Il pubblico televisivo ha imparato a conoscerla negli anni Novanta alla conduzione di Target, quindi come protagonista di Sei forte Maestro: produzioni che oggi suscitano sentimenti di grande nostalgia nel pubblico e non solo perché si fosse più giovani. A fare la differenza è sempre stata la qualità. Gaia De Laurentiis, però, è sempre stata principalmente una attrice di teatro. Formatasi al Piccolo, dopo la parentesi televisiva è tornata a vivere esclusivamente il palcoscenico.

Sabato 15 e domenica 16 ottobre sarà al Teatro Ciak di Roma nella commedia di Kristen Da Silva, Dove ci sei tu (Gekon Productions), con Fabrizia Sacchi, Cecilia Guzzardi e Alessandro Blasioli. Lo spettacolo proseguirà poi al Martinitt di Milano dal 21 ottobre al 6 novembre. A dicembre e gennaio tornerà al Manzoni di Roma con Diamoci del tu, di Norm Foster, insieme a Pietro Longhi. Insomma ancora una stagione da protagonista per la De Laurentiis che ci racconta in questa intervista i due spettacoli e il rapporto col teatro.

Gaia, come ti trovi, in Dove ci ci sei tu in un ruolo diverso da quello con cui siamo abituati a conoscerti?
È una fortuna che mi è capitata spesso in questi ultimi anni: fare cose molto diverse da quelle fatte abitualmente mi dà la possibilità di spaziare di più nella varietà dei personaggi.
Qual è la forza principale di Dove ci sei tu?
È una storia autobiografica e ricca di colpi scena che, come racconta l’autrice, farà ridere fino alle lacrime, perché poi alla fine effettivamente si piange.
Raccontacela brevemente, senza svelarci il finale, dove c’è un segreto a rompere il tono della commedia…
Il segreto è la parte seria di questa commedia, che parla di un amore molto forte, quello di una famiglia abbastanza buffa, composta da tre donne. Il mio personaggio, Suzanne, single con una figlia di 25 anni avuta non si sa bene da chi, è una mamma mai cresciuta, o se preferite una adulta un po’ folle: simpatica, anche se poco rassicurante! Ha un aspetto estremamente infantile e folle: sembra superficiale ma in realtà svela una parte molto profonda. Insieme a lei vive la sorella, vedova, con cui si creano situazioni piuttosto comiche. C’è però appunto un segreto, che viene rivelato alla figlia, riempiendo di dolore tutta la storia. È importante dire che il finale è comunque estremamente positivo!
Qui si racconta di una parentela, ma questo rapporto tra donne è un amore in cui si ritroveranno anche tante amiche?
Certo! Io considero l’amicizia una forma d’amore. Mi è capitato di avere dei colpi di fulmine per le amiche, assolutamente accomunabili all’amore. Anzi, forse sono anche più semplici, perché non coinvolgono la sfera erotica e sessuale, è amore puro e profondo.
È una storia resa forse ancor più interessante da questo punto di vista tutto al femminile…
Certo, qui si parla di maternità, c’è un rapporto tra sorelle: si indaga un po’ di più nell’animo femminile. Si dice che gli uomini siano più quadrati e le donne con più sfaccettature: probabilmente dopo aver visto Dove ci sei tu si potrebbe pensare che questo sia vero, ma in parte è anche un luogo comune. La forza dello spettacolo è, come dicevo, nel forte amore che emerge e che regala risate e commozione, più che nella presenza di sole donne. Anche le storie raccontate dagli uomini sono interessanti!
In questo caso, dunque, un segreto porterà dolore ma aiuterà anche a risolvere qualcosa. A volte i segreti possono creare anche dei muri. Nella tua vita che esperienze hai avuto?
Nella mia esperienza familiare c’è sempre stata omertà totale di fronte a qualcosa che non doveva emergere: si è fatto finta di non vedere e il segreto è rimasto tale fino a quando non ho svelato qualcosa. Era giusto farlo, ma in seguito non è cambiato molto: c’è stata più che altro una presa di coscienza del fatto che più di tanto non si può fare. Va bene così, le dinamiche familiari sono molto particolari. Nell’amicizia è più facile: c’è più spazio per risolvere problemi e parlare, perché in quell’amore profondo c’è un giusto distacco che in famiglia è difficile trovare.
A dicembre sarai di nuovo impegnata con un’altra commedia, Diamoci del tu.
Mi incuriosisce il fatto che questi due spettacoli si somigliano nel titolo e sono entrambi di autori canadesi! Si potrebbe fare confusione tra uno e l’altro m, ma il pubblico dove coglierà, coglierà comunque bene perché sono due testi molto belli! Sono il teatro che piace a me! Diamoci del tu è di un autore canadese più famoso, che racconta la storia di uno scrittore che ha una governante da anni, di cui non sa nulla. Lui decide di scoprire qualcosa di più. Lei svelerà di amarlo da trent’anni e la serata si risolverà in un modo tutt’altro che scontato. Lì interpreto un personaggio anche più grande con un comportamento completamente diverso da me e questo mi appassiona tantissimo!
Mi sembra di capire che ci sia un fil rouge tra i due spettacoli: la scoperta di lati inimmaginabili attraverso lo svelamento di un segreto.
La cosa interessante è proprio quando si scopre l’anima delle persone. È il senso del teatro, che sa fare emergere un lato più profondo in cui la gente si riconosce. In effetti si empatizza di più sulle fragilità che sulle risate.
Nel tuo caso è stato il pubblico del teatro a conoscere una Gaia inedita quando sei arrivata in televisione o è stato quello televisivo a scoprire un lato nascosto di te quando sei tornata solo sul palcoscenico?
Io non ho mai abbandonato il teatro, che quindi racconta la parte più profonda di me. Purtroppo il teatro ha bisogno della notorietà televisiva per attirare pubblico: è un peccato, perché ci sono tantissimi attori talentuosi che non hanno la popolarità che meriterebbero.
Quando è iniziata questa necessità?
C’è sempre stata, ma oggi siamo andati proprio oltre: appena esci da un reality televisivo, ti spolpano a teatro pur di portare il pubblico. Io ho avuto la fortuna di fare una bella televisione all’epoca, eppure questo mi faceva perdere credibilità in teatro. Oggi è diverso: hai credibilità a teatro se fai tv, è un periodo molto buio. Sul palcoscenico si recita, dovrebbero esserci solo gli attori.
Proviamo a capirlo con te, senza peli sulla lingua. Di chi è la colpa? Del teatro o della tv?
Di entrambi. Sembra che nessuno tenga a coltivare un proprio settore ad alto livello.
Partiamo dalle colpe della tv
Il piccolo schermo svaluta il mestiere di chi lo frequenta. Come mai non si può avere una ambizione televisiva alta? Perché non si può entrare da subito con un ruolo di un certo livello subito per poi crescere? La gavetta televisiva è tristissima: io sono stata fortunata anche in quel senso. Poi però la tv non ha saputo portarmi avanti. La televisione non l’ho più cercata e lei non ha cercato me. Nessuno ha mai tentato di farmi crescere televisivamente. Evidentemente non corrispondevo a certi modelli.
E le colpe del teatro?
Il teatro mi guardava con sospetto mentre facevo la tv, che anche questo ho dovuto abbandonare. Oggi, però, è lo stesso teatro, oltre alla tv, a chiedermi di fare un reality, perché la visibilità porterebbe più gente in sala. Il teatro non mi dovrebbe chiedere questo!
Poi, in fondo, diciamocelo, al pubblico teatrale piace vivere un po’ nella nicchia, lontano dalla massa…
Io ho una visione diversa: per me il teatro dovrebbe essere popolarissimo come una volta, tanto quanto la televisione, ma l’approccio di oggi per ottenere quella popolarità non è quello che mi appartiene. Se il modo per renderlo popolare non è prendere l’ultimo uscito da un reality e portarlo sul palcoscenico, non so dove porterà tutto questo: osservo con curiosità…
Massimiliano Beneggi