Il successo di “Un professore” e delle fiction: tanta umanità e zero Covid

Va in onda ogni giovedì, già da due settimane, la nuova fiction di Raiuno che vede protagonisti Alessandro Gassmann e Claudia Pandolfi (superlativi ed espressivi come pochissimi altri in circolazione, anche se lo sappiamo ma non fa mai male ripeterlo). La bellissima colonna sonora è di Francesco Gabbani.

Si intitola Un professore, con l’articolo indeterminativo che serve in questo caso a indicare l’unicità del personaggio in questione. Intitolarlo “Il professore” avrebbe potuto significare una determinazione caratteriale valida per tutta la categoria di insegnanti, invece Dante (IL protagonista) è diverso da tutti gli altri: è UN professore.

Tante storie, qualche mistero, nessun assassino da scoprire. Niente di più leggero e appassionante: quello che ci vuole oggi in tv.

Vicino ai problemi degli allievi, di cui è complice in realtà più come padre che come amico, il professore di questa fiction fatica sia come docente sia come genitore con suo figlio Simone, anche lui iscritto al liceo dove insegna Dante. Questo “Caro Maestro” 2.0 (per ragazzi più grandi rispetto a quelli a cui “insegnava” lo Stefano Giusti interpretato nel ‘96 da Columbro) è docente di filosofia. Seguendo la maieutica socratica, anche lui ama cercare un vero dialogo con gli studenti, parlando loro all’aperto. Dante trae le sue ispirazioni di insegnamento dalla vita quotidiana: gli basta un muro, un concorso di poesia, una discussione tra i ragazzi, per inventarsi una lezione. In effetti funziona: tutti gli studenti (tranne appunto il figlio) lo adorano e vedono in lui un mito. Si lasciano andare, perché hanno capito che Dante li vuole fare esprimere per quello che sono, senza freni. E fin qui sembrerebbe la storia di Don Bosco. In realtà il problema di Dante è che quei freni mancano anche a lui nella sua vita privata: non sono solo gli allievi a capirne il valore, ma anche le donne (praticamente tutte quelle che gli ruotano intorno). Dopo quattro episodi sono già due le donne cadute nella sua “trappola d’amore”; a queste si possono aggiungere le tante ex o presunte tali. Bravo a predicare, un po’ meno a razzolare, ma comunque adorabilmente irresistibile nella sua simpatia.

Certo, Gassmann potrebbe avere anche il peggiore dei caratteri che piacerebbe sempre. In ogni caso questo professore piace moltissimo anche al pubblico che lo ha premiato (solo il 2% in meno rispetto all’attesissimo Zelig, ma 200 mila spettatori in più). Qualcuno penserà, ingenerosamente, che quando andava a scuola non aveva un professore così affascinante e simpatico. Giova sempre ricordare che è un film. Fatto con un cast ricco (presenti anche Bianca Cavallin, Paolo Conticini, Giorgio Gobbi, Paolo Bessegato, Christiane Filangieri) e tanti nuovi attori straordinari che fanno ben sperare per il futuro, ma pur sempre un film. Ci vuole sempre un po’ di fantasia e, in questo caso più che mai, sembra richiesta dallo stesso format.

Per esempio, è dovere dello spettatore immaginare come sia possibile che in terza liceo il professore spieghi Platone e Socrate, alternandolo a Kant, Barthes e Giordano Bruno. Di questi citati solo i primi due vengono insegnati nel terzo anno di liceo. Esigenze di spettacolo però: ogni puntata ha infatti il titolo di un filosofo. È proprio il pensiero del saggio, ribadito dall’originale professore, a fornire le risposte sempre giuste per la vita. Ma soprattutto, come vuole la filosofia, a creare interrogativi che un senso alla quotidianità.

Le esigenze televisive non servono solo a sottolineare quanto sia bella e pratica la filosofia, al contrario di chi la crede noiosa e astratta. C’è anche un motivo sociale.

Un professore, come tutte le altre fiction in onda in questo periodo, è registrata nel 2021. Eppure il Covid non esiste, anzi. Baci, abbracci, tradimenti, lingue in bocca, mani che indagano nei corpi altrui, nessuna mascherina nei locali chiusi. C’è persino una improbabile festa in discoteca. Niente Covid. La fiction deve infondere ottimismo, serenità. Poco importa se, da casa, ci appare ormai strano vedere i protagonisti noncuranti delle distanze sociali: la fiction ha il ruolo preciso di farci vedere che la normalità non è quella che stiamo vivendo. La normalità è quella che quasi abbiamo dimenticato. Imma Tataranni è stata addirittura divisa in due parti per consentire (ufficialmente) una attualità sul racconto: ad aprile andranno le puntate ambientate in primavera. Eppure anche lì non si parla di Covid: attualità sì, ma non troppa. Persino in Vita di Carlo su Amazon Prime, dove invece in un dialogo si fa riferimento al lockdown del 2020, il sempre attento Verdone entra in farmacia continuamente senza che nessuno indossi mai una mascherina.

Non c’è Covid. Nessuna traccia di virus o virologhi. Tutto è alleggerito, magari anche con finali vagamente scontati, ma ci piace così. È questa la legge della fiction che, come il teatro, racconta la vita di tutti i giorni. E quella che viviamo oggi, non può essere considerata la quotidianità, a cui dobbiamo ancora tornare. Anche a questo è dovuto il successo delle fiction, sempre intrise di umanità e di una verità intrinseca che supera la realtà.

Massimiliano Beneggi

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