Jovanotti, ecco come il rapper diventa un divulgatore culturale.

Le sue storie su Instagram sono ogni giorno un piccolo documentario, un viaggio alla scoperta di altre culture. Esattamente come il suo progetto musicale, che dura ormai da oltre 30 anni, tra letteratura, video e canzoni.

E pensare che quando cominciò nel 1987 con Walking tutto ci sembrava fuorché qualcosa di musicale. Quel rap a cui non eravamo abituati in Italia sapeva convincere solo chi riusciva a vedervi un potenziale enorme, ma ci volle comunque qualche anno prima che ciò si potesse concretizzare. Prima che il successo portasse anche all’imitazione del suo prodotto da parte dei colleghi. Perché in effetti Jovanotti ha fatto scuola, cantando un rap scanzonato, con suoni onomatopeici e rime non necessariamente di protesta contro tutto e tutti ad ogni costo, come sarebbe capitato di sentire successivamente con altri cantanti, che hanno comunque sempre richiamato la sua musica, inesistente fino a prima in Italia. Jovanotti, come Modugno nel 1958, ha cambiato il modo di interpretare le sette note, sdoganando un genere che J-Ax e compagnia cantante (sarà concessa la pessima ma inevitabile battuta) avrebbero legittimato esattamente come gli urlatori degli anni ’60 poterono fare dopo Volare. L’arte è lì, pronta per essere valorizzata, ma ci vuole sempre qualcuno che usi il coraggio di darle vita.

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Così Jovanotti, passo dopo passo, ha dato diverse significative svolte al suo modo di cantare, passando dai cult di Vasco e Una tribù che balla arrivando fino alla dolce poesia di Chiaro di luna e alla ritmica street di Oh vita. In mezzo tante sperimentazioni, che hanno visto il rap trasformarsi nell’arco di 30 anni, fino praticamente a diventare qualcosa di assolutamente diverso rispetto alla trap italiana di oggi. Roba con cui gli adolescenti di oggi pensano di sovvertire il panorama musicale, esattamente come faceva Jovanotti alla fine degli anni ’80. La storia ci dirà se dovremo ricrederci allo stesso modo o se Jova sia emerso per una personalità espressiva che sa regalare ad ogni brano cantato da lui. In effetti, senza autotunes né alcuna presunzione, ogni canzone che venga interpretata dall’artista toscano risulta avvolta di una magia ineguagliabile e inimmaginabile fino a 30 anni fa. Avete mai fatto caso che non c’è cover cantata da lui che non risulti pulita e azzeccata nonostante le note sembrino sempre buttate lì per divertissment?

Nell’ultimo anno Jovanotti ha lanciato la cover di Luna di Gianni Togni e quella di Montagne verdi di Marcella Bella. Due brani intramontabili che appartengono al patrimonio musicale italiano, e che proprio per questo sembravano intoccabili. Perché, ragionevolmente, certi pezzi non sono nemmeno immaginabili con voci diverse da quelle originali. A meno che non lo si faccia con una certa cura, una delicatezza e un rispetto che non toglie niente alla storia delle canzoni, e nemmeno renda stucchevole la nuova versione. Proprio come ha saputo fare Jovanotti. Con raffinata attenzione a non alterare le note dei brani, ha restituito l’ascolto di due evergreen che non hanno più il maestoso arrangiamento dell’epoca ma godono di un suono e un ritmo moderni senza grandi orpelli. In particolare Montagne verdi, che Jovanotti ha voluto come colonna sonora del suo ultimo riuscitissimo progetto del documetario di Rai Play Non voglio cambiare pianeta, è interpretata voce e chitarra proprio come può fare uno che ami cantare e condividere la musica che vuole riproporre agli amici. Come fa Jovanotti. Senza pretese, senza confronti. I suoi sono omaggi. Come quando, da giovanissimo, citava La festa di Celentano e il suo celebre “Dai attacca il giradischi”. Quello che una volta era ritenuto troppo straniante rispetto al concetto di musica in Italia, oggi dimostra di essere uno dei maggiori cultori e fautori. Come cambiano le impressioni, se solo si entra in empatia con la personalità e il coraggio di chi le pennella. Con sincero entusiasmo, passione e rispetto, Jova si fa così profeta della nostra storia musicale e culturale. Facendoci conoscere, in oltre 30 anni di carriera, il mondo e le sue trasformazioni antropologiche. Ecco perché Non voglio cambiare pianeta è qualcosa di più di un semplice programma, e va piuttosto a inserirsi in un contesto di divulgazione culturale che supera ogni tentativo fatto da altri. Semplice: nessun altro, prima di Jovanotti, lo aveva tentato. E ora ci viene voglia di scoprire il Sud America, di pedalare, di cantare a squarciagola mentre osserviamo la natura. Jovanotti ci fa scoprire quello che amiamo, ma non conosciamo, del mondo, di noi, dell’anima. Questo fa del futuro co-conduttore (?) di Sanremo 2021 uno dei pochissimi artisti a 360 gradi da tenere sotto chiave in Italia.

Massimiliano Beneggi

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