Le tv locali esistono ancora e sono il solito circo di 40 anni fa

Avete mai fatto zapping con i canali oltre il numero 110 del vostro televisore? Scoprirete un mondo che sembrava non doverci più appartenere. Un universo parallelo che molti hanno vissuto fino ai primi anni 2000, ma che la generazione Y ha sempre solo sentito raccontare. Ossia, il macrocosmo delle televisioni locali. Non tanto di quelle cresciute nel tempo e più o meno imborghesitesi, attraverso programmi musicali o talk show sportivi che danno la patente di giornalisti a tifosi da stadio. Quanto piuttosto di quelle che si nutrono di televendite, personaggi pittoreschi dalla conduzione improvvisata e telegiornali che, anziché raccontare la visita di Zelensky in Italia, ricordano l’evento della sagra della porchetta o l’incidente domestico della sciura Maria. Il tutto con un audio rimbombante, derivante da studi che non sono altro che capannoni di magazzino trasformati per l’occasione. Un insieme di peculiarità dal sapore quasi artigianale, con imperfezioni qua e là capaci di essere persino poetiche. Un ibrido tra televisione e circo, improponibile altrove. Spesso già comici allora, talvolta ugualmente trash nel 2023. I ragazzini di oggi, quando sono a casa da scuola, si tuffano tra Netflix e Amazon Prime ma un tempo si potevano anche perdere ore davanti a quelle trasmissioni. Bastavano pochi canali dopo le reti principali e subito ci si trovava davanti alle tv locali. Oggi, che Rai e Mediaset hanno quintuplicato le loro emittenti, occorre un po’ più di pazienza, ma quella poesia continua a esistere. Insomma, facendo uno zapping un po’ più lungo del solito, si ritroverà una realtà che si presumeva erroneamente scomparsa. Fatta di canali che, al contrario della loro potenzialità, hanno conservato lo spirito prettamente locale senza avvicinarsi mai a quello delle tv nazionali. Inutile investire troppo: il pubblico che le segue rimane sempre confinato a una nicchia ristretta.

Uno dei critici d’arte di una tv locale, pensieroso mentre conduce in diretta

SEMPRE PIÙ CANALI MA NESSUNO LI GUARDA

Dall’avvento del digitale terrestre, concretizzato in Italia tra il 2009 e il 2012 abbiamo, infatti, la possibilità di guardare anche le reti delle regioni più lontane. L’offerta è vastissima e ne siamo felicissimi, ma sembra un po’ lo stesso entusiasmo che adottiamo quando entriamo in una pizzeria sapendo già che ordineremo sempre la solita margherita. In ogni caso, più il menù è vasto e maggiore sarà la nostra illusione di trovarci in un luogo di alta qualità.

Gli stessi protagonisti televisivi, quando annunciano sui social gli appuntamenti con le loro trasmissioni del piccolo schermo, usano un’enfasi accattivante ogni volta che pronunciano il numero del canale su cui sintonizzarsi. Numero che, essendo di tre cifre, quasi nessuno riuscirà mai a tenere a mente a meno che non sia un fanatico di quella programmazione.

Con l’arrivo delle piattaforme, inoltre, abbiamo ulteriormente ridotto il nostro interesse a fare uno zapping che possa comprendere tutti i canali disponibili sul digitale terrestre. Abbiamo casomai aumentato il tempo in cui scegliamo il programma (sempre più film o documentari) con cui tenerci compagnia. Sempre alla stessa maniera di quando rimaniamo fissi per lunghi minuti davanti a quel maledetto menù delle pizze, cercando di immaginare mentalmente le sensazioni che ogni singola pietanza ci potrebbe dare. Ovviamente, quando ben abbiamo scelto il nostro film, si è ormai fatta una certa per cui saremmo già al secondo tempo se lo avessimo selezionato quando ci era comparso davanti agli occhi la prima volta. Contestualmente, la pizza che abbiamo scelto per cenare di fronte alla tv, è diventata fredda. Insomma, in totale avremo perso almeno un’ora davanti ai menù, ma siamo orgogliosissimi. Proprio come chi conduce su quelle tv che vanno dal canale 110 (forse anche prima) in avanti. Snobbati da chiunque, ma a tutti gli effetti personaggi televisivi. Capitati, però, nell’epoca sbagliata.

IL GUSTO VINTAGE RIMASTO INTATTO

È curioso vedere come per quelle reti il tempo non si sia fermato: ritroviamo ancora le care aste di quadri, con lunghi silenzi che non si sa bene se descrivano l’emozione del conduttore o l’esaurimento di parole che possano risultare credibili. A queste si aggiungono le televendite di vestiti o articoli per la casa, dove permane la stessa regola vigente già 40 anni fa: è sempre l’ultimo giorno di offerta, valida solo per le prime cinquanta telefonate. A cui la conduttrice riesce a farne aggiungere altre cinquanta, incontrando la consueta magnanimità del regista. È interessante notare come alcuni canali si proporrebbero quali tematici, per poi però presentare qualcosa che non c’entra nulla con ciò che il pubblico lecitamente si attenderebbe. Su PromoTravel, per esempio, ci si attenderebbe di vedere servizi su viaggi a ogni ora e invece, alle 22.50, va in onda in loop una televendita su prodotti infallibili che faranno riacquisire la virilità a ogni uomo. Lo slogan è degno dei migliori film dei Vanzina: “Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”, e allora l’attore scelto per fare la parte dell’impotente si rianima tutto a un tratto dalla sua depressione diventando un leone. Le stesse incoerenze tra il titolo e il programma si possono trovare su altri canali, come a deliberare una rassegnazione all’ipotesi che nessuno o quasi si accorgerà della dicotomia, trovandosi davanti a un pubblico davvero esiguo. Una rassegnazione che, in qualche caso, diventa persino un auspicio per la società. Esistono ancora, infatti, sedicenti esperti di numeri del Lotto . A qualunque ora professano di conoscere le combinazioni vincenti delle prossime estrazioni. Sono noncuranti delle scritte che devono passare per legge in sovraimpressione ricordando i rischi del gioco d’azzardo. Invitano caldamente a giocare un ambo secco con il 6 e un altro numero oscurato, che si potrà sapere solo telefonando in privato a una linea costosissima. “Vincita a colpo”: la scritta campeggia a caratteri cubitali, non bastasse la conduttrice che ripete la medesima frase, per convincere di un risultato sicuro, in virtù di studi statistici. Che, per natura, tutto sono fuorché qualcosa di “sicuro”. Battaglie a colpi di tapiri salati e inchieste contro Wanna Marchi si rivelano quindi del tutto inutili. Nella poesia delle tv locali, narrata e amabilmente presa in giro a più riprese dalla Gialappa’s Band, c’è sempre stata anche quella realtà. Dopo tanto tempo, persino ciò che detestavamo della tv, ci riconcilia vagamente con la pace di un’epoca passata che vale la pena continuare a considerare presente.

Massimiliano Beneggi