Colto, intelligente, fantasioso, estremamente simpatico: il numero uno dei conduttori televisivi lanciò il suo estro inimitabile a Bim Bum Bam, regalando alla trasmissione quella linfa che le avrebbe poi concesso di proseguire il successo per lungo tempo.
Paolo Bonolis fu il primo a introdurre nelle trasmissioni per ragazzi un linguaggio forbito ma perfettamente comprensibile a ogni età, nonché una vera comicità che faceva già allora riferimento ai suoi stessi modelli artistici. Riproponendo la goffaggine di Alberto Sordi, l’astuzia di Totò e – nelle interazioni con Brandolin – il servilismo di Paolo Villaggio con il Megadirettore, ecco che si dava così possibilità ai bambini di conoscere un modo di fare spettacolo a 360 gradi.

Senza risparmiare nemmeno un pizzico di simpatico cinismo nei suoi sketch con Uan, Piolo traghettò il suo giovane pubblico verso la scoperta di una televisione completamente inesplorata fino ad allora. Il suo modo di raccontare la quotidianità ai ragazzi avrebbe poi fornito a tanti altri programmi una cifra stilistica di cui oggi Bonolis, non a caso, è rimasto ormai uno dei rarissimi interpreti. Ogni sua trasmissione è sempre un grande circo di intrattenimento e approfondimento ineguagliabile: il pubblico di Bim Bum Bam lo scoprì già 40 anni fa. Nel libro che ripercorre la storia del programma, Bim Bum Bam Generation (di Massimiliano Beneggi, edizioni D’IDEE, 224 pagine, 16,90 euro), c’è un’intervista a Paolo, insieme a quelle di tanti altri protagonisti, che vi riportiamo qui.
Paolo, nel 1981, dopo essere arrivato per caso a 3,2,1 Contatto, lasciasti la Rai per arrivare al Gruppo Rusconi: una bella prova di coraggio per l’epoca…
Più che coraggio, in realtà ci fu pura fortuna: stavo studiando Scienze Politiche e non ero proprio interessato a fare televisione. Probabilmente furono pizzicate corde che non presumevo di avere e che, a detta di altri, potevano suonare bene. Iniziai, infatti, a condurre in Rai perché mi avrebbe fruttato più che non vendere le enciclopedie sui cani, come stavo facendo fino a quel momento. Mi potei così comprare la macchina e iniziò un nuovo percorso lavorativo. Dopo quell’esperienza fui invitato a recarmi altrove e Sebastiano Romeo, dirigente Rai che stava passando al gruppo Rusconi, mi propose di seguirlo per continuare l’avventura televisiva. Così con Marina e Sandro registrammo l’edizione dallo zoo di Roma e, l’anno dopo, la rete fu assorbita dal gruppo Fininvest. Alessandra Valeri Manera decise di trattenere me e inserire Licia Colò e Uan.
Quando capisti che la tua sinergia con Giancarlo Muratori poteva dare origine a una comicità incredibile?
Quasi subito. Io seguivo con fiducia Giancarlo, che aveva un pregresso importante in teatro. Mi faceva molto ridere: lui aveva immediatamente impersonato il ruolo di quel cane abbastanza paraculo e dispettoso. Io, cresciuto con i grandi inseguimenti di Willy il Coyote con Road Runner ero divertito dall’idea di poter trasferire quella surrealtà cartoonistica, sufficientemente cinica e persino manichea, con un situazionismo sopra le righe. Come avrei fatto poi nei miei successivi 40 anni televisivi, con Muratori non ci preoccupammo di un politically correct, allora solo ipotetico, oggi reale e devastante. Quando si tratta di giocare credo che non debbano esserci barriere: la cosa importante è che, anche dall’altra parte dello schermo, si capisca che si sta giocando e non si sta facendo sul serio.
Il riscontro con il pubblico quindi fu immediato?
Praticamente sì. Dopo un certo periodo in cui registravamo puntate scritte da Lidia Ravera, grande scrittrice e giornalista, parlai con Alessandra Valeri Manera. Trovavo quei testi fin troppo buoni e zuccherosi e, invece, per me i bambini sono già pronti per catturare l’ironia. Così fu data a me e Giancarlo l’opportunità di scrivere dei canovacci. La “facevamo fuori dal vaso” cercando di ironizzare con quello che anzitutto piaceva a noi: quando chi conduce vive il divertimento, il rimbalzo di questo, in chi guarda, è accelerato.
Un canovaccio che ricordi?
Per esempio scrivevamo: Uan deve studiare geometria con Paolo. A quel punto io e Giancarlo andavamo a ruota libera: “Dimmi Uan, qual è il triangolo con i tre lati uguali?”, dicevo io, “Gualio”, rispondeva lui. “No Uan! Equi…”, “Dove?”, No, non è qui! Equi-la….”, “No, o è qui o è là!”. Giocavamo così.

Tu sei anche un grande intenditore di musica. Tra le sigle dei cartoni c’era qualcuna che, in altra epoca, avrebbe potuto partecipare a uno dei tuoi Festival di Sanremo?
Erano sempre cantate da interpreti straordinari come I Cavalieri del Re e Cristina D’Avena, che sapevano impreziosirle rendendole perfette nel loro contesto. Più di una, sicuramente, con un adattamento del testo, avrebbe sicuramente potuto avere un proscenio ancora più importante rispetto a quello della sigla di un cartone.
Oscar Wilde diceva che avere avuto una buona educazione è un grande svantaggio perché esclude da tante cose. Il pubblico che ha vissuto Bim Bum Bam non è stata in grado di creare una televisione altrettanto bella: guardando al decadimento qualitativo dei contenuti di oggi, specie attraverso i social, ti senti responsabile di aver regalato una “educazione televisiva” troppo buona a una generazione che non ha saputo guardare oltre?
È semplicemente cambiato il mondo comunicativo. La televisione, così come la stampa, prevede un controllo prima che i suoi contenuti siano esposti: si può essere più o meno d’accordo con quanto viene proposto, ma tutto subisce una selezione, una relazione e una valutazione che permettono al prodotto di essere nobilitato quantomeno nella sua qualità espressiva. Oggi, purtroppo, sui social chiunque è in grado di fare il giornale di se stesso e può criticare qualunque cosa abbeverandosi dalla fonte del proprio ombelico. La comunicazione non ha più una sorta di controllo che la precede: qualsivoglia persona può essere ricevente e trasmettente allo stesso tempo. Di conseguenza, il contenuto si è giocoforza imbarbarito perché non è preparato, ma diventa cotto e mangiato: molto spesso è privo di qualunque significato, disconoscendo obiettivi che non siano autocelebrativi e che vengono trasmessi indipendentemente dal fatto di avere davvero un pensiero da offrire agli altri. Ormai si osserva di tutto e questo consente ad alcune persone di crogiolarsi in un protagonismo esasperato. Noi facemmo semplicemente una tv per bambini, con un’irriverenza logica che si chiudeva nello spazio temporale della trasmissione stessa. Le attuali piattaforme social vorrebbero un racconto h24 della vita: credo che nemmeno un’entità superiore e trascendente sarebbe in grado di farlo, quindi se vi si adoperano degli umani emergono delle contraddizioni e delle mestizie incredibili.
In cosa differisce la tv dei ragazzi di oggi da quella di Bim Bum Bam?
Oggi la tv per ragazzi consiste in infiniti prodotti di cartoni, nei quali manca una persona che accompagni il bambino nel percorso televisivo. La presenza di questa permetteva al bambino di distinguere tra un personaggio immaginario e un umano. Venendo a mancare l’umano, resta solo il cartone, peraltro di qualità sempre maggiore, quindi potrebbe generarsi confusione tra realtà e fantasia. E questo rischia di diventare distorcente.
Massimiliano Beneggi