Fino al 28 novembre, al Teatro Manzoni di Milano, è in scena Vittorio Sgarbi con lo spettacolo Dante e Giotto. Una lezione di arte e letteratura che non rinuncia alla consueta ironia del critico culturale più autorevole d’Italia, che riempie la sala alla sua prima. Ecco la nostra recensione.

IL CAST
Vittorio Sgarbi. Musiche composte ed eseguite dal vivo da Valentino Corvino.
LA TRAMA
Dante Alighieri e Giotto. Due contemporanei del 1300 che si stimavano, al punto che persino nella Divina Commedia viene elogiato il pittore per avere superato in bravura il suo stesso maestro Cimabue. Ma non è solo l’amicizia a legarli. Dante e Giotto raccontano la vita, la cristianità, l’occidentalismo. Insomma, sono contemporanei anche a noi stessi. Ancor più di Picasso, racconta Sgarbi, interrogandosi sul concetto di modernità. Nessuno quanto Dante e Giotto seppe essere poeta e pittore nello stesso momento. Dante, nelle sue descrizioni della Divina Commedia, di fatto dipinge scene e personaggi che ci appaiono come reali. Dovremo, fa notare Sgarbi, aspettare Manzoni prima di ritrovare una letteratura capace di costruire icone ancor prima di qualunque rappresentazione fisica. Giotto, identicamente, nelle sue opere non si serve solo di colori vivaci capaci di andare oltre la tradizione bizantina (“Una rottura di palle incredibile fino a quel momento”, scherza Sgarbi). Il pittore infatti inseriva ogni dettaglio utile alla comprensione di un’intera storia. I suoi dipinti sembrano parlare: sulla stessa scena ci si può soffermare per tantissimo tempo perché diversi personaggi creano un trasporto emotivo assolutamente poetico. Introvabile in qualunque altro artista. Con un dichiarato orgoglio di appartenere al Paese della cultura e della bellezza per eccellenza, Sgarbi guida il pubblico in un percorso che riesce a raccontare in modo inedito Giotto e Dante. Ossia due artisti italiani, importanti ai fini dell’unità nazionale, vissuti quando ancora l’Italia non era unita.
LA MORALE
L’arte più autentica regala immagini e poesia nello stesso tempo. E ci parla di noi e della nostra cultura: non è un caso se il più grande Poeta e il più autentico dei pittori ci narrano sempre anche della nostra cristianità.
IL COMMENTO
Chi altro, se non Vittorio Sgarbi, potrebbe inventarsi una presentazione di assoluta cultura, che sfiori persino Patty Pravo e Michele (“Se ci pensate in una canzone fu in grado di interpretare la sintesi di tutta la poetica di Petrarca: Dite a Laura che l’amo!”)? Ironico, sarcastico, pungente e come sempre disinteressato al politically correct che, in effetti, ha anche un po’ rotto le scatole. Sgarbi ironizza ma non insulta nessuno, anzi chi crede di entrare in sala e sentirsi dare della capra, si sentirà al contrario più colto uscendo dal teatro. Merito del critico, che raccoglie applausi da tutti. Anche quando, con impareggiabile simpatia e un sorriso di chi sa di averla detta divertente, ribadisce: “Oggi per andare alla Cappella degli Scrovegni bisogna entrare da dietro, si vede che ormai va di moda”. Mimico, interprete delle stesse scene dipinte da Giotto e Dante, Sgarbi intrattiene per un’ora e mezza di arte lasciando sempre accesa l’attenzione del pubblico.
LA SORPRESA
Valentino Corvino al violino con tre stacchi musicali, coadiuvato da uno schermo su cui vengono proiettate figure di un percorso infinito di colori, è la perla di uno spettacolo che ci avvicina al sublime e al divino. Pensavate fosse stato raccontato tutto di Giotto e, in particolare quest’anno, di Dante? Ecco, Vittorio Sgarbi vi stupirà. Parla di due poeti, ma il vero poeta contemporaneo è lui.
Massimiliano Beneggi