Nella splendida cornice del Teatro di Documenti di Roma fino all’11 dicembre Evelina Nazzari e Maddalena Recino sono protagoniste di Torna fra nove mesi, uno spettacolo profondamente emozionante scritto da Evelina Buffa Nazzari per la regia di Angelo Libri.

Su una scena coperta di fogli stracciati, stropicciati come la loro vita di madri in perdita, le due (o una?) protagoniste si affaccendano alla ricerca di un senso che non è più. Rovistando nel passato raccontano i moti del loro dolore,sforzandosi di ipotizzare un futuro. Cercando tra le carte bianche trovano ricordi, oggetti che sembrano formarsi dal nulla. Tutto è carta, fragile, sottile, corruttibile. Ci racconta meglio lo spettacolo la stessa Evelina Nazzari.

È una storia molto delicata, da dove arriva?

Da un’esperienza personale che purtroppo ho vissuto e da cui, nella necessità di sfogarmi, ho scoperto la scrittura. L’elaborazione del lutto è un percorso estremamente accidentato e personale. Ognuno ha i suoi tempi nel viverlo. Nel mio caso è venuto fuori, lentamente, il bisogno di condividere, attraverso la scrittura e quindi la rappresentazione teatrale. Si tratta di uno spettacolo che avevamo già messo in piedi nel 2013 con Maddalena Recino, protagonista di un monologo su questa tematica, con grande partecipazione di pubblico. Ora lo riproponiamo, in due.

Il teatro pone delle domande al pubblico, a volte offre anche soluzioni. Tu hai trovato delle risposte nella scrittura di questo testo?

Vere risposte no, ma sicuramente ho potuto fare passi fondamentali per elaborare un percorso. La condivisione è importante: spesso le persone si sentono un po’ isolate, proprio per questo ci sono gruppi di automutuoaiuto che servono. Anche in quel caso, gli altri non servono a risolvere i problemi, ma consentono di sviluppare un cammino. E poi la scrittura è già arte non appena la di pensa: tutto quello che è artistico aiuta tanto. L’arte è la possibilità di trovare uno sfogo e aiuta a vivere senza tradire se stessi, perché si può permettere di agire senza filtri.

Il pubblico come viene coinvolto in questo caso?

Lo spettacolo dal vivo fa sempre respirare l’aria degli attori, quindi è diverso da tutte le altre forme d’arte. Qui il pubblico è addirittura quasi interpellato, come se fosse testimone diretto di quel che viene raccontato. Anche perché certi dolori è più facile farli partecipare che descriverli.

In che modo emerge un lato persino grottesco in questo spettacolo con una tematica così importante?

Qualunque sentimento, il dolore in particolare, non ha mai una sola faccia, ci sono varie sfaccettature. Abbiamo varie manifestazioni nel dolore: la rabbia, persino l’umorismo, il sarcasmo, l’autoironia. Ecco, in questo spettacolo, dove si parla di un dramma che alla fine offre comunque spiragli per una vita nuova, emerge tutto questo. Anche per quel rapporto a due sul palcoscenico.

In che modo?

Siamo in due ma voci, probabilmente, di una stessa madre, che racconta e vive in modo accogliente ciò che le capita: ci sono delle voci intestine in ognuno di noi che si censurano e originano, inevitabilmente, situazioni vagamente tragicomiche. Sarà il pubblico ovviamente a interpretare quanti personaggi ci siano davvero nel racconto.

Girerà in tutta Italia questo spettacolo?

È la nostra grande speranza! Magari si potesse arrivare a Milano con questa storia. Chissà, magari ora che torniamo a raccontarla sul palcoscenico, qualcosa succederà…

Massimiliano Beneggi