Fino al 4 dicembre, al Teatro Parenti di Milano è in scena Il delitto di via dell’Orsina (produzione Teatro Franco Parenti con Fondazione Teatro della Toscana) di Eugène-Marin Labiche, con Massimo Dapporto e Antonello Fassari. Ecco la nostra recensione.

IL CAST
Massimo Dapporto, Antonello Fassari
Susanna Marcomeni, Marco Balbi, Andrea Soffiantini, Christian Pradella, Luca Cesa-Bianchi. Regia di Andrée Ruth Shammah
LA TRAMA
Due ex compagni di scuola sono reduci da una misteriosa rimpatriata di classe, ricca di goliardia e altresì consegnata ad azioni già dimenticate la mattina dopo a causa degli eccessi di alcol. Oscar Zancopè (Dapporto), all’epoca il “somaro” della classe, oggi è un ricco uomo sposato, che gode di tutti gli agi dell’aristocrazia. Mistenghi (Fassari), ricordato come il “secchione”, è diventato un cuoco abituato a vivere alla giornata. I due si risvegliano nello stesso letto senza ricordare alcunché se non un’atmosfera di grande euforia. Rimasto ospite a pranzo da Zancopè, Mistenghi non fatica a sentirsi a casa sua, portando un po’ della sua vorace e arrembante romanità. Questo accade almeno fino a quando la moglie di Zancopè, già contrariata rispetto al clima troppo chiassoso che si è creato, non legge ad alta voce un giornale, dove è riportata la notizia della tragica uccisione di una donna la sera precedente. La descrizione fatta in quell’articolo, con gli indizi circa i due assassini sulle cui tracce sarebbe già al lavoro la polizia, sembra non lasciare dubbi a Zancopè e Mistenghi: i killer sembrerebbero essere proprio loro. Presi da sensi di colpa, iniziano a immaginare come nascondere le prove contro di loro, ma la verità sembra destinata a venire a galla, anche perché ci si mette pure un cugino acquisito a peggiorare la situazione: lui, la sera prima, ha visto i due amici in un locale. Insomma, la rimpatriata dai comportamenti inenarrabili si sarebbe trasformata in un violento femminicidio. In realtà il giornale su cui viene riportata la notizia è di vent’anni prima; Zancopè e Mistenghi, non sapendolo, tireranno fuori il peggio di se stessi piuttosto che affrontare con coraggio la realtà…
LA MORALE
C’è sempre un momento per essere seri e uno per distrarsi in allegria. Alcuni episodi meritano una certa attenzione che ci pone a confronto con la nostra moralità. In generale, se non ci sono vittime, nessuno è colpevole di nulla; ma se sul nostro percorso troviamo una vittima, siamo pronti a preoccuparci della nostra possibile colpevolezza. Fino a che punto però? Siamo davvero disposti ad assumerci una responsabilità davanti agli altri o, una volta che ci siamo perdonati da soli, siamo pronti a tutto pur di salvare la nostra faccia? Ecco che, così, se in modo superficiale non indaghiamo a fondo nelle questioni che meritano una certa riflessione, rischiamo persino di infilarci in guai seri. E se la toppa è peggio del buco, ogni azione concatenata svilupperà solo danni: nessuno, allora, potrà dirsi migliore di qualcun altro. Tuttavia, non sempre la vita è così severa: a volte qualcosa può essere vissuta con maggiore leggerezza. Ciò che viene fatto per far ridere, è giusto scateni allora la reazione immaginata. Questo vale per qualunque ceto sociale ed età a cui si appartenga: nobili o cuochi, camerieri giovani o prossimi alla pensione, davanti al concetto di libertà, siamo tutti uguali.

IL COMMENTO
Una divertente e sorprendente commedia degli equivoci del’800, torna a teatro con un’ambientazione negli anni ‘40. Nel contrasto tra aristocrazia e popolo, ma anche in quello tra senilità e gioventù, ecco emergere la comune voglia di divertirsi senza troppi pensieri né responsabilità. L’attenzione e la curiosità della servitù nei confronti della nobiltà, con cui sussiste quell’hegeliana dialettica che conosciamo, supportano gesti e battute che ci riportano a tradizioni di altri tempi. Eppure, certi modi di pensare e di interpretare la propria moralità, non sono per niente cambiati. La regia di Andrée Ruth Shammah consente di vedere nella sua interezza l’attualità emotiva di questo testo, giocando sulle personalità dei protagonisti più che sugli eventi storici. Un’ora e un quarto di divertimento, destinato a crescere sul finale atteso dal pubblico che, da subito, sa di trovarsi di fronte a un equivoco. Lo sviluppo, però, è assolutamente imprevedibile e dopo le risate nasce un po’ di amarezza. Grande sincronia tra gli attori, per una commedia corale dove oltre ai due protagonisti ritroviamo professionisti eccellenti come Balbi, Soffiantini, Marcomeni e straordinarie virtù del futuro quali Cesa e Pradella. Il teatro, quando è così, diventa una calamita irresistibile.
IL TOP
Davvero c’è ancora bisogno di rimarcare quanto siano bravi Dapporto e Fassari? In un mondo che cerca ossessivamente le critiche da dare in pasto agli haters, forse sì. Anche perché in questo spettacolo i due attori romani sanno essere più coinvolgenti che mai. Massimo Dapporto è brillante come la televisione non ha mai saputo fare esprimere, nemmeno ai tempi di Amico mio. Divertente e ironico in una eleganza che non è comune a molti ed evidentemente ereditata dal padre, la cui gestualità a tratti sembra materializzarsi sul palcoscenico. Si divide, con la sua voce tenebrosa e ammaliante, le parti più comiche con Antonello Fassari. Anch’egli spiritoso ed esaltante con una mimica facciale sempre irresistibile, sa essere al tempo stesso voce della coscienza più severa e di quella più spensierata. Un po’ come accade in ognuno di noi…
LA SORPRESA
Non bastasse un formidabile cast di attori, l’asso nella manica di questa commedia è l’uso delle musiche di Alessandro Nidi, cantate direttamente dai protagonisti sul palcoscenico. In un’ora e un quarto non si assiste solo alla prosa, ma anche ad accenni di operetta e canto corale. Ridere fa bene al cuore, cantare e ballare permettono di sentirsi liberi: perché rinunciare a tutto questo, più che mai in un periodo sempre pieno di brutte notizie? Piuttosto che perdere una serata tra i commenti nevrastenici dei social o tra i dibattiti urlati della te, per una volta proviamo ad andare a teatro: un sorriso lo troveremo senz’altro.
Massimiliano Beneggi