Da qualche giorno è uscito Uno, il nuovo album di Nicoletta Filella. La pianista, formatasi tra la metropoli milanese, la campagna tortonese, la cultura padovana e l’arte parigina, ha pubblicato il suo terzo lavoro che la mette alla prova questa volta con una musica barocca senza rinunciare all’amato swing. A differenza di Ingredienti giusti, però, in cui il jazz si univa a un canto accattivante e ballabile, Uno si presenta come un delicatissimo prodotto solo strumentale. Accompagnamento da pianobar, ma altresì un autentico trasporto per l’ascoltatore verso immagini disegnate con gli ottantotto tasti da Nicoletta.

Foto di Dorothy Bhawl

Tanti brani dal tocco leggero e dal ritmo coinvolgente, fino ad arrivare a una magistrale interpretazione con l’orchestra che esalta la straordinaria capacità compositiva dell’artista psicoterapeuta di Milano. Chi meglio di lei avrebbe potuto proporre un lavoro così intimistico, in grado di raccontare passato e presente come un percorso personale tradotto in musica? Chi meglio di lei sa quanto faccia bene all’anima e alla mente lasciarsi spingere dall’immaginazione delle sette note? Nella copertina di Giuseppe Veneziano è dipinta come un angelo in mezzo a quattro diavoletti colorati: in un’epoca in cui la musica fatica a capire quale sarà il suo futuro, Uno sembra davvero rappresentare una salvezza dell’anima rispetto alle tentazioni di produzioni sempre più commerciali e lontane dalla positività della cultura melodica. Che, invece, per fortuna esiste ancora. Forte dell’uscita del singolo Prelude, ecco allora Nicoletta Filella, nostra ospite della settimana.

Foto di Dorothy Bhawl

Pubblicare un album solo strumentale in estate è una scelta decisamente singolare e coraggiosa. Come mai?

E’ un ritorno alle origini. Non potrei rinunciare al pianoforte, che non ho mai abbandonato. Nasco come musicista classica. Dopo tanti anni al Conservatorio ho sentito il bisogno di nuove contaminazioni, quindi mi sono trasferita a Padova per gli studi e lì mi sono avvicinata al mondo del jazz e del canto. Nel 2012 ho iniziato a scrivere anche per orchestra. Insomma tanti modi diversi di leggere la musica, ma anche le mie composizioni più moderne sono state sempre influenzate dalla classica, che rappresenta il mio utero.

I brani hanno dei titoli che mi affascinano per la loro aderenza all’immagine che provoca la musica. Come nasce l’associazione di un titolo a una melodia che rimane senza testo?

Ogni brano di questo album ha richiesto un lungo lavoro: li ho sentiti come una necessità di farmi riconoscere dal pubblico nel mio rapporto simbiotico col pianoforte. Talvolta sono ispirata mentre sono al mare, oppure mentre gioco col cane o quando sono sul treno, altre volte stando pianoforte l’istinto mi suggerisce le prime cinque note: poi ci vogliono sempre mesi per completare il resto. Solo alla fine passo ad attribuire i titoli.

Il primo brano del disco, Danza interiore, mi sembra possa raccontare bene questa ispirazione personale tradotta in musica.

E’ così: parto sempre da una danza interiore, che poi subisce una contaminazione in base a ciò che vivo nei mesi in cui scrivo il brano. Dentro di me sento sempre una musica che ha bisogno di esprimere l’hic et nunc del momento.

Matrioska trovo sia estremamente coinvolgente: c’è anche una versione con orchestra.

Matrioska è uno dei miei brani preferiti, rappresenta la mia parte russa. La scuola russa mi ha sempre condizionato e influenzato tantissimo. La scrissi credo in due settimane. Il mio compagno ha conoscenze alla Royal College di Londra, dove l’Orchestra arrangiò i miei primi due dischi. Ho deciso quindi di dare ampio spazio all’orchestra mettendomi in secondo piano, e ne è uscito questo pezzo.

La psicologia eriksoniana punta sullo sviluppo emotivo di ciascuno grazie a una crisi positiva. Il lockdown è stato una bella occasione per tutti per rinnovarsi mettendo in discussione anche convinzioni sbagliate: c’è qualcosa che hai messo in crisi in questo periodo per ricominciare con Uno?

Io mi sento ancorata alla mia arte, che non riesco a vedere in modo diverso a prescindere da tutto. Grazie al fatto che esista la mia arte mi sento forte. Certo la mia è una ricerca continua con la musica: l’arte deve sempre essere un po’ rinnovata e infatti contestualmente diventa autobiografica. Però l’arte, per fortuna, rimane tale. Anche dopo il lockdown.

Nell’album ci sono tante dediche significative che sembrano recuperare nel passato tutti i ricordi e gli affetti che rimarranno nell’anima del presente e del futuro. A cominciare dai nonni…

Mio nonno, pittore e partigiano, mi ha aiutato moltissimo anche nei dischi precedenti. Nel mio studio di composizione di Tortona ci sono tanti suoi quadri che mi ispirano. Così come mi ispira l’arte contadina dei miei nonni materni. Mia madre, pianista, mi ha instradato in questo mondo, facendomi amare questo strumento divenuto passione. Il mio compagno è stato arrangiatore nei primi due dischi, e in questo mi ha dato un fondamentale supporto psicologico. Riccardo Dorothy Bhawl Tonoletti ha saputo interpretare la mia musica con le foto dell’album. Giuseppe Veneziano infine, è un grande amico oltre che straordinario pittore: è stato uno dei primi ad ascoltare il disco: per questo gliel’ho dedicato.

Massimiliano Beneggi