Sabato 19 alle 20 e domenica 20 marzo alle 16, al Teatro Gerolamo di Milano andrà in scena La strada che va in città, di Natalia Ginzburg. Sul palcoscenico una intensa Valentina Cervi nei panni di Delia, ragazza dal passato pieno di incertezze e rimpianti, cresciuta in campagna, che sceglie di fare un matrimonio d’interesse. Sceglie il riscatto nella città, per poi accorgersi che il vero amore è altrove. Valentina ci racconta così lo spettacolo.

Questo può essere considerato il tuo debutto teatrale?
Quasi. In realtà il mio vero debutto fu tantissimi anni fa, insieme a Luca Zingaretti, in uno spettacolo tratto da un testo di Bret Easton Ellis. Avevo 23 anni. Per diversi motivi, successivamente, ho sempre solo sfiorato il mondo del teatro, con alcune letture.
Come nasce l’idea di questo progetto?
Sì, tutto nasce da un’idea che avevamo io e Iaia Forte (regista dello spettacolo, ndr) di lavorare insieme. Quando andavo a vedere i suoi spettacoli rimanevo sempre a bocca aperte a vedere le sue regie e dal suo modo di mettersi in scena, lei per me è un’attrice folgorante. Diventammo molto amiche e un giorno mi propose: “Perché non ti fai mettere in scena da me?”. Così, insieme a Pierfrancesco Pisani, produttore di Infinito, abbiamo trovato questo testo e ne è nato questo esperimento, inizialmente come lettura per poi diventare sempre più spettacolo replica dopo replica. I personaggi hanno voci diverse, alcuni pezzi assumevano i toni di monologhi…
Rimane comunque uno spettacolo diverso da quelli tradizionali a cui siamo abituati…
Si tratta di una lettura mise en espace. Natalia è innazitutto una scrittrice che amo da sempre per il suo stile ossessivo: nei suoi romanzi succede sempre qualcosa, che non potrebbe accadere se si trattasse di monologhi. Leggere, più ancora che recitare, questo testo mi fa sentire più vicina a lei sulla pagina.
Come si esprime l’attualità di questo testo?
La scrittura ruvida della Ginzburg è sempre attuale e contemporanea. La spinta di Delia viene dalla voglia di fare un salto di classe dopo una vita di miseria, passata come se fosse invisibile ai genitori. La madre diceva: “I figli sono come il veleno e mai si dovrebbero mettere al mondo”. Una violenza psicologica, più che fisica, che incide su di lei. Dunque Delia osserva la solitudine di una sorella sposata per interesse e sogna un’emancipazione emotiva diversa. Sogna la città con i mezzi di una ragazza di sedici anni, a partire dalla sua femminilità. Si butta in un matrimonio infelice, tradendo di fatto il suo vero amore.

Un momento che ti emoziona in modo particolare?
C’è un momento in cui Delia cerca una relazione con i cugini, ritrovandosi sola e disillusa di fronte a un cugino alcolizzato. Guarda sulla strada delle ragazzine che vivono felici la loro adolescenza: una scena sempre di grande impatto. E poi il finale lo trovo sempre straziante, quando la protagonista decide improvvisamente di corrompersi, scoprendo la meraviglia di indossare una volpe sulle spalle, truccarsi e mettersi i tacchi per essere guardata da tutti. In realtà quella meraviglia è il tradimento della sua essenza, con cui cerca negli altri quello sguardo su di sè mancato fino ad allora.
Non c’è di fondo una certa idea di volgarità del denaro in questa ambizione di Delia?
Delia vuole fare anzitutto un salto di classe, a prescindere dai soldi: più che diventare ricca, lei vuole finalmente appartenere a una società, con un marito che la certifichi identitariamente.
Però questo marito è ricco…
Vero e, sicuramente, questo le dà una possibilità in più per il suo obiettivo. Io credo, però, che non il denaro non sia mai volgare in sè. Non perlomeno se viene usato bene. Credo ci sia una mistificazione del concetto. Non c’è niente di male nel desiderarlo: dipende dalle intenzioni che guidano verso di esso e come viene speso. La corruzione e il tradimento di se stessi solo in cambio di denaro hanno sempre un prezzo altissimo da pagare sulla nostra emotività. Ecco, Delia in questo senso paga altro, ma non è spinta dai soldi.
Il teatro e il cinema dopo la pandemia sono indeboliti o incuriosiscono di più?
C’è una fruizione linguistica e visiva sempre più preponderante, credo ci sia una spinta verso chi fa teatro. La gente fa fatica a uscire, ma chi lo fa ora lo sa riconoscere come un privilegio. Ci vorrà un po’ di tempo prima che questa voglia di fare un’esperienza di condivisione appartenga a tutti, ma il pubblico credo che tornerà è ancora più forte. Io sto vedendo spettacoli bellissimi in questo periodo!
Guardi Netflix?
Sì. Netflix fa tanti prodotti simili, ma ha un grandissimo vantaggio: dà lavoro a tantissime persone e ha un po’ eliminato l’idea che si debba guardare qualcosa solo se c’è un grande nome di richiamo. Approdare a certe serie con bei personaggi è una boccata d’aria fresca per tutti, attori e spettatori.
Se la vita di Valentina Cervi fosse una canzone quale sarebbe?
Anais Mitchell, Now You know. Almeno, questa è la mia canzone di adesso!
Massimiliano Beneggi