la grande letteratura, Piera non si è mai nascosta nel raccontare se stessa, nel suo rapporto tormentato con l’amore, con la madre, e con la vita, non sempre generosa. Ma costantemente amata. Non lo fa nemmeno in questa intervista che ci ha concesso con estrema disponibilità, poche settimane dopo la fine delle riprese di Anima bella con la regia di Dario Albertini, e di Corro da te, il nuovo film di Riccardo Milani che vedrà tra i protagonisti anche Pierfrancesco Favino. Piera Degli Esposti, così, ci porta nel suo mondo fatto di emozioni, temperamento e schietto amore per la verità, commentando il futuro del teatro dopo questo difficile periodo legato all’emergenza Covid e ricordando l’amico Tarantino.

PIERA DEGLI ESPOSTI - foto 1 ufficiale per catalogo 31°TFF

Piera, qualche giorno fa ci ha lasciati Antonio Tarantino, autore di un celebre Stabat Mater che ti vide protagonista. Cosa ricordi in particolare di lui?

Tarantino fu un grande scrittore a cui sono molto legata. Nelle sue parole c’era la musica e questo traspariva anche in quello straordinario monologo. Per essere quello scrittore che fu lui ci vuole una profonda genuinità: Tarantino era genuino e sensibile come un bambino. Ricordo che una volta lasciò la finestra del balcone aperta per tutta la notte, prendendo freddo lui stesso solo per lasciare che il gatto potesse entrare e uscire quando credeva. Sono piccoli gesti che solo una persona così vera e spontanea esprimere.

Con Stabat Mater si affrontava, tra dramma e ironia, il tema della prostituzione nel dolore di una madre che fa un bilancio della sua vita mentre suo figlio è accusato di terrorismo. Portare in scena quella Madonna dei bassifondi fu decisamente coraggioso vent’anni fa: non mancarono le critiche…

Quel testo purtroppo, essendo molto violento e per certi versi anche abbastanza spinto, fu addirittura bloccato: a Genova, dopo la prima messa in scena, ci fu impedito di continuare. Io però credevo fortemente nella forza di Stabat Mater, che mi dava l’occasione di dare un’importante prova di me sul palcoscenico. Nonostante il parere avverso di tanti teatri, quindi, continuai con quello spettacolo: non ho mai pensato di difendermi come qualcuno avrebbe voluto facessi. Non dovevo difendermi da nulla: se credo in una cosa la faccio, tutta la mia vita è sempre stata su questa direzione. Difendo sempre solo la verità. Tarantino è stato un colpo fortissimo per i benpensanti e i borghesi, ma raccontava la verità, talvolta anche scomoda. Quella Maria rappresentava una realtà esistente intorno a noi benché potesse dare fastidio. Purtroppo, nonostante Tarantino fosse appoggiato da uno dei più grandi critici come Franco Quadri, non si poteva però impedire al pubblico di reagire così.

Il mese scorso ti abbiamo vista su Raitre in una interpretazione del V canto dell’inferno: una delle rare possibilità di cultura in televisione, che sta ottenendo oltre 130 mila visualizzazioni anche su Facebook. Si può vivere una passione tale da annullare se stessi, fino a morire per amore come Paolo e Francesca?

L’emozionalità sincera può consentire tutto. Mi viene in mente Tino Schirinzi che, malato, si suicidò gettandosi da un ponte seguito dalla moglie (Daisy Lumini, ndr) la quale buttò giù con lui pur non essendo malata: chiaramente un atto d’amore molto forte. Tengo molto a quel minuto e mezzo di Dante: ho sempre lavorato per l’emozione e per la commozione e questo consenso per un canto pur breve mi riempie di gioia. Credo che il mio modo di recitare un po’ dolente e familiare vada vicino all’autore, che a volte invece viene tenuto un po’ più lontano dall’interpretazione. Volevo esprimere l’emozionalità della coppia di questo canto, ed evidentemente è scaturita.

Presto ti sentiremo anche in un’altra lettura tratta da Marianna Ucrìa: interpreti sempre ruoli che restituiscono una grande dignità e determinazione alla figura femminile.

L’attore ha molte possibilità di diventare la parte femminile nell’uomo e la parte maschile nella donna. Io ho sempre amato interpretare la struttura della donna sentendone vivamente la forza, la parte maschile. Questo mi ha permesso di conservare costantemente la tenacia e di credere in me anche quando ciò che mi circondava sembrava negare questo mio talento. Sono convinta della capacità della donna di scrivere per il teatro e di potere esprimere la forza nella fisionomia. Questo temperamento da cui sono sempre partita, e che si rivela, non ha nulla a che fare con il femminismo: credo sia qualcosa che viene da più lontano. Vivendo in un clima di principesse e regine sono stata sempre abbastanza vicina a una visione di donna come dea: tornare a essere una dea era una mia speranza.

Il teatro, che da tanti anni in Italia fa più fatica a esprimersi sui media, sta vivendo una grave crisi in questo momento, che costringerà anche qualche struttura a chiudere. Nell’epoca in cui tanti lavori si stanno digitalizzando, quale sarà il futuro del teatro dopo l’emergenza Covid?

In questa pagina di storia che stiamo vivendo mi sembra che attraversiamo una punizione. Come sempre di fronte a una punizione bisogna quindi domandarsi cosa si sia fatto per causarla: probabilmente abbiamo fatto troppo male al nostro pianeta. Non so quale sia il motivo, ma di sicuro è una punizione diretta all’essere umano, che non a caso è proprio il portatore di questo virus. E’ impossibile capire quanto sarà lunga ancora l’attesa ma sicuramente questo periodo difficile verrà superato, perché c’è sempre una via d’uscita. Quando finirà tutto, però, sarà importante tornare a teatro. Dobbiamo riscoprirlo. Molti attori sono ora senza lavoro: il teatro da casa non si può fare perché è una cerimonia, quasi un rito. Lo stare da soli, sempre più in aumento, è la negazione del teatro, che ha la sua essenza nel vedere le persone insieme, le emozioni vissute dalla collettività. E’ a teatro che l’essere umano trova da sempre la sua emozione, la sua commozione, persino la pietà, con passione e pazienza: bisogna quindi tornare a fare sentire queste caratteristiche a ciascuno. Vediamo se la punizione è servita per tornare a vivere con quelle qualità che si sono un po’ perse.

Kierkegaard sosteneva che l’ironia fosse l’occhio sicuro che sa raccogliere l’assurdo. Tu hai conquistato il pubblico di Tutti pazzi per amore con quel personaggio di Clelia che ha avuto un successo travolgente anche su internet grazie al video in cui balli Single ladies di Beyoncè. Qual è la cosa più assurda che ti ha consentito di vedere di te quel personaggio così carico di ironia?

Clelia era un personaggio assurdo nel suo essere estrema in tutto quello che faceva e diceva alle figlie, insultandole e denigrando ogni sentimento: al nipotino che si era innamorato di lei ne diceva di tutti i colori. Il massimo che si sarebbe potuto fare, quindi, per descrivere la sua continua scontentezza e altissima ironia portate all’estremo, era fare diventare la parola ballata. Era stata un’idea straordinaria del regista Riccardo Milani: mi fece vedere il video di Beyoncè, dicendomi che avrei dovuto rifarlo io. Lo guardai stralunata ma sempre con il coraggio di andare verso un’impresa. E’ stata una bellissima esperienza e sono stata felicissima di avere cantato e ballato quel brano, nonostante io non sia della generazione di Beyoncè e non conosca così bene l’inglese da poterlo cantare. Milani ebbe una grande intuizione: credo fosse il giusto apice a cui si dovesse arrivare. E infatti è una delle cose che è rimasta più simboliche di Tutti pazzi per amore.

Poco dopo il successo arrivò anche nei panni di Serafina in Una grande famiglia. Una donna più compassata, misteriosa e al tempo stesso più strategica. Tra Serafina e Clelia chi ti assomiglia di più?

Certamente Clelia. Mi sento vicina, pur moderatamente, alle ossessioni e alla follia. più vicina alla follia, pur sempre moderatamente. E’ però curioso e credo molto positivo che Serafina, pur rivelandosi mentitrice e non sempre positiva, come Clelia abbia destato un interesse presso le persone trasmettendo un’energia vitale. E’ proprio quello che volevo: penso di riuscire a coinvolgere ed entrare nei segreti delle persone, perchè non lascio mai a casa me stessa. A parte in questo periodo ovviamente, in cui devo rimanere a casa in tutto per tutto…

Contemplando le passioni altrui blocchiamo le nostre rendendole più misurate e purificate. Questa è una frase con cui Aristotele descriveva il teatro con cui vorrei chiudere questa bella intervista. Quali sono le passioni che ama contemplare una grande attrice come lei al punto da potere misurare e purificare le sue?

Mi piace ogni cosa che parli d’amore. Anche se sono racconti di amici: è divertente e affascinante sentirlo raccontare. L’amore, tormentato e felice, è sempre stato importantissimo e molto padrone nella mia vita. Una ragazza che come me ha cominciato così presto ad avere una madre, pur amata, ma che si comportava anzitutto come amica, trova difficoltà a non avere più questo padrone così come era. Ma una creatura alleata all’amore, difficilmente può vivere senza una fantasia amorosa anche propria: insomma si può anche invecchiare, ma ciascuno se ne andrà via con la propria struttura, e la mia è quella dell’amore.

Massimiliano Beneggi