Fino al 6 gennaio, al Teatro Nazionale Che Banca! di Milano, è in scena il musical Sister Act (produzione Stage Entertainment), che si appresta a diventare il grande evento teatrale della stagione. Ecco la nostra recensione.

IL CAST

Gloria Enchill (Deloris Van Cartier), Francesca Taverni (Madre superiora), Roberto Tarsi (Eddie), Giuseppe Verzicco (Curtis Jackson), Massimo Cimaglia (Monsignor O’Hara), Gea Andreotti (Suor Maria Roberta), Floriana Monici (Suor Maria Lazzara), Mary La Targia (Suor Maria Patrizia), Salvatore Vasalluccio (TJ), Gioacchino Inzirillo (Joey), Massimiliano Carulli (Deniro). Regia di Chiara Noschese.

LA TRAMA

Deloris è una ragazza afroamericana che, dopo un’infanzia già difficile, vive un’esistenza piuttosto complicata e dissoluta. La sua passione è il canto, ma per ora si può esprimere artisticamente solo in alcune serate nei night club. Una notte è testimone involontaria di un omicidio, commesso proprio dall’uomo con cui ha una relazione clandestina: a questo punto la posizione di Deloris si fa piuttosto scomoda e, così, un suo amico poliziotto la costringe a cambiare identità per rimanere nascosta e lontana da ogni pericolo. L’assassino continuerà a darle la caccia, ma mai potrebbe immaginare che la cantante da night si sia rifugiata in un convento di suore. Qui Deloris viene presentata dalla madre superiora alle altre sorelle come suor Maria Claretta. L’abito indossato inganna tutte, ma non frena di certo il carattere esuberante della ragazza, che deve fare i conti un le regole richieste dalla preghiera e l’impossibilità di dedicarsi a qualunque tipo di vizio. A questo si aggiunge la diffidenza della Superiora, che vede in lei una rivoluzionaria dall’influenza devastante per le altre religiose. Con l’arrivo di Deloris di cose ne cambiano davvero: le suore scoprono il gusto della trasgressione, recandosi a mangiare un panino in un locale, ma soprattutto danno un senso nuovo al loro coro clericale. L’anima soul di Deloris le contagia: le sorelle, fino a quel momento sempre stonate, capiscono che per cantare bene occorrono regole fondamentali. Anzitutto bisogna sapersi ascoltare e ragionare da gruppo; quindi ci si deve lasciare andare, liberandosi di ogni vergogna. Così il coro improvvisamente ottiene successo, tanto da fare raccogliere numerose offerte alla chiesa, che sembrava destinata a chiudere, e ottenere un invito ufficiale a cantare nientemeno che per il Papa. Nascono amicizie, riflessioni su un modo di pregare molto spesso egoista; una novizia in crisi di identità capisce di doversi dare il tempo necessario per scoprire la sua vera strada. D’altra parte, la vita del convento sembra poter restituire una Deloris completamente nuova, in cerca di una stabilità affettiva che le consenta di realizzare tutti i suoi sogni.

LA MORALE

Non è l’abito a fare una sorella. L’atteggiamento travolgente di Deloris è tanto sorprendente quanto convincente per portare a una conclusione capace di unire religiosi e non: se è vero che c’è un aiuto divino a farci vedere il bello della vita, è altrettanto vero che buona parte di questo dipende da noi esseri umani. Ecco perché diventa un peccato (anche in senso cristiano) rinunciare a quel che ci può far stare bene, solo per la paura di essere giudicati male da altri. Ma, così facendo, restiamo ingabbiati in una vita senza relazioni sociali. Invece siamo fratelli e sorelle in ogni rapporto di amore e solidarietà verso l’altro: sta a noi scegliere se comportarci così o da perfetti sconosciuti chiusi nel nostro egoistico orgoglio. In fondo, persino Gesù non si è mai vergognato di chiedere aiuto oltre che di aiutare: perché dovremmo farlo noi?

IL COMMENTO

Che chi canta preghi due volte, lo diceva già Sant’Agostino. È un’idea che emerge molto bene da questo musical ormai storico, che mette a confronto la malavita con la fede religiosa. La seconda non ha certo bisogno della prima, che invece necessita di rivolgersi alla preghiera per evitare pericoli, ma Sister Act farà uscire dal teatro con un’immagine della cristianità certamente diversa da quella canonica. L’esuberanza, quando non intacca i voti di carità, è tutt’altro che deplorevole, tanto più se permette di farci scoprire il lato umano del divino. A coinvolgere il pubblico non saranno solo le straordinarie canzoni e la bravura di interpreti e ballerini, ma anche una storia che, nonostante sia ormai nota a tutti, sa sempre raccontare qualcosa di nuovo. E poi quando alla regia c’è Chiara Noschese, gli spettacoli hanno sempre un tocco in più di attualità, ironia ed emozione rispetto al testo originale. Aspettate di vedere l’ingresso di Deloris nel finale, prima di pensare che lo spettacolo sia concluso e la commozione non vi abbia ancora abbracciati.

IL TOP

Gloria Enchill torna nel ruolo di Deloris con la sua fantastica voce e un senso del palcoscenico che la fanno essere protagonista al di là di quel che già prevede il testo. Francesca Taverni (la Madre Superiora) emoziona con un canto pulito, senza mai alcuna incertezza. Massimo Cimaglia (il Monsignore) è di una comicità e di una bravura nel ballo da godersi anche quando non sta parlando. Spesso, in spettacoli così corali, il gruppo rischia di finire nel calderone delle comparse silenziose: in questo caso se non citeremo i motivi di tanti applausi per ciascuno degli attori è solo perché sarebbero troppi da ricordare uno per uno. Quel che è certo è che ogni artista sul palcoscenico non è una comparsa, ma interpreta una precisa personalità. Le suore sanno coniugare meravigliosamente gesti goffi e spaesati a passi danzanti da cui filtra un eccezionale talento. Sanno entrare talmente nella parte che, come per le vere monache, anche per loro vi chiederete quanti anni abbiano davvero, e probabilmente vi immaginerete le mani che profumano di arance come le suore reali. Solo che così alla moda non le abbiamo ancora viste, nemmeno nell’epoca di un rivoluzionario come Papa Francesco. Da rilevare, inoltre, i fantastici acuti in falsetto degli attori uomini: anche quando le canzoni sono meno orecchiabili, il talento emerge completamente.

LA SORPRESA

Le scenografie di Lele Moreschi sono qualcosa di sublime che coinvolgeranno insieme alle luci di Francesco Vignati, tanto che sembrerà di essere davvero in una chiesa, quindi in un commissariato, in un bar, in una casa, in una strada. I bellissimi costumi disegnati da Ivan Stefanutti vivono di effetti più che mai sorprendenti: assisterete allo stesso tempo a uno spettacolo di illusionismo, con repentini cambi di abiti e scene da lasciarvi a bocca aperta e poi col sorriso. Per chi non l’avesse capito, non andare a vedere Sister Act è un peccato mortale.

Massimiliano Beneggi