È in scena fino al 2 marzo, al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano, La madre di Eva (produzione Compagnia Enfi Teatro), liberamente tratto dal romanzo di Silvia Ferrari, adattato e diretto da Stefania Rocca. Ecco la nostra recensione.

IL CAST
Stefania Rocca, Bryan Ceotto/Simon Sisti Aymone. E con (sullo schermo) Maeva Guastoni, Francesco Colella, Diego Casale, Vladimir Aleksic, Selene Demaria, Emanuele Fortunati, Silvia Fondrieschi, Vanna Tino, Beatrice Baldaccini, Alessia Rosato, Nadia Scherani, Vittoria Todeschini. Regia di Stefania Rocca
LA TRAMA
C’è un ragazzo che sta affrontando la transizione per cambiare genere, ossia per “sembrare” fisicamente quel che da sempre sente di essere. Anche per l’anagrafe, dove finora è sempre stato Eva, tra poco diventerà Alessandro grazie a un’operazione a Belgrado, dove la legge consente di effettuare questo passaggio senza nessuna possibilità di impedimento da parte di qualche giudice. Con l’arrivo di Alessandro scompaiono Eva e tutte le difficoltà e i disagi che ha vissuto nei suoi primi 18 anni. Non dovrà più giustificare a nessuno il suo intrappolamento in un corpo diverso. Non serviranno spiegazioni di alcun tipo. Ora ci sarà Alessandro e basta.
Anzi, in quella sala operatoria, come in tutta la vita, c’è anche sua madre. Si tratta di una donna tanto premurosa nei confronti di Eva, quanto contraria all’idea che questa diventi Alessandro. La madre si accorge subito della freddezza con cui i medici agiscono su un corpo in trasformazione. Percepisce immediatamente un senso di distacco da parte loro, rispetto a un’operazione dai forti risvolti psicologici oltre che fisici. Nessuno, per esempio, la chiama per nome. Lei è “la madre”. E probabilmente, secondo i dottori, sotto i ferri c’è un “caso”. Invece c’è Alessandro che per chi l’ha messo al mondo, al contrario, non farà comunque mai scomparire Eva, la sua “eterna bambina”. Nel tentativo di comprendere i disagi della figlia sin da bambina, la madre ha sempre cercato un dialogo, anche se per la verità a senso unico. Ascoltando se stessa più che Eva. E non rendendosi conto fino in fondo che, piano piano, si faceva sempre più strada Alessandro. Ora, in quella sala operatoria, la madre rivive ogni momento della transizione attraverso i ricordi di un dialogo fatto di domande, preoccupazioni, insicurezze. Nella sala d’attesa scopre così di essere incredibilmente pronta a diventare madre per una seconda volta, ora non più di Eva ma di Alessandro.
LA MORALE
Nulla è sbagliato, tutto è rispettabile. Eva sceglie di chiamarsi Alessandro perché ci vogliono il coraggio e la tenacia di Alessandro Magno, per resistere agli ostacoli posti dal carattere risoluto della madre. E mentre il figlio sta per passare da un nome a un altro, la madre sembra non avere nome per nessuno. Nemmeno per Alessandro, agli occhi del quale è solo colei che vuole porre i bastoni tra le ruote. Invece anche la madre vive i suoi disagi e le sue angosce da genitore, preoccupata perché nessuno faccia male alla figlia. Non le interessa che sia maschio o femmina. Non ha vergogna della figlia, ma si sente costretta a conservare un rigoroso pudore per proteggerla. E’ molto agitata per il suo futuro e i pregiudizi che potrebbero spezzare tanti sogni. Come ogni buon genitore, la madre ha il timore che il figlio non sia in grado di difendersi dalle cattiverie di una società che deve fare ancora i conti con le contraddizioni della politica e della burocrazia. Comprende, nel frattempo, che non può prendere decisioni al posto del ragazzo. Così come Eva deve rispettare le difficoltà che sua madre si ritrova a vivere pur di farla stare bene. Magari non sempre riuscendoci, ma provandoci in tutti i modi.

IL COMMENTO
Una storia autentica, piena di intensità e appassionante fino alla fine. Un vero docu-teatro, dal momento che forse la maggior parte della platea non solo non si è mai posta la questione di cosa rappresenti una disforia di genere, ma neppure conosce le difficoltà burocratiche intorno a cui permane un silenzio assordante. La protagonista non è Eva ma nemmeno Alessandro, anche il racconto ruota sulla sua storia. L’intreccio psicologico è tutto sul punto di vista della madre, apparentemente esterno. Ma chi può dire a una madre che la vita del figlio non le appartenga, dopo che è stata lei a tenerlo in grembo per nove mesi e quindi a crescerlo? E fino a dove può spingersi nella vita di chi ha messo al mondo? Senza retorica, La madre di Eva usa il giusto metro di misura che non faccia apparire il genitore come un orco cattivo solo perché vive contestualmente una trasformazione che fatica ad accettare. Una storia di libertà e orgoglio. Commovente, toccante e impegnata, sebbene non manchino un paio di ironie che sdrammatizzano un testo assolutamente da vedere. Purtroppo in scena per pochi giorni, ma merita molte più date, che molto probabilmente verranno replicate la prossima stagione dopo questo test sul pubblico, ampiamente riuscito. Chi teme l’indottrinamento, si dovrà ricredere: è una storia che rispetta la morale di tutti, raccontando qualcosa che spesso viene ignorato.
IL TOP
Stefania Rocca, protagonista e regista, indovina tutto. Superlativa e i lunghi applausi continuerebbero a lungo se non si chiudesse il sipario. Dà ritmo e profondità alla storia, creando le atmosfere con l’intensità della sua meravigliosa voce che si ascolterebbe per ore. Vera, si cala nel personaggio vivendolo appassionatamente. È bello (ma non così scontato) quando chi è sul palcoscenico, prima di tutto crede in quello che sta proponendo. Stefania Rocca parla tantissimo in questo dialogo di un’ora e venti, di cui è la parte preponderante. Per recitare questo ruolo ha dovuto fare un lavoro di memoria straordinario. Lo fa toccando direttamente il tema, senza girarci assolutamente intorno ma, con la delicatezza e l’eleganza che rispettano ogni punto di vista. Perfetta espressione della libertà di pensiero e di azione: cos’altro volere dal teatro e da un’attrice e regista quale Stefania Rocca?
LA SORPRESA
Bryan è sorprendentemente leggero, con un senso del palcoscenico non comune a giovanissimi attori come lui, che racconta qualcosa di sé con il personaggio di Eva/Alessandro. Nel corso delle repliche si alternerà con il giovanissimo Simon Sisti Aymone. Le scelte registiche avvicinano il teatro al linguaggio cinematografico, grazie a sipari che chiudono solo a metà il palco, cambiando le scene ma lasciando proseguire il racconto senza soste. A questo si aggiunge un espediente interessante: gli attori coinvolti sono infatti molti più di quelli presenti in teatro. Il padre e il nonno di Alessandro, come la psicologa e l’avvocato, per esempio, hanno tratti ben definiti e specifici, ma si vedono solo attraverso uno schermo, con cui dialogano i ricordi della madre. In questo modo pensieri contraddittori e pregiudizi sembrano rimbombare ancor di più, come presenze imponenti e talvolta un po’ ingombranti. Tese a dire ciascuno quel che pensa senza che gli sia richiesto. Infine, la musica (di Luca Maria Baldini) viene suonata dal vivo, donando alla storia un’ulteriore angosciante sincerità nel racconto del suo dramma, pronto a risolversi serenamente.